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L’applicabilità delle sanzioni: tesi a confronto

Addentrandoci ora nella questione della irrogabilità delle sanzioni al fenomeno elusivo occorre da subito precisare come essa sia particolarmente complessa. Tale complessità deriva innanzitutto da un silenzio della normativa, ma anche in seguito al fatto che il fenomeno elusivo, a differenza dell’evasione, non costituisce una violazione delle norme tributarie ma un loro aggiramento. Tutto ciò ha indotto la dottrina ad esprimersi più e più volte in merito a tale problematica, senza mai arrivare a delle univoche conclusioni380.

Per ciò che concerne l’applicabilità delle sanzioni amministrative, la dottrina oscilla infatti tra due opposti orientamenti che muovono da diverse considerazioni circa la natura dell’articolo 37-bis del D.P.R. n. 600/1973.

La tesi favorevole parte dall’assunto che tale articolo abbia un carattere sostanziale, pertanto esso non solo legittima l’Amministrazione a disconoscere gli indebiti vantaggi fiscali ottenuti a seguito di un comportamento elusivo, ma fa nascere, in capo al soggetto passivo d’imposta, dei veri e propri obblighi di contribuzione. Egli, risultando quindi un’ulteriore destinatario diretto della norma, fin dal momento della predisposizione della dichiarazione dei redditi è tenuto ad osservare il complessivo quadro giuridico, con particolare riferimento anche al suddetto articolo 37-bis. In virtù di ciò egli deve predisporre la propria dichiarazione in modo tale da non beneficiare di vantaggi non spettanti. Contrariamente, se dalla come elemento specializzante anche il fatto che il soggetto è un autotrasportatore che svolge determinate operazioni intracomunitarie. Decidere quindi qual è la sanzione specializzante rispetto all’altra non è sempre facile.

379 Comma 1, art. 21 del D.Lgs. n. 74/2000.

380 OCCHETTA L., Abuso del diritto, le novità del decreto sulla certezza del diritto nei rapporti tra Fisco e contribuente, cit., pp. 27 ss..

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dichiarazione, in quanto viziata da un comportamento elusivo, non emerge il reddito che il soggetto ha effettivamente realizzato, si può affermare che tale dichiarazione è infedele ai sensi dell’articolo 1, comma 2 del D.Lgs. n. 471 del 18 Dicembre 1997 e sono pertanto applicabili le sanzioni amministrative. In tale dichiarazione il soggetto passivo d’imposta, in seguito al suo comportamento elusivo, ha infatti indicato una minore imposta rispetto a quella dovuta o un reddito imponibile minore rispetto a quello che è stato accertato. L’articolo in questione concorrerebbe pertanto ad individuare l’effettivo ambito operativo della norma impositiva elusa, facendo sì che essa risulti applicabile anche a fattispecie che non sono formalmente coincidenti con il suo campo di applicazione381.

Secondo la tesi opposta, e quindi a favore della non rilevanza amministrativa dell’elusione, l’articolo 37-bis ha una natura procedimentale ed è rivolto unicamente all’Amministrazione Finanziaria. Essa in sede di accertamento, ha il potere-dovere di riprendere a tassazione l’imposta dovuta, senza infliggere alcuna sanzione. Pertanto in sede di dichiarazione dei redditi non si prefigurerebbe in capo ai soggetti passivi d’imposta alcun obbligo di “autodisconoscimento” dei propri vantaggi. Non si verrebbero così a creare i presupposti per l’applicazione di quanto previsto per le infedeli dichiarazioni, comprese anche le relative sanzioni, poiché le maggiori imposte verrebbero rilevate solamente in un momento successivo rispetto all’inoltro della dichiarazione stessa, ovvero in sede di controllo. I sostenitori di tale tesi pongono alla base della loro interpretazione innanzitutto il fatto che il legislatore abbia collocato l’articolo 37-bis all’interno del D.P.R. n. 600/1973, il quale contiene disposizioni in materia di accertamento. Inoltre, soffermandosi sul significato letterale dell’articolo 37-bis, si può notare come esso si rivolga direttamente all’Amministrazione Finanziaria, attribuendole determinati poteri di accertamento. L’articolo inoltre contiene, nei commi 2, 4, 5 e 7 un dettagliato impianto procedurale sia anteriore, che posteriore all’emissione dell’avviso di accertamento382

.

