Anche per quanto riguarda Tiziano e la religione, il tentativo di rispondere alla domanda fondamentale su chi sia Tiziano ha dato origine alla convivenza di letture tra loro inconciliabili. Si tratta di un tema assai controverso, che si riflette nel quadro più ampio e complesso delle dinamiche storiche cinquecentesche, tra gli esiti della Riforma luterana, a partire dal 1517, con le sue propagazioni in Europa, e la risposta della cosiddetta Controriforma, per cui s’intende l’insieme delle misure di disciplinamento, controllo e riorganizzazione della Chiesa romana a seguire, che si intensificarono in particolar modo dopo la chiusura del Concilio di Trento del 1563. “Controriforma” è un termine forse filologicamente inesatto ma ormai radicato, assunto a categoria e assai criticato, soprattutto perché tende a stigmatizzare impropriamente in una sorta di schieramento ideologico la sua storia (dei «papisti», dei «rigoristi», dei «cacciatori di eretici», dei «cattolici», ...)
e quella della Riforma (dei «luterani», degli «eretici», degli «scismatici», dei «ribelli», ...)52.
In questo quadro storico complessivo dovremmo collocare le deduzioni tra l’ipotesi di un Tiziano spirituale53, proposta e difesa già ormai da diversi anni dallo stesso Gentili54, e quella di un Tiziano della Controriforma, sostanzialmente, seppur non esplicitamente, ad essa contraria, ben presente nella storiografia contemporanea 55 . Quest’ultima è stata richiamata in particolar modo per quanto riguarda il rapporto di Tiziano con la committenza asburgica.
Lo spiritualismo è stato riconosciuto come l’atteggiamento religioso che, nel pieno degli anni precedenti all’avvio del disciplinamento che segue
52 Non mi occuperò qui dell’ampio tema della Controriforma, o Riforma cattolica, se non per analizzare l’uso che della retorica controriformistica è stato fatto in funzione della lettura storica e iconologica della Trinità tizianesca. Rimando in particolare, per un inquadramento storico, a PRODI, 1968, PROSPERI, 2001 e BONORA, 2015.
53 Userò il corsivo su spirtuale, quando s’intende non un sostantivo o aggettivo ge-nerico, ma l’adesione alle idee dello spiritualismo, corrente religiosa del XVI secolo, conosciuto anche come alumbradismo o valdesianesimo. Per un primo approccio al tema si vedano le voci “Alumbradismo” e “Valdesianesimo” in DIZIONARIO INQUI-SIZIONE (PROSPERI), 2010, I, pp. 47-51 e III, pp. 1626-1627. Si vedano anche la voce biografica “Juan de Valdés” (1505?-1541), in DBE, 2009-2013, XLVIII, pp. 923-928 e quella sui due fratelli “Alfonso y Juan de Valdés”, in CABALLERO, 1985, IV, pp. 316-319. Rimando altresì a: MENÉNDEZ Y PELAYO, 1992 (1880), I, pp. 1095-1166; CIONE, 1963; BATAILLON (atti), 1976; HAMILTON, 1981; FIRPO, 1990; PASTORE, 2010.
54 Vedasi: GENTILI 1993; GENTILI, 1995; GENTILI, 2003; GENTILI, 2008a; GENTILI 2012, pp. 184-201 e 330-356. La controversia tizianesca rientra nel più ampio problema dell’interpretabilità di un’opera religiosa del Cinquecento come riformista,
spirituale, controriformista, ortodossa o dogmatica, eterodossa o eretica ecc. Gli
sviluppi recenti della storia dell’eresia e dell’Inquisizione hanno certamente contribuito a sollevare, in questo senso, una serie di interrogativi storici che stanno dando avvio a nuove linee di ricerca interdisciplinari. Si vedano, in particolare: RINASCIMENTO/RIFORMA (atti), 2005; FIRPO, BIFERALI, 2016.
