cittadinanza
A proposito, occorre considerare come sia stato rilevato che grazie a una adeguata tutela avverso il licenziamento ingiustificato, il lavoratore poteva realmente “integrarsi come persona nella società e,
quindi, [...] attivarsi come cittadino”303 e che la reintegrazione
consentiva al giudice di operare la ponderazione tra gli interessi organizzativi dell'impresa e l'interesse del lavoratore alla stabilità in quella formazione sociale dove realizza la sua personalità e la sua esigenza di continuità di reddito304. Risultano pertanto evidenti gli
effetti pregiudizievoli che la riforma ha prodotto sulla tutela del binomio “persona-cittadinanza” del lavoratore305 e si impone una
riflessione sul significato ulteriore, simbolico e politico di queste ultime trasformazioni, a partire dal ruolo fondamentale del lavoro come mezzo di integrazione sociale e di appropriazione di un spazio proprio nell'ambito della cittadinanza.
Per le democrazie costituzionali del secondo dopoguerra, e in particolare per quella italiana, il lavoro era il principale strumento di connessione fra l’individuo e la comunità, nonché il tramite per la realizzazione della cittadinanza sociale: attraverso il lavoro l’individuo maturava un titolo per accedere al patrimonio comune.
Scrive a proposito Ulrich Beck che nel ’900 “dominava la figura del
cittadino-lavoratore con l’accento non tanto sul cittadino quanto piuttosto sul lavoratore. Tutto era legato al posto di lavoro
303 L. NOGLER, Cosa significa che l'Italia è una Repubblica "fondata sul lavoro"?, in Lavoro e Diritto, 2009, p. 437
304 V. SPEZIALE, cit.
305 A. ZOPPOLI, Legittimità costituzionale del contratto di lavoro a tutele
crescenti, tutela reale per il licenziamento ingiustificato, tecnica del bilanciamento, in WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona", IT – 260/2015, saggio in
corso di pubblicazione in DLM, 2015, destinato agli Scritti in onore di R. DE LUCA TAMAJO
retribuito. Il lavoro salariato costituiva la cruna dell’ago attraverso la quale tutti dovevano passare per poter essere presenti nella società come cittadini a pieno titolo. La condizione di cittadino derivava da quella di lavoratore”306.
Con la società` post-industriale viene meno il modello culturale dal quale origina il nucleo di tutele che hanno circondato il posto di lavoro e, in modo sinergico (che non si ritiene di poter specificare in un nesso di causalità), si decostruisce il suddetto nucleo di tutele, nella ricerca dell'attuazione di un modello “moderno”.
Conseguenza di questa operazione è che il lavoro non può più svolgere quella funzione nei confronti della società e della cittadinanza; ciò è motivo di emarginazione e di esclusione da un determinato insieme di diritti. Una volta preso atto del declino del modello sociale e culturale del lavoro in fabbrica come “uno dei grandi laboratori della socializzazione moderna” e del contratto che ha consentito “l'avvio del processo di emancipazione dei nostri antenati” si auspica un “ritorno allo status” (di cittadino) dal quale far derivare la titolarità e l'esigibilità dei diritti sociali in un'ottica indipendente e autonoma dallo svolgimento di un'attività lavorativa nel senso che tradizionalmente si attribuisce all'espressione307.
306 U. BECK, Il lavoro nell’epoca della fine del lavoro. Tramonto delle sicurezze e
impegno civile, Torino, Einaudi, 2000
307 P. COSTA, Cittadinanza sociale e diritto del lavoro nell’Italia repubblicana, in G. BALANDI e G. CAZZETTA (a cura di) Diritti e lavoro nell’Italia
Così stravolto, infatti, il lavoro cessa di essere il tramite privilegiato della cittadinanza sociale, cessa la (tendenziale) coincidenza fra lavoratore e cittadino e viene meno il perno sul quale il vecchio Stato sociale incardinava la sua azione equalizzatrice308.
A maggior ragione, la posizione del lavoratore dinanzi la minaccia di un licenziamento ritorsivo è sempre più delicata: il rischio dell'esclusione diviene attuale e la propensione ad esercitare giudizialmente i propri diritti si riduce. Come fare? Rinforzare la cittadinanza sociale separandola dallo svolgimento della prestazione lavorativa, tutelando la persona in quanto tale e rendendola più libera di far valere i propri diritti.
