• Non ci sono risultati.

La ricerca di una clausola generale antielusione: dall’art 10 comma uno della

Risulta doveroso effettuare un breve excursus storico per comprendere pienamente come, al fine di perseguire i comportamenti elusivi, siano state elaborate nel corso del tempo varie soluzioni normative.

A partire dalla fine degli anni ’80, data l’inadeguatezza dei rimedi allora codificati e rappresentati prevalentemente dalle presunzioni legali, si è ampiamente discusso circa la possibilità di introdurre nell’ordinamento giuridico italiano una clausola antielusiva avente un carattere generale, destinata cioè a poter essere applicata in ogni circostanza e in ogni settore impositivo179.

Il primo tentativo di emanazione si ebbe nel 1986 con il progetto Piro- Formica, in seguito alla sempre più crescente necessità di arginare il fenomeno delle fusioni per incorporazione di società caratterizzate da sole perdite fiscali180 che in quel periodo stava iniziando a prendere piede. Tale progetto fu seguito da varie proposte di legge che furono però abbandonate. Esse infatti destavano una certa

178 TABELLINI P., L’elusione nella norma tributaria, cit., p. 40. 179

Così TABELLINI P., L’elusione nella norma tributaria, cit., p. 129.

180 Come già illustrato la finalità era quella di consentire all’incorporante la possibilità di dedurre le

perdite pregresse della società incorporata. TABELLINI P., L’Elusione della norma tributaria, cit., p. 130.

55

perplessità in quanto si tendeva a lasciare all’Amministrazione Finanziaria un pericolosissimo e incontrollabile margine di discrezionalità. Si attribuiva infatti agli Uffici, previa autorizzazione del competente ispettorato, il potere di “considerare irrilevanti” gli atti, anche formalmente leciti ma aventi come “causa esclusiva o principale” il perseguimento di un risparmio d’imposta181

.

Un secondo progetto antielusione è rappresentato dal disegno di Legge 1301 presentato al Parlamento dal Ministero delle Finanze nel 1988. In particolare l’articolo 31 è stato definito come il classico “esempio di pasticcio all’italiana”, poiché conteneva nel primo comma 1 una vera e propria definizione di elusione avente un carattere prevalentemente generale: “Si ha elusione di tributo quando le parti pongono in essere uno o più atti giuridici tra loro collegati al fine di rendere applicabile una disciplina tributaria più favorevole di quella che specifiche norme impositive prevedono per la tassazione dei medesimi risultati economici che si possono ottenere con atti giuridici diversi da quelli posti in essere” 182. Nel secondo comma però il legislatore aveva elencato una serie di atti potenzialmente elusivi lasciando tuttavia all’Amministrazione la discrezionalità di individuare tali atti. Infine un’ulteriore aspetto negativo era che la disposizione avrebbe avuto un effetto retroattivo sugli atti già posti in essere prima del loro inserimento in tale elencazione. Furono proprio tali circostanze a far sì che la proposta fu bocciata dal Parlamento in quanto ritenuta sostanzialmente scorretta.

Il tentativo più organico di emanazione di una norma nella lotta all’elusione183

si ebbe con il disegno di Legge delega n. 3705 (c.d. Legge Colombo) che venne presentato alla Camera dei deputati l’8 Marzo 1989. Esso tuttavia decadde per fine legislatura a causa di un complesso iter e delle numerose modifiche subite184.

Successivamente l’approvazione dell’articolo 10 della Legge 408 del 29 Dicembre 1990 segnò una svolta importante. In questo nuovo articolo si è valutato di

181

Proposta di Legge n. 3461 presentata il 4 Febbraio 1986 dai deputati Piro, Formica, Rufolo, Colucci, Borgoglio.

182 BONAZZA P., Le valide ragioni economiche nell’art. 37-bis del D.P.R. 600/1973, in Bollettino tributario d’informazioni, 2006, p. 1094.

183 Così TABELLINI P., L’elusione nella norma tributaria, cit., p. 133. 184

Poiché nella versione originaria il potere di qualificare un dato comportamento come elusivo era attribuito al Governo, mediante un procedimento più o meno complesso, la maggior parte di tali modifiche mirava ad attribuire questo potere agli uffici accertatori “previo parere favorevole dell’Avvocatura dello Stato”. TABELLINI P., L’elusione nella norma tributaria, cit., p. 135.

56

non inserire alcuna definizione del concetto di elusione ma di esprimere, invece, il concetto in termini negativi185. Esso aveva origini eterogenee186: da un lato, infatti, presentava alcuni aspetti ed alcune espressioni in comune con il comma 1, lettera a) dell’articolo 11 della Direttiva CEE n. 434 del 23 Luglio 1990, dall’altro lato si collegava ai numerosi ed abbandonati progetti antielusione che lo avevano preceduto, ed in particolare al disegno di Legge 5108 del 1990. Attraverso tale disposto si consentiva infatti all’Amministrazione Finanziaria di “disconoscere ai fini fiscali i vantaggi tributari conseguiti in operazioni di fusione, concentrazione, trasformazione, scorporo e riduzione di capitale poste in essere senza187 valide ragioni economiche ed allo scopo esclusivo di ottenere fraudolentemente un risparmio di imposta”188. Come si può facilmente intuire non si può ritenere che l’art. 10 sia una norma generale antielusiva, ma piuttosto la si può qualificare come una “norma antielusiva settoriale ispirata al criterio della generalità ma circoscritta in un determinato comparto”189. Essa inoltre non è una norma che assorbe la finalità antielusiva nella propria ratio, ma è una norma strutturalmente antielusiva che collega l’effetto giuridico del disconoscimento dei vantaggi tributari a quelle operazioni che contengono gli elementi per poterle identificare come elusive. Sotto il profilo analitico, affinché l’operazione venisse considerata elusiva dovevano essere presenti alcuni elementi: l’operazione posta in essere doveva innanzitutto essere priva di valide ragioni economiche, finalizzata ad ottenere un esclusivo vantaggio fiscale che doveva essere stato conseguito fraudolentemente ed infine doveva essere ricompresa tra le operazioni elencate nella norma. Il secondo requisito destava non