55 Si vedano ad esempio GOLDFARB, 2007 o il recente Tiziano Vecellio, del alto
Renacimiento a la Contrarreforma, in CHECA, 2013, pp. 171-189. Che l’ipotesi di
una lettura in chiave spirituale dell’ultimo Tiziano tenda a scardinare quella
controriformistica in senso stretto in auge è implicito al carattere marcatamente
eterodosso dello spiritualismo, che emerge soprattutto dalla prospettiva della Storia dell’eresia e dell’Inquisizione e dal suo contrasto dialettico con le ragioni della “difesa del dogma” e con la vocazione disciplinante attribuita alle immagini della Controriforma. Su quest’ultimo tema vedasi MÂLE, 1932.
la chiusura del Concilio di Trento, proponeva una via intermedia di moderato dissenso. Nella descrizione di Gentili lo spiritualismo di cui è intrisa la produzione di opere religiose dell’ultimo Tiziano:
si colloca in una posizione intermedia rispetto agli “opposti estremismi” della fuga nell’eresia e della resa al disciplinamento; è dichiaratamente ostile alle norme burocratiche e alle sottigliezze teologali sia dei “papisti” che dei “luterani”; è nutrito di pacifismo erasmiano; è incline a una religione immediatamente comprensibile, fortemente individualistica, e inevitabilmente inquieta perché soggetta a forme sempre più pressanti di controllo e repressione. È un dissenso vissuto nella sfera privata e non manifestato pubblicamente: va dunque storicamente inquadrato nell’ampia categoria che si usa definire col termine nicodemismo56, dal nome di Nicodemo, discepolo occulto di Cristo, che si rivelò e prestò aiuto solo negli ultimi momenti della passione, dalla discesa di croce alla sepoltura.57
Lo spiritualismo corrisponde, insomma, ad un approccio di tipo intimistico alla fede, eterodosso (pur tenendo conto della relatività del termine)58, che fa proprio lo scandalo, l’atteggiamento critico e gli insegnamenti della Riforma protestante, proponendo però, in aperta alternativa e avversa all’interesse scismatico dei luterani, la vocazione a una riforma interna al mondo cristiano.
Andrà qui richiamata allora, soprattutto, la produzione religiosa del cadorino e quanto in essa si è riconosciuto di affine a tale vicinanza allo spiritualismo. L’Ecce Homo di Vienna (fig. 52)59, così come emerge dall’importante studio di Flavia Polignano60, risulta essere concepito da Tiziano come una grandiosa messinscena teatrale del quadro
56 Sul nicodemismo vedasi: GINZBURG, 1970.
57 GENTILI, 2003, p. 9.
58 Il distinguo tra “ortodossia” ed “eterodossia” per gli anni centrali del Concilio di Trento è una questione assai controversa. La vocazione del Concilio, come indica la parola stessa, fu quella di conciliare le diverse e lontane espressioni della Cristianità e non di omologarle ai dogmi preesistenti dello Stato Pontificio e del cattolicesimo romano.
59 Ecce Homo, Kunsthistorisches Museum, Vienna, 1543. Il dipinto fu realizzato per
il mercante fiammingo Giovanni d'Anna: si vedano i riferimenti essenziali in WETHEY, 1969-1975, I, pp. 79-80, n°21 (come Christ before Pilate).
politico-religioso d’allora, costruita sul copione aretiniano dell’Umanità
di Cristo61. Qui Pietro Aretino (fig. 50), autore dell’opera, vi compare ritratto nelle vesti di Ponzio Pilato (fig. 51), che nello scritto non è il vile responsabile della consegna di Cristo ad un giudizio ingiusto ma, al contrario, colui che tenta l’impossibile via di conciliazione che potrebbe portare alla salvezza, ma che deve arrendersi, alla fine, all’implacabile verdetto del popolo ebraico62. Nella Deposizione del Prado per Filippo II (fig. 44) 63, Tiziano pare giocare in modo tutt’altro che casuale sull’ambiguità tra Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea64 nella definizione del proprio autoritratto, chiaramente riconoscibile nel vecchio barbuto impegnato a sorreggere il corpo esanime di Cristo. L’Annunciazione di San Salvador (fig. 53)65, oltre a indicare ancora una volta il ruolo fondamentale degli scritti religiosi di Pietro Aretino nella pittura di Tiziano66, segnalerebbe l’uso consapevole del pittore e la fruizione altrettanto cosciente della sua cerchia di amici e committenti, di iconologie volutamente e nicodemiticamente “rovesciate” nel significato67. Andrebbe allora accettata una lettura da inquadrare
61 Ibidem. Uso come riferimento la versione inclusa in ARETINO, 1551, su cui tornerò
nell’ultimo capitolo.