Anche la giurisprudenza si esprime nel merito della rilevanza sanzionatoria dell’elusione con orientamenti altrettanto frammentari ed opposti, fornendo così un

381

CORRADO L., Elusione tributaria, abuso del diritto (comunitario) e inapplicabilità delle sanzioni amministrative, in Rivista di diritto tributario, cit., p. 579.

382 CORRADO L., Elusione tributaria, abuso del diritto (comunitario) e inapplicabilità delle sanzioni amministrative, in Rivista di diritto tributario, cit., p. 580.

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quadro poco uniforme ed estremamente complesso383. Le Commissioni tributarie si sono più volte espresse in senso contrario sostenendo che “non si può richiedere al contribuente di operare, nella dichiarazione dei redditi, un autodisconoscimento di operazioni lecitamente effettuate”384

. Inoltre “la figura della sanzione non sarebbe coerente con la fattispecie elusiva , il disconoscimento dei vantaggi tributari conseguiti rappresenta già in sé una sanzione sufficiente per un comportamento che, per aspetti diversi a quelli riferibili all’art. 37-bis, appare lecito”385

.

Diversamente la Suprema Corte si è più volte espressa a favore dell’irrogabilità di sanzioni amministrative relativamente ai comportamenti elusivi386. Tuttavia, poiché l’irrogazione delle sanzioni implica “l’esistenza di un fondamento normativo chiaro ed univoco”387

, “che non è certamente ravvisabile nel caso di violazione di un mero principio generale”388 occorre sottolineare come la Corte di Giustizia e la Corte di Cassazione abbiano escluso l’applicabilità di sanzioni amministrative nei casi di contestazione dell’abuso del diritto.

Per ciò che concerne invece la possibile rilevanza penale dei comportamenti elusivi, occorre ricordare come la Corte di Cassazione si sia recentemente pronunciata389 a favore della punibilità delle condotte elusive codificate, ossia quelle espressamente previste da specifiche disposizioni, ponendo così nuovamente l’attenzione su questa problematica.

Si può osservare in generale che i pronunciamenti della Corte a favore dell’applicabilità delle sanzioni, siano esse amministrative o penali, hanno sempre fatto riferimento ai soli casi di elusione codificata, e non quindi a quelli di abuso del diritto. Posto che l’ordinamento giuridico ricollega all’inosservanza delle norme determinate sanzioni, ed essendo l’abuso ricompreso in un principio generale non positivizzato in una specifica norma vigente, che ne descrive la fattispecie punibile in

383

OCCHETTA L., Abuso del diritto, le novità del decreto sulla certezza del diritto nei rapporti tra Fisco e contribuente, cit., p. 28.

384 Commissione tributaria provinciale di Milano, sezione XIV, sentenza 13 Dicembre 2006, n. 278. 385

Commissione tributaria provinciale di Vicenza, sezione III, sentenza 28 Gennaio 2009. n. 6.

386

Ad esempio Corte di Cassazione sentenze n. 25374 del 17 Ottobre 2008 e n. 12249 del 19 Maggio 2010.

387 Corte di Giustizia, 21 Febbraio 2006, causa C-255/02, Halifax: “la constatazione dell’esistenza di un comportamento abusivo non deve condurre ad una sanzione, per la quale sarebbe necessario un fondamento normativo chiaro e univoco”.

388 Cass. pen., 28 Febbraio 2012, n. 7739.

389 Cass. pen., 28 Febbraio 2012, n. 7739 -sentenza Dolce&Gabbana- di cui seguirà un’approfondita

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modo chiaro ed univoco, la Corte si è spesso ritrovata a dover concludere che non può essere erogata alcuna sanzione in caso di abuso del diritto390.

Anche la maggior parte della dottrina ha da sempre sostenuto tale teoria, ritenendo che l’abuso del diritto è sostanzialmente estraneo all’ambito del diritto penale principalmente per due motivi. Innanzitutto esso è strutturalmente incompatibile con il principio di legalità, inoltre, sostanziandosi in un comportamento atipico, contrasta anche il principio di tipicità, che è uno dei corollari fondamentali del diritto penale391.