185 In tal senso BONAZZA P., Le valide ragioni economiche nell’art. 37-bis del D.P.R. 600/1973, in Bollettino tributario d’informazioni, cit., p. 1094.

186 TABELLINI P., Fusioni di società ed elusione d’imposta, in Rassegna tributaria, 1994, pp. 1133

ss..

187 È proprio la proposizione “senza” che fa sì che si esprima il concetto in negativo. Nel successivo

art. 37-bis tale espressione sarà sostituita da “privi di”. BONAZZA P., Le valide ragioni economiche nell’art. 37-bis del D.P.R. 600/1973, in Bollettino tributario d’informazioni, cit., p. 1094.

188 È questa la formulazione originaria di tale articolo. L’elenco delle operazioni potenzialmente

elusive è stato più volte oggetto di modifiche, sia additive che sottrattive, apportate dall’art. 28, comma 1 della Legge n. 724 del 23 Dicembre del 1994 e dall’art. 3, comma 26 della Legge n. 662 del 23 Dicembre 1996, mantenendo comunque sempre come elemento distintivo l’analiticità di tale elencazione. A partire dal 1 Gennaio 1997 l’art. 10 consentiva all’Amministrazione “di disconoscere i vantaggi tributari conseguiti in operazioni di concentrazione, trasformazione, scorporo, cessione di azienda, riduzione di capitale, liquidazione, valutazione di partecipazioni, cessione di crediti o cessione o valutazione di valori mobiliari poste in essere senza valide ragioni economiche allo scopo esclusivo di ottenere fraudolentemente un risparmio d’imposta”.

57

poche perplessità e problematiche in quanto la locuzione “fraudolentemente” da una parte era sovrapponibile alle condotte proprie della frode fiscale che era sanzionata da un punto di vista penale, dall’altra essa si poteva sovrapporre anche alla disposizione civilista che prevedeva la frode alla legge come una delle cause di nullità del contratto (art. 1344 c. civile)190.

Un’altra problematica era causata dall’utilizzo dell’ambigua espressione “scopo esclusivo”191

. La dottrina fu concorde nel ritenere che tale espressione, riflettendo una precisa scelta effettuata dal legislatore, dovesse essere interpretata secondo il suo significato letterale192. Ma così facendo l’attività accertativa degli Uffici fu fortemente limitata. Se infatti il contribuente fosse riuscito a dimostrare che l’operazione sospetta era caratterizzata da un fine ulteriore rispetto a quello di ottenere fraudolentemente un risparmio d’imposta, allora la disciplina sarebbe risultata inapplicabile193.

A causa di queste problematiche che portarono forti limitazioni dal punto di vista applicativo, l’articolo si rivelò ben presto inadeguato. Si susseguirono così numerose modifiche194 che non apportarono alcun sostanziale cambiamento, rendendo la norma di difficile applicazione. Fu così che nel 1996 il Parlamento delegò il Governo al fine di definire un’efficace disciplina volta a contrastare in maniera adeguata il fenomeno elusivo. Con il decreto legislativo sulle operazioni societarie dell’8 Ottobre 1997, n. 358 si colse allora l’occasione di inserire nel D.P.R. 600/1973 l’articolo 37-bis, di cui seguirà una dettagliata analisi.

190 SUCCIO R., Evasione ed elusione nella fiscalità internazionale, in Materiali di diritto tributario internazionale, cit., p. 350.

191 La Direttiva comunitaria 90/434/CEE, a cui l’articolo in questione si ispirava, faceva invece

riferimento all’“obbiettivo principale”. TABELLINI P., L’elusione nella norma tributaria, cit., pp. 138 e 141.

192

TABELLINI P., Fusioni di società ed elusione fiscale, in Rassegna tributaria, cit., pp. 1133 ss.. Anche la Suprema Corte di Cassazione condivide in più occasioni la necessità di attribuire alla locuzione “scopo esclusivo” un significato letterale. Si veda Cass. Civ., 15 Novembre 2000, n. 14776; Cass. Civ., 25 Marzo 2003, n. 4317.

193

TABELLINI P., L’elusione nella norma tributaria, cit., p. 142.

194 Principali modifiche dell’articolo: art. 1 comma 16 del D.Lgs. 30 Dicembre 1992, n. 543; art. 28

comma 1 della Legge n. 724 del 23 Dicembre 1994; l’art. 3 comma 26 della Legge n. 662 del 23 dicembre 1996 ed infine l’art. 9 al comma 5 del D.Lgs. 8 Ottobre 1997, n. 358.

58