Le strategie proposte sono numerose e si differenziano a seconda della maggiore o minore presa di distanza rispetto al modello novecentesco (caratterizzato dalla dominanza del lavoro fordista).
Una di queste, riconducibile all'idea di lavoro garantito, non rinuncia alla centralità del lavoro nella vita sociale del soggetto e alla funzione che esso svolge nel consentire l'integrazione e la partecipazione sociale di quest’ultimo, ma per farlo muta la concezione del lavoro, abbandonando la nozione tradizionalmente intesa (quella contrattuale) in favore di una molto più ampia che includa ogni attività socialmente utile, anche se non (ri)conosciuta oggi come lavoro e quindi non retribuita.
Questa nuova lettura della categoria del lavoro sarebbe in qualche modo conforme con l'articolo 35 purchè se ne operi una rilettura, intesa a valorizzare maggiormente “tutte le sue forme ed applicazioni309”.
Al carattere etero-diretto del lavoro “tradizionale” si affianca l’immagine di un'attività` collegata alla libertà` e al bisogno di auto- realizzazione individuale che opera in armonia con le esigenze sociali, mantendendo quel carattere di reciprocità tra individuo e società che caratterizzava il lavoro nella sua accezione tradizionale e che costituiva il meccanismo concettuale alla base dello scambio lavoro- prestazione sociale310. “Il lavoro “tradizionale” non viene cancellato, ma viene
messo in rapporto e in confronto con il più vario e multiforme mondo dell’operare socialmente rilevante”311.
Siffatta strategia consentirebbe un significativo ampliamento delle possibilità di lavoro regolare e retribuito per il cittadino -richiederebbe un incisivo intervento dello Stato, come elemento di garanzia della legalità dei nuovi posti di lavoro e fonte di finanziamento- e sicuramente renderebbe la minaccia del licenziamento illegittimo meno violenta, essendo possibile per il lavoratore ingiustamente licenziato di trovare un nuovo impiego dignitoso.
Tale prospettiva sul piano concettuale presenta l'importante pregio di conciliare la liberazione del lavoratore dal timore del licenziamento
309 U. ROMAGNOLI, cit., ibidem
310 F. CAFAGGI (a cura di), Modelli di governo, riforma dello stato sociale e ruolo
del Terzo settore, Il Mulino, Bologna, 2002
ritorsivo con il mantenimento del nesso tra lavoro e reddito e del rapporto di reciprocità tra lo Stato e il cittadino che, con forme e dinamiche diverse dal lavoro tradizionale contribuisce, in modo conforme con le proprie capacità e interessi al benessere e al progresso della società. Sul versante applicativo, si presenta il rischio, molto attuale, che l'ampliamento del significato e della nozione del lavoro si realizzi in una forma di legalizzazione di un sostanziale sfruttamento favorito dalla deregolazione. Inoltre, a parere di chi scrive, si torna ad affermare che quello del licenziamento è un rischio tanto temibile a causa dell'elevato tasso di disoccupazione presente in Italia e in Spagna e che se ci fosse maggiore domanda di lavoro la tematica potrebbe essere affrontata più serenamente; conclusione che, per quanto indiscutibile, non risulta essere particolarmente innovativa.
Un'altra strategia prevede l'eliminazione del nesso tra lavoro (in qualunque accezione si voglia intendere l'espressione) e fruizione dei diritti di cittadinanza, a partire da una costruzione più forte e più pregnante del concetto stesso di cittadinanza che dovrebbe essere sufficiente, in quanto tale, a rendere il soggetto titolare di determinate situazioni giuridiche soggettive312.
La semplice appartenenza alla comunità dovrebbe essere titolo sufficiente per beneficiare delle risorse collettive; la funzione di 312 A. LASSANDARI, Brevi rilievi su diritto, capitale e lavoro nella società divisa, in G. BALANDI e G. CAZZETTA (a cura di) Diritti e lavoro nell’Italia
collante della società viene sottratta alla dimensione economica e produttiva e viene spostata su quella politica.
L'esito di tali premesse è costituito dalla proposta, in realtà risalente nel dibattito in materia, del reddito di cittadinanza, come erogazione economica in grado di consentire al cittadino quel minimo di sopravvivenza tale da emanciparlo dalla ricerca di un lavoro ad ogni condizione, permettergli di vivere pienamente la sua condizione di membro di una comunità politica e di gestire con maggiore libertà la difesa delle prerogative che gli dovrebbero derivare dalla conclusione di un contratto di lavoro.
