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Le condizioni di possibilità dell’emergenza degli STS 1 Il discorso sulla scienza: chi è legittimato a parlare di scienza?

2. Istituzionalizzazioni disciplinar

Nel passaggio fra XIX e XX secolo la corrente del positivismo si era attestata come un punto di riferimento intellettuale imprescindibile sia in filosofia sia nei dibattiti intorno alle scienze. In particolar modo nelle scienze sociali il pensiero comtiano era stato un volano per l’istituzionalizzazione e la professionalizzazione di alcune discipline fra cui la sociologia e la storia della scienza. Sono così emerse in breve tempo tutta una serie di correnti come il pragmatismo, il convenzionalismo, l’empiriocriticismo e lo strumentalismo (Oldroyd 1986, 220) che, pur prendendone le distanze, restavano legate per alcuni aspetti al positivismo. Da un punto di vista istituzionale, la prima cattedra che è possibile individuare nell’ambito della filosofia della scienza è quella creata a Zurigo nel 1870 sotto il titolo di «filosofia delle scienze induttive». Attribuita al filosofo e sociologo tedesco Friedrich Albert Lange (Schnädelbach 1984, 243) ed ereditata poi dal neokantiano Wilhem Windelband e, successivamente dal padre dell’empiriocriticismo Richard Avenarius, questa cattedra era stata istituita con il preciso scopo di mettere in comunicazione le scienze speciali con la filosofia, senza che quest’ultima dovesse perdere la sua autonomia (dunque in una certa continuità con il positivismo). Successivamente, nel 1885, il fisico, filosofo e storico Ernst Mach venne nominato titolare per la cattedra in «storia e teoria delle scienze induttive» presso l’università di Vienna e, grazie alla sua fama, la filosofia della scienza cominciò ad avere una vera e propria diffusione (Lorenzano 2010, 5). In Francia una prima cattedra in questo ambito fu istituita invece nel 1909 con il nome di Histoire de la philosophie dans ses rapports avec les

sciences exactes e fu attribuita a Gaston Milhaud. Quest’ultima era stata ereditata in un

secondo momento da Abel Rey e poi successivamente da Gaston Bachelard con il nome di

Épistémologie et histoire des sciences.

Anche la storia della scienza come disciplina ottenne una sua autonomia istituzionale solo alla fine del 1800 in Francia. Nel 1832 Comte inviò una lettera a François Guizot (al tempo ministro per l’educazione pubblica) per chiedere ufficialmente la creazione della prima cattedra di «Histoire générale des sciences» presso il Collège de France (Cfr. Petit 1995). Dopo un netto rifiuto, Comte provò almeno altre due volte (nel 1846 e nel 1848 dopo la rivoluzione) a proporre l’istituzionalizzazione di questa cattedra di cui venne accettata la creazione solamente più di trent’anni dopo la sua morte. Tale cattedra fu istituita nel 1892 e ricoperta dal suo principale discepolo Pierre Laffitte. Quest’ultimo però non era stato in grado di comprendere la reale portata dell’attribuzione di quest’incarico, lasciando piuttosto a Paul Tannery, anch’esso legato alla tradizione comtiana, il compito di dare una veste realmente scientifica alla della storia della scienza (cfr. Braunstein 2008; Sarton 1913, 10).

Anche nella tradizione anglofona è possibile rintracciare una diretta filiazione con il programma positivista: George Sarton —autore Belga emigrato negli U.S. dal 1915— pubblicò, fra il 1927 e il 1947, una pioneristica e monumentale opera in tre volumi dal titolo

Introduction to History of Science. Tramite quest’ultima si attestò come il padre della storia

della scienza intesa come disciplina professionale negli Stati Uniti. Nel suo celebre articolo di apertura della rivista Isis30, egli dichiara una continuità con il progetto di una «Histoire

générale des sciences» di Comte (Sarton 1913, 10). Sarton era preoccupato dall’opposizione che si era consolidata fra la cultura umanistica e quella scientifica e, in tal senso, vedeva nella storia della scienza l’occasione per creare un terreno culturale comune (Cfr. Dear 2009). Agli inizi del XX secolo si era inoltre creato un gruppo di studiosi afferenti a varie discipline che si riunivano regolarmente a Vienna fra il 1922 e il 1936 e che proponevano una versione del positivismo aggiornata alle recenti scoperte scientifiche e ai più contemporanei dibattiti filosofici. È con Circolo di Vienna, ispirato dall’empiriocriticismo di Mach e Avenarius, che la professionalizzazione della filosofia della scienza prende effettivamente avvio. Nel 1924 infatti Moritz Schlick ereditò la cattedra di Mach con il nome di «filosofia delle scienze induttive» attorno a cui si era costituito un gruppo eterogeneo di scienziati, filosofi e intellettuali provenienti da varie discipline. Oltre allo stesso Schlick, organizzatore di questi incontri ogni giovedì pomeriggio, i partecipanti fissi erano: Hans Hahn, Philipp Frank, Otto Neurath, Rudolf Carnap, Herbert Feigl, Richard von Mises, Karl Menger, Kurt Gödel,

30 La rivista Isis è stata pubblicata a Ghent nei Paesi Bassi ma, in breve tempo, conquistò una notorietà e una circolazione internazionale.

