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L’autotutela e la sua corretta identificazione

non convince perché di fatto conduce nuovamente a considerare coincidenti causa e tipo contrattuale, secondo un’impostazione che è stata da tempo abbandonata (cfr., oltre al già citato FERRI G.B., Cau-

sa e tipo nella teoria del negozio giuridico, cit., passim e “Contratto”, in Digesto delle discipline pri- vatistiche, sezione civile, IV, Torino, 1989, p. 114).

338 NARDI S., Appunti in tema di patto commissorio, cit., p. 330.

339 Secondo il dettato della disposizione «deve del pari rendersi pubblico, agli effetti previsti dall'arti-

colo precedente, ogni altro atto o provvedimento che produce in relazione a beni immobili o a diritti immobiliari taluno degli effetti dei contratti menzionati nell'articolo 2643, salvo che dalla legge risulti che la trascrizione non è richiesta o è richiesta a effetti diversi».

340 RADOCCIA I., La ratio del divieto del patto commissorio, cit., p. 225.

341 Secondo Cassazione civile, sez. II, sentenza del 7 aprile 1995, n. 4064 (in Giust. civ., 1995, fasc.

12, p. 3011 e ss., con nota di TULLIO A.) «il divieto del patto commissorio è istituito a presidio di un

interesse generale che coincide con l’interesse del contraente debole a non subire la coartazione dell’altro» (si veda anche Cassazione civile, sez. I, sentenza del 18 aprile 1984, n. 2544, in Foro it.,

rep. 1984, n. 93); invece, a parere di Cassazione civile, sez. I, sentenza del 18 febbraio 1977, n. 736, «il divieto del patto commissorio mira a tutelare la par condicio creditorum di fronte

all’inadempimento del debitore, e prescinde dalla ricorrenza di un pregiudizio per il debitore mede- simo» (conforme Cassazione civile, sez. II, sentenza del 19 maggio 2004, n. 9466, in Contratti, 2004,

È noto che il diritto romano di età imperiale prevedeva un sistema giudiziale di tu- tela dei diritti che riconosceva al potere pubblico l’esclusiva nell’amministrazione della giustizia. Pertanto, già da allora veniva sostanzialmente vietato ai privati farsi giustizia da sé, salvi i casi di legittima difesa rispondenti al principio del vim vi repel- lere licet. Il principio, o per così dire l’impostazione, si sarebbe tramandato attraver- so il diritto medievale fino alla codificazione moderna, e avrebbe trovato riscontro, quanto all’esperienza italiana, nell’art. 2907 c.c., secondo il quale «alla tutela giuri- sdizionale dei diritti provvede l'autorità giudiziaria»342.

È altrettanto nota la pagina bettiana in materia di autotutela. Secondo l’illustre Autore, la tutela del proprio interesse operata direttamente dall’interessato, se è rico- nosciuta alla pubblica amministrazione, è nello Stato moderno, in linea di principio, vietata ai privati. A questi «è permesso, in varie circostanze previste e tassativamen- te determinate, di provvedere a conservare e ad attuare quello stato di fatto che sia conforme al loro diritto o minacciato»343.

Esisterebbero in questa materia, secondo la teoria, due nodi fondamentali da scio- gliere: il primo circa la natura giuridica del potere di autotutela, il quale deriverebbe da precetti sanzionatori che si innestano, alla luce del loro carattere permissivo e sen- za possibilità di estensione analogica, nell’ordine statale moderno344; il secondo atter- rebbe alle modalità con cui i privati possono, mediante convenzioni, attribuirsi poteri di soddisfacimento coattivo delle proprie ragioni.

In altre parole, sarebbe dubbio se ed entro quali limiti sia consentito ai privati creare forme di autotutela convenzionale. Il problema avrebbe carattere non mera- mente ipotetico, in quanto esistono, da una parte, tipi legalmente individuati di auto- tutela consensuale con prevalente funzione satisfattoria (si pensi, a titolo di esempio, alla cessione dei beni ai creditori a scopo di liquidazione o all’anticresi) e, dall’altra, forme non autorizzate di autotutela consensuale come, appunto, il patto commissorio. A proposito di questo secondo problema, il Betti, avvertendo che in questo campo appare meno netta che in altri (ad esempio, in quello delle misure cautelari) la distin- zione tra difesa privata delle proprie ragioni ed autonomia privata, afferma che la so- luzione non può trovarsi in un’operazione di bilanciamento tra interessi privati, così da considerare ammissibili tutte le convenzioni in cui venga prestato il consenso per

342 Per un breve excursus storico sulla nascita del monopolio statale della forza si veda BIANCA C.

M., voce “Autotutela” (dir. priv.), in Enciclopedia del diritto, agg. IV, Milano, 2000, pp. 130-131.

343 BETTI E., voce “Autotutela”, inEnciclopedia del diritto, vol. IV, Milano, 1959, p. 529; la stessa

posizione è assunta da RESCIGNO P., Manuale di diritto privato, cit., p. 210. Cfr. anche GABRIEL- LI E., Il pegno. I diritti reali, cit., p. 334. In ambito internazionale, sulla non convenienza sociale di un principio generale sull’autotutela dei privati cfr. LARENZ K. - WOLF M., Allgemeiner Teil des bür-

gerlichen Rechts, Monaco, 1997, p. 379 e ss., contra SCHÜNEMANN W. B., Selbsthilfe im Rechtssy- stem, Tubinga, 1985, p. 17 e ss., secondo il quale il diritto di autotutela è già compreso nel sistema ge-

nerale di salvaguardia dei diritti.