62 Dopo POLIGNANO 1992, ne scrive, in relazione ad altre opere, anche GENTILI, 1993, pp. 147-148.
63 Deposizione, Museo del Prado, Madrid, 1559, voluto da Filippo II il 13 luglio 1558
per sostituire un’altra opera di soggetto analogo persa durante il viaggio. Vedasi WETHEY, 1969-1975, I, pp. 90-91, n°37.
64 Vedasi STECHOW, 1964; GENTILI, 2003, p. 9.
65 Annunciazione, Chiesa di San Salvador, Venezia, 1559 (GENTILI, 2003, p. 9 indica
che essa era presente nel testamento di Antonio della Vecchia, il mercante veneziano che l’aveva commissionata, già in data 7 maggio 1559; in WETHEY, 1969-1975, I, pp. 71-72, n°11, con datazione precedente).
66 Si è riconosciuto (vedasi GENTILI, 2003) il nesso di quest’opera con La Vita di Maria
Vergine di Pietro Aretino e in particolare nella descrizione del rapporto tra Maria e
l’angelo come fiamma di luce.
67 Si tratterebbe di «una cerchia di personaggi, intellettuali e non, schierati su posizioni di moderato e parziale dissenso, interessati a una religione estranea alle imposizioni dogmatiche ma ormai segnata dalla necessità della dissimulazione nicodemitica»: in GENTILI, 2003, p. 10.
entro il rapporto tra Tiziano, l’Aretino, Antonio della Vecchia e l’amico Alessandro Caravia e il loro moderato dissenso, riconoscibile nell’iconologia: l’arcangelo in questa immagine è privo del consueto giglio di castità, mentre gli angeli sbandierano la fascia vermiglia che dovrebbe garantire l’integrità di Maria68.
In questo gruppo di opere di dissenso spirituale molte sono destinate - e non si tratta di una casualità - alla devozione privata di personalità sempre in qualche modo collegate alla corte spagnola. È questo il caso di diverse versioni di Cristo, rappresentato come figura isolata a mezzo busto e con gli attributi della passione (il sangue, la corda, la canna, la corona di spine), di cui un modello potrebbe essere riconosciuto nella versione su pietra del Prado (fig. 54)69, che parrebbe riconducibile al
Libro del Monte Calvario di Antonio de Guevara (1480-1544), frate,
predicatore, consigliere, diplomatico e cronista di Carlo V70. A questa tipologia e al medesimo orizzonte religioso sono stati ricondotti anche analoghi soggetti realizzati più tardi, a metà degli anni sessanta, tra cui in particolare il Cristo e il Cireneo (o Cristo portacroce) del Prado (fig. 55)71, a cui dovremmo aggiungere anche la versione dell’Hermitage di San Pietroburgo (fig. 56)72.
Ispirate alla devozione spirituale, e non alle necessità di disciplinamento della Controriforma, parrebbero allora anche le versioni tizianesche più tarde di Maddalena penitente73, tra cui spicca
68 GENTILI, 1993, pp. 154-161.
69 Ecce Homo, Museo del Prado, Madrid, 1547. Viene di solito riconosciuto in questo
dipinto su pietra il Cristo eseguito per Carlo V a cui Tiziano accenna nella sua lettera del primo settembre 1548 per il Cardinale Antoine Perrenot de Granvelle (BPR, II-2267, c.110), come riporta WETHEY, 1969-1975, I, pp. 86-87, n° 32.
70 GENTILI, 2003, pp. 10-11.
71 Cristo e il Cireneo, Museo del Prado, Madrid, 1565 circa. WETHEY, 1969-1975, I,
p. 81, n°24.