Friedrich Waismann, Felix Kaufmann, Viktor Kraft e Edgar Zilsel31. Accanto a questi vi

erano inoltre dei partecipanti occasionali come Alfred Tarski, Hans Reichenbach, Carl Gustav Hempel, Willard Van Orman Quine, Ernest Nagel, Alfred Jules Ayer, Oskar Morgenstern and Frank P. Ramsey. Anche Ludwig Wittgenstein e Karl Popper avevano avuto stretti contatti con il Circolo di Vienna con occasionali incontri informali. Questa tradizione filosofica viennese era stata chiamata anche “Movimento per l’unità della scienza” e comprendeva al suo interno quel percorso che a partire dalle tesi esposte in Die mechanik di Ernst Mach arriva fino alle analisi sul piano logico-linguistico. Questa posizione epistemologica, politicamente impegnata32, si poneva come suo principale obiettivo l’eliminazione della metafisica e

l’unificazione della scienza sotto un unico linguaggio logico. D’altronde in Austria, e nei paesi asburgici in genere, si era prodotto un clima intellettuale che aveva favorito l’attestarsi di un atteggiamento empirista grazie a una mancata diffusione degli sviluppi dell’idealismo tipici dell’atteggiamento tedesco in filosofia e di quello che Neurath stesso chiama «l’intermezzo kantiano» (Cfr. Campelli 1999, 196). Nella Critica della ragion pura Kant aveva incardinato le teorie della conoscenza scientifica sul sapere matematico. Proprio nel contesto dell’idealismo tedesco si era affermata all’inizio del XX secolo una corrente neo- criticista i cui maggiori protagonisti furono Wilhelm Dilthey, Wilhelm Windelband e Heinrich Rickert (Cfr. ivi, 143). In particolar modo è a Dilthey che si devono le celebri distinzioni fra scienze della natura e scienze dello spirito, così come quelle fra “comprendere” e “spiegare” (fondamentali per lo sviluppo delle scienze sociali). Proprio questi elementi cardinali del suo pensiero, rappresentano delle prese di posizioni critiche rispetto sia al positivismo comtiano, sia alla filosofia della storia hegeliana. In Germania inoltre, in continuità con il progetto proposto dai viennesi, era stato fondato nel 1920 il così detto Circolo di Berlino animato da Hans Reichenbach, Kurt Grelling e Walter Dubislav e composto da filosofi e scienziati come Carl Gustav Hempel, David Hilbert e Richard von Mises (quest’ultimi proponevano un empirismo logico). Insieme al Circolo di Vienna pubblicarono la rivista Erkenntnis, curata da Rudolf Carnap e Reichenbach, e organizzarono numerosi congressi, il primo dei quali ebbe luogo a Praga nel 1929. Con l’avvento del nazismo, molti degli autori che avevano animato il neo-positvismo e l’empirismo logico furono costretti emigrare negli Stati Uniti. Questa migrazione intellettuale fu una delle concause di un massiccio processo di istituzionalizzazione e diffusione della filosofia della scienza nei paesi anglofoni.

31 In particolar modo avremo modo di ritornare fra qualche pagina sulla figura di Zilsel. Questo autore ha assunto un ruolo genealogico specifico rispetto all’emergenza degli STS anche nell’applicazione di una metodologia marxista alla storia della scienza.

In ambito sociologico vi erano stati già dei precedenti europei nell’ambito della sociologia della conoscenza che risultano esser particolarmente interessanti per comprendere le condizioni di possibilità di emergenza degli STS. Anche in questo caso, come per la filosofia e la storia delle scienze, non possiamo far a meno di prender le mosse dal positivismo di Comte. Com’è ben noto, è infatti all’interno sistema comtiano che viene coniata la parola sociologia e posta come disciplina unificatrice di tutte le scienze. Al di là del nome, all’interno del campo intellettuale francese è però ad Émile Durkheim che si devono le prime vere e proprie analisi sociologiche, nonché le prime tappe dell’istituzionalizzazione della sociologia. Dopo anni di insegnamento in pedagogia presso l’università di Bordeaux, nel 1902 Durkheim venne accolto alla Sorbona e nel 1913 incominciò a insegnare sociologia. Già a partire dal 1902, in un articolo co-firmato con Marcel Mauss, è possibile rintracciare all’interno del pensiero di Durkheim una certa attenzione all’analisi sociologica della conoscenza. È appunto in De quelques formes primitives de classification che i due autori analizzano le differenti modalità con cui le strutture sociali influenzano la genesi delle categorie e dei sistemi di raggruppamento logico di una società33. In particolar modo è negli

