Carlo V da Oriente a Occidente: l’utopia della Monarchia Universalis
3.4 La visione di Monarchia Universalis di Mercurino di Gattinara: contesto politico e religioso (1516 - 1530)
Mercurino Arborio di Gattinara37 nella sua Autobiografia38 racconta del suo ritiro spirituale nel monastero di Nostra Signora della Grazia di Bruxelles, nel 1516, dove si sarebbe rinchiuso per pura devozione e afflato mistico39. In realtà egli fuggì anche per ragioni meno spirituali, per scappare dalla persecuzione giudiziaria dei nemici in Borgogna, dove s’era installato nel castello di Chevigny. Chiuso nel monastero di Bruxelles, secondo quanto riportano le sue memorie, gli apparve Carlo V nelle vesti di Imperatore trionfante sulla Cristianità, iniziatore di una nuova epoca della pace universale e della concordia: una nuova età dello spirito, che costituiva la promessa di un’epoca della salvezza a venire, antecedente al giudizio finale, in cui il giovane monarca sarebbe stato la guida terrena del Regno di Dio.
La visione di Monarchia Universalis di Mercurino di Gattinara, imperniata sulla filosofia di Gioacchino da Fiore40, si basava sull’idea
37 Mercurino Arborio di Gattinara (1465-1530), gran cancelliere di Carlo V. Un grande impulso allo studio sulla sua figura venne dal convegno di Gattinara (Vercelli) del 1980, di cui si vedano gli atti: GATTINARA (atti), 1982. Si vedano, in relazione al progetto della Monarchia Universalis: HEADLEY, 1983; MILLÁN, 2000, I, pp. 275-282; MILLÁN, RIVERO, 2000; HEADLEY, 2001; RIVERO, 2005; D’AMICO, 2010; D’AMICO, 2012c. Di particolare interesse è l’archivio personale del Gattinara, che nel 1980 i marchesi di Arborio di Gattinara consegnarono all’ASVE, creando un fondo specifico (FAG, Famiglia Arborio di Gattinara), costituito da otto faldoni numerati dal 3 al 10 (RIVERO 2005, p. 161).
38 L’Autobiografia del Gattinara fu smarrita per molto tempo, sottratta dall’Archivio della famiglia Gattinara a Vercelli; fu poi recuperata nel 1907 dal Marchese Dionigi di Gattinara, e quindi studiata da Carlo Bornate, che la pubblicò in BORNATE, 1915. L’originale però versava in un cattivo stato di conservazione, per cui lo storico ricostruì i contenuti integrando l’originale con una copia incompleta ed altri documenti contenuti nel fondo dell’Archivio di Vercelli. Per una ricostruzione recente sulla questione, si veda RIVERO, 2001.
39 Sull’episodio del ritiro vedasi BORNATE, 1915, pp. 244-270. La versione italiana, forse trascritta da Giovanni Giacomo Gattinara, si trova nell’archivio familiare come
Vita del Gran Cancelliere Mercurino: ASVE, FAG, mazzo 3, ff. 19-23.
40 Gioacchino da Fiore (1130?-1202). Il pensiero dell’abate, dal forte carattere profetico ed apocalittico, è all’origine del successivo gioachimismo. Vedasi a riguardo: DE LUBAC, 1979-1981; su Gioacchino da Fiore vedasi almeno: RIEDL, 2004; RIEDL,
escatologica di una storia dell’umanità basata su tre epoche, corrispondenti alle tre persone della Trinità - il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo - che coincidono in tale profezia ai tre stadi progressivi verso la salvezza. Vi vengono riconosciuti, in relazione alle tre persone, gradi successivi della storia umana e cristiana: il primo corrisponde all’Antico Testamento, all’età che prende avvio con il Genesi; il secondo del Figlio coincide con l’età del verbo rivelato di Cristo, il Nuovo Testamento; il terzo ed ultimo stadio dell’età dello Spirito costituisce l’ultima era escatologica prima del Giudizio Universale, contraddistinta dalla conoscenza diretta di Dio, dalla concordia tra cristiani, dalla riforma delle istituzioni ecclesiastiche. Vista nell’ottica profetica di Mercurino di Gattinara, nel suo adattamento di Gioacchino da Fiore, la figura di Carlo V, oltre a presentarsi come nuovo Carlo Magno, veniva ad incarnare anche il ruolo di un nuovo messia, incaricato direttamente da Dio di portare a compimento la missione della pace tra i Cristiani. L’ascesa politica di Carlo V corrispondeva quindi al compimento della terza età dello Spirito. Si trattò evidentemente di un progetto che faticheremmo a definire “ortodosso” anche nell’uso più elastico del termine e fu infatti una posizione che scandalizzò i castigliani41.