72 Cristo e il Cireneo, Hermitage, San Pietroburgo, 1565 circa. WETHEY, 1969-1975,
I, pp. 81-82, n°25.
quella, con gli occhi arrossati dalle lacrime, di San Pietroburgo (fig. 59)74. Il problema delle Maddalene, come noto, riguarda le numerose varianti e copie esistenti, e il ricongiungimento delle fonti alle opere e delle opere ai rispettivi passaggi collezionistici, che consentano ricostruzioni corrette. Dovremmo allora porci delle domande, in questo contesto, sul nesso tra le Maddalene degli anni sessanta e la versione autografa di Palazzo Pitti (fig. 58), che Tietze proponeva plausibilmente di collegare a quella perduta che Tiziano dipinse per Vittoria Colonna su incarico di Federico Gonzaga nel 153175. Questa Maddalena, con i seni scoperti, a differenza delle varianti degli anni sessanta, può ragionevolmente considerarsi il prototipo delle versioni successive, come sosteneva Ridolfi76. La ricostruzione cronologica e contestuale dell’“origine” delle Maddalene tizianesche nella versione perduta del 1531, e quindi nella versione Pitti, confermerebbe la proposta di associarne l’invenzione al pathos e all’ethos dello spiritualismo cinquecentesco, dato che Vittoria Colonna fu una delle sue prime e più sensibili interpreti italiane77. Ne sperimentò e richiese l’“applicazione” nell’arte: ebbe un rapporto privilegiato con Michelangelo78, ma si avvicinò contemporaneamente anche a Tiziano79. Esistono poi i
pp. 345-351.
74 Vedasi WETHEY, 1969-1975, I, p. 146, n° 123.
75 Maddalena, Galleria Palatina di Palazzo Pitti, Firenze, 1544-45?. Vedasi TIETZE,
1950, p. 371; VALCANOVER, 1969, pp. 143-144: secondo questi autori si dovrebbe trattare di una variante della Maddalena dipinta per Vittoria Colonna nel 1531 (cfr. WETHEY, 1969-1975, I, pp. 143-144, n° 120). La Maddalena Pitti potrebbe corrispondere a quella vista da Vasari nel 1548 nel guardaroba di Guidobaldo Della Rovere, Duca di Urbino, che aveva forse commissionato in occasione della nascita della figlia Virginia: su questa lettura, GENTILI, 2012, p. 155.
76 Cfr. WETHEY 1969-1975, I, p. 143.
77 Su Vittoria Colonna (1490-1547) e lo spiritualismo vedasi: BRUNDIN, 2008; SAPEGNO, 2016.
78 Si vedano in particolare CAMPI, 1994; FORCELLINO, 2009.
79Su questo tema vedasi: AGOSTI, 2005. Il nome di Tiziano è apparso anche recentemente accanto a quello di Michelangelo e lo spiritualismo, nella sala dedicata a Vittoria Colonna della mostra D’après Michelangelo, la fortuna dei disegni per gli
carteggi relativi all’invio di una Maddalena tizianesca per Antoine Perrenot di Granvelle80 nell’ottobre 1554 (doc. 20), su cui non ci sono grandi dubbi: Francisco de Vargas81, informa il Granvelle dell’invio congiunto della sua Maddalena, inviata «dentro del mayor», ovvero della grande Trinità per Carlo V (fig. 1), e insieme anche a un Adonis per Filippo II, in cui riconosciamo il dipinto della Venere e Adone del Prado. Non sappiamo quale sia, né se esista ancora, la versione del Granvelle, ma pare plausibile che si tratti di una versione analoga a quelle citate. Wethey ne riconosceva, entro le varianti, tre tipi fondamentali: la Maddalena “Pitti type”, a cui riconduce anche la versione conservata all’Ambrosiana; la “Naples type”, in cui rientra solo la versione del Museo di Capodimonte; e infine, da ultima, la “Hermitage type”, a cui sono riconducibili le versioni Candiani, Getty, Durazzo-Pallavicini, oltre alle due perdute dell’Escorial e di collezione privata82. Nel passaggio tra il primo e l’ultimo tipo, e rovesciando la prospettiva del Tiziano della Controriforma nell’ipotesi del Tiziano
spirituale, più che riconoscere negli anni sessanta una copertura
«controriformistica» delle nudità che erano più esplicite negli anni trenta, dovremmo forse indagare la libertà che Tiziano si prende nell’aggiustare e riattualizzare soggetti che aveva creato e interpretato sull’onda del moderato dissenso. Raggirava così, secondo una prassi
amici nelle arti del Cinquecento (Castello Sforzesco, Antico Ospedale Spagnolo, Milano, 30 settembre 2015 - 10 gennaio 2016).