anni dieci, con Les formes élémentaires de la vie religieuse che Durkheim porta a compimento l’analisi dell’impatto della società sui sistemi logici e di pensiero di una cultura al fine di sviluppare un programma interno alla sociologia che riconoscesse a questa disciplina la capacità di penetrare con le sue analisi nei contenuti della conoscenza. In questo testo infatti Durkheim, dopo aver criticato l’apriorismo kantiano, stabilisce che le categorie sono sempre culturalmente e socialmente determinate. Anche per Durkheim la questione dell’unità e dell’unitarietà del sapere assumeva un ruolo fondamentale (Brian 2012a; 2012b) e, seguendo i principi del pensiero comtiano, la sociologia doveva esser posta al di sopra di tutte le altre scienze. Marcel Mauss, Maurice Halbwachs, Francois Simiand e Henri Hubert, tutti stretti attorno alla rivista fondata dal loro maestro L’année sociologique proseguirono questo progetto intellettuale di accentramento degli sforzi delle scienze sociali intorno all’unico pilastro della sociologia (Cfr. Revel 1996, 15). Nonostante Durkheim avesse ipotizzato uno studio della conoscenza scientifica tramite dispositivi analitici sociologici, né lui né gli altri intellettuali raccolti attorno a L’année sociologique portarono a compimento una tale operazione (Bloor 1976, 1-2).

Sempre in Europa, ma questa volta in Germania, era stato il sociologo tedesco di origine ungherese Karl Mannheim ad esser considerato fra i fondatori della sociologia della

33 In parte Durkheim andava già in questa direzione con la sua analisi contenuta nel celebre saggio dedicato ai rapporti fra rappresentazioni individuali e rappresentazioni collettive.

conoscenza come sotto-disciplina autonoma34. Dopo esser stato influenzato dalle posizioni

marxiste del suo connazionale György Lukács, si trasferì in Germania dove ebbe l’occasione di entrare in contatto con il pensiero weberiano sostenendo una tesi di dottorato con Alfred Weber (fratello di Max Weber). In territorio tedesco ebbe inoltre occasione di entrare in contatto con Georg Simmel, Husserl e altri grandi intellettuali dell’epoca nonché di ottenere una cattedra presso l’università di Francoforte. Con Ideologie und Utopie in Mannheim si vengono ad intrecciare tutta una serie di tendenze interne al pensiero tedesco che confluiscono nella formulazione del programma della sociologia delle idee. Se nella versione di Marx l’ideologia è il risultato di un pensiero socialmente condizionato dall’appartenenza di classe, la cui conseguenza è la produzione di false rappresentazioni della realtà (falsa coscienza), in Mannheim il concetto viene esteso a tutta la conoscenza per la quale ogni sistema sociale è correlato ad una propria weltanschauung (Izzo 1966, 43-44). Il pensiero è sempre, dalla prospettiva di Mannheim, socialmente determinato al di là delle appartenenze di classe. In secondo luogo per Mannheim anche lo storicismo di Dilthey aveva giocato un ruolo determinante per l’elaborazione della postura epistemologica che lui chiama relazionismo (per evitare l’utilizzo della parola relativismo). Quest’ultima consiste nel riconoscere la natura storica del pensiero che non può dirsi relativista perché il relativismo nasconde sempre una pretesa di verità assoluta che si sottrae appunto al darsi della storia. Al condizionamento del pensiero da parte della società si aggiunge inoltre un condizionamento di tipo storico. Il riconoscimento di questa doppia articolazione del pensiero non deve esser oggetto di pretesa eliminazione del condizionamento socio-storico, bensì è finalizzato alla presa di coscienza intellettuale e all’elaborazione di una nuova posizione epistemologica. In particolare i bersagli polemici di queste elaborazioni di Mannheim erano proprio le varie declinazioni assunte dal positivismo a lui contemporaneo che cedevano alla fascinazione di applicare i criteri di verità tratti dalle scienze fisiche e matematiche a tutta la conoscenza. Nonostante ciò, come per Durkheim, anche Mannheim non applica la sua sociologia della conoscenza al caso delle scienze. Al contrario afferma chiaramente che le scienze naturali e quelle matematiche sono sottratte da tali condizionamenti socio-storici. A causa dell’avvento del nazismo, nel 1933 Mannheim lasciò Francoforte per spostarsi in Inghilterra dove aveva ottenuto una cattedra in pedagogia presso la London School of Economics (LSE). Durante questo periodo londinese le idee di Mannheim incominciarono a circolare nel mondo anglofono e nel 1936, su impulso

34 Nonostante sia la paternità della sociologia della conoscenza sia un tema dibattuto, riconosciamo a Max Sheler di aver coniato il termine wissenssoziologie (Berger e Luckmann 1966, 16) che ha scaturito poi un grande dibattito in tutta la Germania (Cfr. Aron 1950). È però a Mannheim che si deve la formulazione che ha avuto maggiore seguito nei paesi anglofoni (Berger e Luckmann 1966, 25).

dei sociologi di Chicago35 Louis Wirth e Frank Knight, il giovane Edward Shils tradusse in

inglese Ideology and Utopia36. L’espulsione di alcuni autori dai territori di influenza tedesca

durante il periodo nazista, e la loro fuga negli Stati Uniti (i Viennesi) o in Inghilterra (Mannheim e Popper), ha contribuito alla diffusione e traduzione delle opere, aprendo così scenari di importanti contaminazioni intellettuali.