Frutto di una designazione divina era anche, secondo il Gattinara, l’incarico che gli fu attribuito come guida e mentore di Carlo V nell’attuazione di questo piano. L’Autobiografia rivela la mentalità del suo autore, intrisa di un profetismo totalizzante e del tutto irrazionale,
2015. Sui riadattamenti in chiave erasmista del profetismo gioachimita nella
Monarchia Universalis vedasi CAPELLINO, 1982; sull’aspetto profetico e politico della
politica carolina rimando anche agli studi recenti di Juan Carlos D’Amico e in particolare a: D’AMICO, 1999; D’AMICO, 2001; D’AMICO, 2002; D’AMICO, 2012c. Segnalo inoltre qui, per un inquadramento storico-concettuale di più ampio respiro sui nessi tra profetismo ed elezione – alla base anche del concetto di Monarchia
Universalis e della sua propaganda – gli atti del convegno sui “popoli eletti”, a cura
di Giorgio Politi (POLITI, 2015): è in questo contesto che si ritrova il contributo di Riedl sull’“albero dell’elezione” di Gioacchino da Fiore.
in cui bene e male sono gli opposti complementari a cui riconduce momenti specifici e assai diversi della propria storia personale, dall’esito della battaglia giudiziaria per ottenere la dote della moglie Andretta Avogadro, al tentato omicidio subito durante il viaggio dell’Imperatore in Italia nel 152942, che percepisce come segnali del dualismo tra verità e giustizia, riconducibili al divino. Nella concezione di Gattinara, non esiste una concatenazione logica di causa e conseguenza, ma una predestinazione dell’individuo guidato e deciso dalla Provvidenza. Morto Ferdinando il Cattolico da qualche giorno, questa visione aveva assunto i connotati di una premonizione, che il Gattinara s’affrettò a comunicare al suo futuro sovrano. Quando nel 1919 la politica dinastica degli Asburgo raggiunse le sue massime possibilità d’estensione, nella coincidenza strategica della corona di Sacro Romano Imperatore nell’unica figura di Carlo V, Gattinara vi intravvide il manifesto segnale della venuta della terza età gioachimita dello Spirito.
Il sogno della Monarchia Universalis, che il gran cancelliere Gattinara sostenne per tutta la vita, lungi dall’essere il piano di una mera occupazione territoriale, aveva un’ambizione ben più alta: fare di Carlo V la nuova guida di una Cristianità europea che accorpasse e attenuasse i distinguo e le tensioni tra le diverse anime al suo interno, nella creazione di un’età della concordia prossima a venire. Il suo scopo è ben segnalato nella memoria di Barcellona del 12 luglio 1519: «reduire luniversel monde soubz ung pasteur»47. In altri termini, lo scopo principale della Monarchia Universalis è unire la Cristianità sotto la guida del Sacro Romano Imperatore, alternativa e non complementare a quella del Papa.
Nella visione del Gattinara il piano implicava in modo assai chiaro,
42 In RIVERO, 2001, nota 40, p. 211.
specialmente alla luce dei conflitti con Roma, la vocazione tacita di predisporre, nell’autolegittimazione di Carlo V come guida universale della Cristianità, l’implicita opera di pubblica delegittimazione del primo Vescovo di Roma. Nell’attuazione di questo progetto, su cui vi furono pareri e atteggiamenti assai contrastanti dentro allo stesso
entourage più ristretto di quegli anni dell’Imperatore, un ruolo di primo
piano ebbero le strategie, promosse dal Gattinara, per difendere la parte d’eredità che Carlo V riceveva per parte paterna da Massimiliano I48, predisponendo ciò che potremmo definire una politica filo-imperiale, i cui tratti dominanti furono la ferma posizione anti-francese e l’interesse per i possedimenti italiani.