80 Antoine Perrenot de Granvelle (1517-1586), vescovo di Arras, cardinale, arcivescovo di Malinas e di Besançon, primo consigliere di Carlo V e Filippo II. Vedasi la sintesi biografica in DBE, 2009-2013, XLI, pp. 391-396. Sulla corrispondenza del Granvelle con artisti, letterati e stampatori italiani, rimando inoltre a: FERRARINO, 1975; D’AMICO, 1996.
81Francisco de Vargas y Mejía, Mexía o Messía (1500-1566). Vargas, in quanto ambasciatore imperiale a Venezia tra il 1552 e il 1558, fu il principale responsabile della mediazione tra Carlo V e Tiziano nell’esecuzione e la consegna della Trinità. La nota biografica completa si trova qui all’interno del cap. 3 (nota 108) in cui si affronterà più dettagliatamente lo studio del suo profilo.
dell’atteggiamento nicodemita, il disciplinamento avviato in quegli anni. Osservazioni analoghe a quelle proposte per le Maddalene, entro la galleria di pitture tizianesche presumibilmente spirituali, si potrebbe applicare all’altro grande penitente destinato all’apprezzamento da parte della committenza tizianesca e quindi alla riproposta in molte repliche, fino agli ultimissimi anni di vita del pittore: San Girolamo nel
deserto83. Viene rappresentato come eremita studioso e anch’egli, come la Maddalena, viene collocato in un deserto, in questo caso animato da locuste, scorpioni o lucertole. Se ne ricordano entro questa ipotesi principalmente tre versioni: quella di Brera (fig. 42)84, che fu eseguita tra il 1557 e il 156085 per la cappella della chiesa di Santa Maria Nova a Venezia e per Enrico Helman, cognato di Giovanni d’Anna, che era stato a sua volta committente dell’Ecce Homo di Vienna (fig. 52); la pala per Filippo II, che corrisponde alla versione dell’Escorial, del 157586; la versione del Thyssen (fig. 41)87, che costituisce una variazione di quella di Brera. Anche in questo caso, la prima produzione tizianesca di San
Girolamo, vecchio tema frequentato anche da Giovanni Bellini e Cima
da Conegliano, tra altri, per Tiziano è legata in primis agli anni trenta88.
83 Rimando a GENTILI, 2012, pp. 351-356.
84 San Girolamo nel deserto, Pinacoteca di Brera, Milano, 1557-1560. WETHEY,
1969-1975, I, pp. 135, n°105.
85 Vedasi SAPIENZA, 2008.
86 San Girolamo nel deserto, Escorial, Madrid, 1575. WETHEY, 1969-1975, I, p.136,
n°108.
87 San Girolamo nel deserto, Museo Thyssen-Bornemisza, Madrid, 1570-76. WETHEY,
1969-1975, I, pp. 135-136, n°107.
88 Si veda la lettera di Federico Gonzaga a Tiziano del 5 marzo 1531: D'ARCO, 1857, I, p. 112 (doc. 145); PUPPI, 2012, p. 56 (doc.19). Esiste, quindi, una sostanziale continuità di alcuni temi nella pittura religiosa di Tiziano tra gli anni trenta e gli anni sessanta, a cui qui accenno in particolare per le Maddalene e i San Girolamo. La lettura in chiave controriformistica del Tiziano degli anni sessanta sembra anticipare un clima di disciplinamento più tardo ma, soprattutto, sembra prescindere anche dalla cronologia relativa alla scelta dei temi. Spero di poter sviluppare altrove, con indagini più dettagliate, questa tematica, interrogandone i nessi con la fortuna e le ragioni dello spiritualismo in Italia.
