2.2 Sul De Civitate Dei di Sant’Agostino
2.2.3 Il Paradiso e la negazione del nesso con il De Civitate Dei
È Michael Bierwirth nella sua monografia del 2002 dedicata al di-pinto66 che avvia la prima opera di riorganizzazione dei dati disponibili sulla Trinità. Fa il punto della situazione, raccoglie le fonti, e ne indaga l’iconologia, comparando figura per figura le principali proposte prece-denti con altri esempi. E arriva ad una conclusione: secondo lo stu-dioso i riferimenti tizianeschi hanno più a che vedere con la tradizione veneziana delle rappresentazioni del Paradiso, di cui un prototipo ve-neziano sarebbe riconoscibile nell’affresco del Guariento a Palazzo Du-cale, semi-distrutto nell’incendio del 1577 (fig. 82), che a quelli propo-sti da Panofsky.
Una prova di questa corrispondenza, secondo Bierwirth, si riscontre-rebbe nel fatto che dopo l’incendio a Palazzo Ducale, per la sala del Gran Consiglio fu richiesta un’opera il cui soggetto fosse una “Gloria dei Beati in Paradiso”. Gli autori del programma alludevano ad una rappresentazione simile a quella del Guariento e la rinuncia ad una descrizione dettagliata indicherebbe che un veneziano sapeva cosa rap-presentare quando gli veniva richiesto un “Paradiso” o una “Gloria dei Beati in Paradiso”67.
È sensato e condivisibile, mi pare, il riscontro di Bierwirth di una fa-miliarità generale tra l’impianto corale complessivo delle immagini tra-dizionali di Paradiso, che al centro presentano per lo più scene di in-coronazione della Vergine: un prototipo del tutto simile a quello del Guariento citato dall’autore si può osservare meglio nella tavola del Maestro di Ceneda conservato alle Gallerie dell’Accademia (fig. 83). En-tro questo schema, con le figure di Cristo e di Maria isolate al cenEn-tro della scena, rientra anche il successivo Paradiso del Tintoretto nella
66 BIERWIRTH, 2002. 67 BIERWIRTH, 2002, p. 96.
sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale (fig. 84). Ed è quest’ultimo dipinto, soprattutto, che corrisponde all’oggetto del reale collegamento ideale che Bierwirth propone con la Trinità tizianesca, e rispetto al quale cerca un collegamento storico-artistico nella precedenza dell’im-magine distrutta del Guariento, come a voler inserire in una catena cronologica ideale e tutta veneziana le tre immagini, aprendo poco a poco il cammino verso le paradisiache glorie già seicentesche. Ma è esattamente in questo punto che verifichiamo che l’indagine di Bier-wirth ha uno scopo diverso, forse diametralmente opposto, a quello di Panofsky: il primo ha cercato le vie della continuità iconologica, il se-condo indagava le ragioni della sua discontinuità, dell’inventio. Per questo motivo, il riscatto di Bierwirth della tradizione veneziana di rap-presentazione del Paradiso è in sé tutt’altro che errato, eppure la rico-struzione storica e filologica su questo punto, che è il principale, pare insufficiente come ipotesi alternativa a quella panofskiana, quale si propone: dovremmo piuttosto considerarla complementare.
Del Paradiso del Guariento resta visibile una traccia e ciò che si vede si distanzia in alcuni punti evidenti con l’iconologia della Trinità di Ti-ziano: manca in primis proprio la Trinità, che è invece, come indicano inequivocabilmente le fonti, quanto l’impianto compositivo dell’imma-gine, un suo elemento imprescindibile. Ciò che Panofsky ricercava era una continuità iconologica di questo elemento e della sua associazione con Maria mediatrice, proprio perché non si tratta di un mero dettaglio, ma del veicolo privilegiato di decodificazione del significato dell’inven-zione tizianesca, ovvero delle ragioni specifiche, contestuali, della sua iconologia. In questo senso, Bierwirth sembra non tener conto del fatto che l’ipotesi panofskiana evidentemente implicava, e non escludeva, le immagini tradizionali di Paradiso: che il termine di paragone siano Dü-rer e le rappresentazioni (di Paradiso, beninteso) del De Civitate Dei, Guariento o il Maestro di Ceneda, il problema era e resta la compren-sione delle ragioni storiche e contestuali della variante tizianesca. Il
contributo di Bierwirth resta però fondamentale: è il primo che, dopo una dettagliatissima indagine iconologica su ciascuno dei personaggi, arriva finalmente ad individuare uno degli elementi fondamentali di sostanziale difformità della Trinità tizianesca dalle rappresentazioni del De Civitate Dei: quella che definisce come una «sorprendente» man-canza di figure come Pietro e Paolo, o una rappresentazione del Papa, che normalmente rientrano nell’immaginario della comunità dei beati
in Paradiso delle rappresentazioni della Civitas Dei. L’autore azzarda
anche di avere il sospetto che nell’immagine in modo cosciente si do-vesse evitare una relazione con la Chiesa romana,68 avvicinandosi in questo punto, per la prima volta, ad una valutazione indipendente sull’implicita centralità della questione riformistica-controriformistica. Le ragioni della prudenza scientifica lo inducono poi, però, non solo a lasciare aperta questa ipotesi senza indagarla oltre, ma a rincarare, per altre vie, la già altissima dose di “controriformismo” delle letture pre-cedenti, suggerendo un nesso testuale dell’immagine con la bolla
Be-nedictus Dei di Papa Benedicto XII del 29 gennaio del 1336 e l’idea
della visio dei in essa contenuta69.
La questione di fondo è però che uno studio analitico della Trinità ti-zianesca tende a negare e non a confermare l’idea che essa sia un “ma-nifesto della Controriforma”. Se lo è diventata, è per tre motivi princi-pali: il fatto che essa costituisce una delle straordinarie invenzioni ti-zianesche, soggette a spiegazioni che hanno spesso a che fare con le proiezioni culturali di chi interpreta; l’associazione erronea ed anacro-nistica dell’agostinismo cinquecentesco alla Controriforma in senso cattolico-romano; il peso della connotazione controriformista delle glo-rie paradisiache barocche del XVII secolo.
68 BIERWIRTH, 2002, p. 89.
2.2.4 Tra fonte e interpretazione: una visione infernale dal De