Nel breve periodo compreso tra il febbraio del 1526 e il dicembre del 1527, il Gattinara entrò in disgrazia all’Imperatore, per un frangente tanto limitato nel tempo, da segnalare che le ragioni reali di tale raffreddamento dei rapporti siano da ricercarsi forse proprio nelle tensioni legate alla politica anti-papale da lui promossa, e nello scontro di questi con la fazione della corte che promuoveva la linea “morbida”, che tendeva a rigettare attacchi bellici contro lo Stato Pontificio. Non a caso, il recupero della fiducia e della grazia di Carlo V da parte del Cancelliere è concomitante al processo che portò al Sacco di Roma (maggio 1527), segnale di una vittoria, in questo frangente, della linea politica promossa dal Gattinara49.
Carlo V avrebbe ottenuto poi da Papa Clemente VII, non certo in un clima di distesa e pacifica alleanza ma attraverso la coercizione e la minaccia del Sacco di Roma, l’incoronazione come Sacro Romano Imperatore, il giorno del suo compleanno del 153050. Si tratta di un
48 Cfr. MILLÁN, 2000, I, p. 277.
49 Sulle ragioni di tale vittoria varie sono le ipotesi: secondo Marcel Bataillon, la linea del Gattinara fu l’unica percorribile soprattutto in quanto imposta dagli avversari. In MILLÁN, 2000, I, p. 33.
riconoscimento formale, glorioso e plateale, che il nonno Massimiliano, che pur lo aveva desiderato e che aveva ricoperto il medesimo ruolo, non aveva mai ottenuto, se non dopo l’incoronazione da parte del suo cancelliere Matthäus Lang, approvata da Giulio II solo in un secondo momento51.
Gattinara morì nel 1530 e nello stesso anno iniziarono anche le lunghe trattative con cui Carlo V espresse a Clemente VII – che era stato suo ostaggio (1527) e suo protettore (1530) e che era soprattutto il suo antagonista – la volontà di convocare un concilio universale52. Tale desiderio sarebbe stato a lungo disatteso, per ragioni ovvie. Il Concilio53, nelle sue premesse entro la congiuntura internazionale d’allora, si prestava ad essere uno strumento potentissimo nelle mani dell’Imperatore, nell’attuazione del piano della Monarchia Universalis. Per affilare la lama di ciò che Francisco de Vargas definirà armas
espirituales, ovvero i dibattiti conciliari usati a scopo politico, egli
avrebbe dovuto far leva anche sull’apporto dei protestanti, oltre che della vasta schiera di “delusi”, non scismatici, che non riconoscevano più nulla, nelle politiche romane, che fosse rappresentativo della Cristianità dei fedeli di Dio, e che vi vedevano ormai solamente la mera espressione d’umanissimi scontri di potentati familiari o singoli ego. Da questo quadro emerge più chiaramente il primo ruolo di Carlo V come mediatore tra il «partito» degli eretici luterani e quello dei
papisti54, strettamente legato all’idea di Monarchia Universalis, come la posizione più adatta ad una rivalsa storica che implica anche, su scala più vasta, il riavvicinamento “universale” delle due parti divise della
51 Si veda su questi temi, oltre ai testi citati, WHEATCROFT, 2002.
52 Oltre al già menzionato GUI, 2003, si veda anche MILLÁN, 2000, I, p. 172.
53 Su cui vedasi soprattutto SARPI (Vivanti), 1974. Di particolare interesse per questa tesi sono anche gli studi di Constancio Gutierrez sui documenti del Concilio di Trento (GUTIÉRREZ, 1981; GUTIÉRREZ, 1995 – 2000). Si vedano, dello stesso autore, anche GUTIÉRREZ, 1945 e GUTIÉRREZ, 1951.
Cristianità d’Oriente ed Occidente. Sul piano “interno”, questa via religiosamente e politicamente intermedia ha un’altra motivazione logica e strategica di fondo evidente: consentiva di scendere a patti d’alleanza tanto con i Principi Elettori quanto con la Santa Sede, e di allontanarsene al momento opportuno, secondo l’occorrenza, assicurandosi un presupposto tattico per l’espansione su vari fronti. Tra questi, beninteso, quello che col Regno di Napoli arrivava alle porte della Città Santa e prevedeva di occuparla.