Le ultimissime opere religiose, dipinte da Tiziano probabilmente per se stesso, dato che furono ritrovate nella sua bottega, chiudono la nostra panoramica con l’Incoronazione di spine di Monaco (fig. 43)89 e, soprattutto, con la Pietà veneziana (fig. 45)90, che Tiziano aveva destinato alla cappella del Crocifisso in Santa Maria dei Frari, in cambio della sepoltura. La volontà del pittore, come noto, non ebbe seguito e l’opera finì nelle mani di Palma il Giovane, che avrebbe cercato di finire ciò che Tiziano aveva volutamente lasciato infinito, o
non finito91. Tiziano qui si autoritrae, molto probabilmente e come aveva già fatto in altre occasioni, come un San Girolamo penitente e adorante, in contemplazione del Cristo morto (fig. 45)92.
I dipinti qui menzionati andrebbero quindi interpretati complessivamente come immagini di moderato dissenso spirituale. Se tale ipotesi fosse avallata, dovremmo confrontarci nientemeno che con una revisione storico-ermeneutica sull’intera produzione religiosa (e non solo) di Tiziano, e specialmente dell’ultima. Lo zeitgeist, lo “spirito del tempo”, è un valido alleato nella decodificazione del significato delle immagini; ma la percezione di un’epoca è soggetta, inevitabilmente, a cambiare con l’avanzamento degli studi storici. Se la Controriforma accorpa e fa proprie le istanze della Riforma, su quali basi si assume che lo zeitgeist da cui scaturiscono i dipinti religiosi di Tiziano corrisponda al rigore dottrinale e di disciplinamento controriformista? Entro questo quadro, indagheremo il significato e quindi il “posizionamento” politico-religioso della Trinità di Tiziano per Carlo V
89 Incoronazione di spine, Alte Pinakothec, Monaco di Baviera, 1570-76. Vedasi:
WETHEY, 1969-1975, I, p. 83 (n°27); GENTILI, 2003, p.17; GENTILI, 2012, p. 380.
90 Pietà, Gallerie dell'Accademia, Venezia, 1576. Vedasi WETHEY, 1969-1975, I, pp.
122-123 (n°86); GENTILI, 2012, pp. 384-386.
91 Sulle vicende legate alla sepoltura, tra altri, vedasi ROSAND, 1983, p. 154; sull’uso strumentale del linguaggio del “non finito” tizianesco nell’opera: GENTILI, 2012, pp. 382-386.
(fig. 1). Essa costituisce l’immagine del repertorio religioso tizianesco che forse più d’ogni altra viene letta come un’icona del dogmatismo di Carlo V. Proprio l’etichetta storiografica ancora in auge per la Trinità e il contrasto con l’ipotesi di un Tiziano spirituale ne rivela la sua potenziale funzione disvelatrice: l’immagine sarà qui usata come il veicolo privilegiato attraverso il quale inquadrare il problema delle contraddizioni (concettuali, interpretative, linguistiche e in definitiva storiche), che riguardano quanto della produzione religiosa di Tiziano viene riconosciuto come evidente manifestazione d’“ortodossia” e che potrebbe invece essere definito in termini opposti. Non ci proporremo qui, evidentemente, di far luce con risposte definitive sulla dimensione intima e personale dello spiritualismo tizianesco, né di verificarlo. Attraverso lo studio della Trinità e addentrandoci nella controversia religiosa degli anni cinquanta, oltre che nelle sue premesse negli anni della Riforma, tenteremo però di indagare il contesto da cui scaturì l’inventio tizianesca per l’imperatore Asburgo e di problematizzarne gli aspetti politico-religiosi.
1.2 La Trinità di Tiziano per Carlo V: un «manifesto della