Il reddito di cittadinanza e` un tema che raccoglie molteplici adesioni, pur eterogenee quanto alle premesse concettuali e alle proposte applicative.
A parere di chi scrive, il motivo di divisione concettualmente più rilevante (e carico di implicazioni) è quello del rapporto che debba intercorrere fra l’attribuzione del reddito minimo e l’agire socialmente utile del soggetto313.
Una strategia raccomanda di « spostare dallo status di lavoratore allo status di cittadino il centro gravitazionale dei diritti sociali » e di includere fra questi la corresponsione di un reddito minimo, ma al contempo chiede che il soggetto sia attivo e disposto a erogare energie
a vantaggio della societa` di cui fa parte314. Scompare l’antica
egemonia del lavoro, ma resta fermo il criterio di una
necessaria reciprocita` fra gli oneri e i vantaggi, fra i “debiti” e i “crediti” del cittadino, nel quadro di una societa` che si vuole ancora sorretta e unificata dal principio di solidarieta`.
Una diversa strategia prevede di sottrarre completamente il reddito minimo dalla logica di reciprocità e di rendenderlo uno strumento di emancipazione del cittadino dalla costrizione del bisogno ampliando la sfera della sua libertà, che arriverebbe a comprendere la libertà di organizzare la propria esistenza senza lavorare.
In comune tra le diverse ricostruzioni vi è l'abbandono dello schema novecentesco del lavoro come unico canale di accesso per la fruizione dei diritti sociali e delle prerogative derivanti dallo status di cittadino al quale, a detta di Umberto Romagnoli, sarebbe necessario fare riferimento per costruire un modello di tutele e diritti più rispettoso e della dignità del soggetto in quanto tale.
Quest'impostazione modifica invece radicalmente il quadro in cui si colloca la riflessione.
Il lavoro viene cancellato dai termini dello scambio; anzi, viene cancellato lo scambio stesso. In questa nuova prospettiva è sufficiente
314 U. ROMAGNOLI, Dal lavoro ai lavori, in Scritti in onore di Federico Mancini, Giuffre`, Milano, 1998, p. 38
l'appartenenza alla comunità per ricevere un supporto da quest'ultima, come forma di partecipazione alle risorse comuni.
Indubbiamente la consapevolezza per il lavoratore di ricevere un reddito minimo a prescindere dallo svolgimento di una prestazione lavorativa può essere un efficace strumento per consentirgli di rivendicare liberamente l'adempimento degli obblighi della controparte (cioè senza essere eccessivamente vincolato dalla paura di essere licenziato) ma in primo luogo risulta una risposta non del tutto coerente con l'esigenza in esame (e infatti il reddito di cittadinanza non nasce per questo motivo, ma semplicemente perché si prende atto del declino di una determinata relazione -storicamente caratterizzata e circoscritta- tra lavoro e inclusione sociale e se ne cerca un'altra per sconguirare il rischio dell'emarginazione). In secondo luogo, non si ritiene che per risolvere il problema dell'inefficacia del lavoro come strumento di protezione del cittadino, sostituire il lavoro con la cittadinanza sia la soluzione più appropriata.
La proposta, come è facile immaginare, è stata oggetto di critiche di vario tipo: si è affermato che il reddito minimo incondizionatamente garantito “sfugge alla logica dei diritti sociali, collocandosi […] in quella della beneficienza pubblica, chiaramente rifiutata dai Costituenti attraverso il richiamo al dovere al lavoro. Neppure il reddito minimo garantito al solo ricorrere delle disagiate condizioni economiche integrerebbe la fattispecie di diritto sociale sopra evocata, non
contemplando il rispetto di quello stesso dovere”315 e “se si giunge a
sradicare la persona dall’attivita` lavorativa svolta e dai diritti che da essa conseguono, se ne fa un soggetto meramente assistito”316.
A parere di chi scrive sarebbe adeguato potenziare gli strumenti di difesa sociale intrinsecamente connessi al lavoro, che potrebbero assolvere la funzione di tutelarlo dalle conseguenze drammatiche di un licenziamento ingiustificato mantenendo la centralità del lavoro come passaggio necessario verso l'emancipazione personale e la crescita sociale e professionale.