Se il sentimento anti-romano alla base della Riforma portò perfino Lutero, in un primo momento, ad individuare in Carlo V la nuova figura di riferimento per la difesa della Cristianità, tale scelta si sarebbe scontrata con le necessità dell’Imperatore di mantenersi in una posizione di apparente alleanza con il Papa, che dissimulasse la pressione politica e territoriale reale di quegli anni sullo Stato Pontificio. Le politiche territoriali dell’Imperatore comprimevano sempre più il potere temporale di Clemente VII, in una morsa che spingeva da nord e da sud nella penisola, minando la sopravvivenza stessa del potere temporale del Papa, nella minaccia di un’occupazione di fatto mai così tangibile. Solo pochi anni prima, nel 1527, lo stesso papa Medici era stato costretto a ritirarsi a Castel Sant’Angelo per diciotto giorni, mentre le truppe lanzichenecche mettevano a ferro e fuoco la città.
Il girotondo delle alleanze del Papa per salvaguardare i propri territori si tradusse per Carlo V, nel corso del secolo, nell’alternanza tra aperti attacchi a Roma (il Sacco di Roma, 1927) e il costante tentativo di controllo diretto sull’elezione dei pontefici; nell’insistenza della richiesta di Carlo V a Clemente VII di convocare un Concilio (1530), perseguita attraverso un’intensa attività diplomatica a questo scopo55; nell’organizzazione di un cerimoniale che costituisse una sua pubblica
legittimazione da parte del Papa (l’incoronazione di Bologna del 24 febbraio 1530), a cui sarebbero seguite, solo un mese più tardi, la Dieta di Augusta (22 marzo 1530) e la confessio augustana, che può considerarsi come il momento in cui i protestanti assunsero coscienza della propria forza e libertà confessionale56. Quest’ultima sarebbe stata rettificata da Carlo V anche nella pragmatica di Nuremberg (agosto 1532), contestualmente al ruolo che i protestanti avevano avuto nella liberazione di Vienna dall’offensiva turca, accanto all’Imperatore. Il posizionamento «intermedio» è quindi implicito alla politica internazionale di Carlo V, che ritroveremo ancora pienamente in vigore, come si vedrà in alcuni documenti di Francisco de Vargas, negli anni Cinquanta, quindi nell’ultima fase del suo governo e dopo oltre un ventennio dalla morte del Gran Cancelliere. Solo l’abdicazione di Carlo V avrebbe segnato la definitiva presa di coscienza del fallimento dell’utopia universalistica del Gattinara sul piano religioso. Il Principe Filippo era inevitabilmente destinato, viste tali premesse escatologiche e riformatrici, ad avere un peso politico-religioso imparagonabile a quello del padre, che era stato assunto quasi a messia di una nuova Cristianità. In primis, egli avrebbe perso il titolo di Sacro Romano Imperatore, eredità che sarebbe spettata a Ferdinando, fratello di Carlo V, e che aveva garantito al padre la sua influenza su Roma. Gli obiettivi non raggiunti da Carlo V sul piano religioso avrebbero finito con l’alimentare il successivo confessionalismo della monarchia ispanica,
56 La Dieta di Augusta fu convocata da Carlo V, che si presentava in questo momento come mediatore tra la parte protestante – inizialmente ridotta a pochi principi e a territori ridotti - e quella cattolica dominante. I cattolici rifiutarono la Confessio
augustana, e chiesero all'Imperatore di rettificarla, attraverso una Confutatio. Carlo
V accettò, convertendo la mediazione tra le due parti in difesa della parte dominante, cattolica, dell’Impero. L’apertura iniziale dell’Imperatore, che aveva lo scopo di risolvere le fratture confessionali, finì col mettere in luce da un lato la sua fragilità politica in materia religiosa e, dall’altro, la forza e la coesione del gruppo protestante, che si sarebbe presto coalizzato nella Lega di Smalcalda (27 febbraio 1532). Si veda, sul tema, MILLÁN, “La lucha en el contexto de la Monarchia Universalis: la defensa del catolicismo”, in MILLÁN, 2000, II, pp. 171-185.
che inizia con Filippo II, ombra fragile di quell’Impero su cui il sole iniziò a tramontare proprio con lui57.
3.5 Carlo V e l’umanesimo a corte: dall’erasmismo