344 BETTI E., Voce “Autotutela”, cit., p. 531, secondo il quale «tali precetti, in previsione di date cir- costanze, autorizzano il singolo a tenere, in ordine alla difesa di un proprio diritto, un comportamen- to che solo in quelle circostanze si riconosce giustificato e legittimo in confronto di altri privati, dei quali tocca la sfera giuridica».

la disposizione di un diritto disponibile, quanto piuttosto nella ammissione che è in gioco un interesse pubblico di tipo superindividuale.

Il divieto del patto commissorio rappresenterebbe proprio uno di quei casi in cui emerge l’intento del legislatore di escludere la derogabilità convenzionale al princi- pio di riserva statuale della tutela processuale dei diritti, e ciò in quanto, altrimenti, non si spiegherebbe come mai la convenzione commissoria è nulla anche quando, per ipotesi, non vi fosse sproporzione tra valore del bene concesso in garanzia e ammon- tare del credito. L’unica spiegazione, allora, sarebbe proprio che la legge « riprova e combatte non tanto il risultato possibile, quanto il modo di perseguirlo», e ciò equi- varrebbe a sostenere che l’art. 2744 c.c. denota un «orientamento ostile a ogni as- soggettamento convenzionale all’autotutela esecutiva del creditore»345.

Di un certo interesse è la posizione di chi, non prendendo del tutto le distanze dal- la tesi ora delineata, ha rinvenuto nella buona fede la giustificazione del diritto di au- totutela. In un contesto economico-finanziario in cui sembra ormai inarrestabile il processo di atipicizzazione dei rapporti tra i contraenti, e nel quale, pertanto, anche le forme di autotutela sono destinate a trovar sempre maggior riscontro a livello di pras- si commerciale, l’unico contrappeso veramente efficace sarebbe quello della valoriz- zazione dei principi e delle clausole generali presenti nell’ordinamento, e in primo luogo, appunto, quelle della correttezza e della buona fede346.

Non è un caso che proprio nell’ambito della Direttiva citata all’inizio del presente lavoro, nella quale sarebbero previsti ampi poteri di autotutela in capo al creditore, è contemplato, come si vedrà, un meccanismo di riequilibrio definito della “ragionevo- lezza commerciale”, con connotati del tutto simili a quelli della buona fede347.

Dogmaticamente rilevante è anche la posizione più estrema secondo la quale, in- vece, la pagina di bettiana memoria, anche alla luce delle istanze comunitarie cui si faceva riferimento, dovrebbe essere profondamente rivista, se non del tutto riscritta, stanti le necessità della prassi finanziaria ormai a tutti evidenti e con essa contrastan- ti.

Sembra, per la verità, che il problema della individuazione di un reale principio di monopolio pubblico della funzione coattiva sconti, come a breve si dimostrerà, una certa sovrapposizione di piani differenti, soprattutto quando non si tiene in debita considerazione il fatto che il problema implica tanto aspetti di natura sostanziale quanto questioni di tipo processuale, differenti se pur conviventi.

In linea di massima, pare corretta l’interpretazione di chi nega, o quanto meno mette in dubbio, l’esistenza nel nostro ordinamento di un generale principio secondo

345 BETTI E., Voce “Autotutela”, cit., p. 535.

346 MACARIO F., Modificazioni del patrimonio del debitore, cit., pp. 204-205.

347 Quanto a quest’ultimo aspetto, afferente ai connotati della buona fede e della ragionevolezza com-

merciale, è interessante la riflessione di NONNE L., Contratti tra imprese e controllo giudiziale, cit., p. 112, il quale, sottolineando i dubbi circa la delimitazione della concreta portata dei suddetti princi- pi, afferma che «l’ampio coinvolgimento della buona fede che si vorrebbe proporre nella soluzione di

problematiche attinenti al mercato, specie nella dimensione europea, conduce ad interrogarsi sui contenuti concreti da attribuire alla clausola generale, atteso che appare oggi non più appagante il riferimento ai valori costituzionali domestici, che pure ha rappresentato il tentativo fruttuoso di sot- trarla alla dimensione dell’indistinto per attribuirle concreta efficacia».

il quale costituirebbe monopolio dello Stato l’esercizio del potere esecutivo per la tu- tela dei diritti. Le norme che attribuiscono ai privati la facoltà di soddisfarsi senza ri- correre agli organi giudiziari costituiscono ipotesi talmente numerose e qualitativa- mente significative (artt. 1006, 1011, 1152, 1460, 1461, 1481, 1482, 1502, secondo comma, 2040, 2045, 2756, terzo comma, c.c.348) da far ritenere, non certo immotiva- tamente, che un presunto principio di tale conformazione avrebbe all’atto pratico scarsa incidenza. Che lo Stato non abbia il monopolio della forza è un dato di fatto risultante in maniera evidente nonostante l’esistenza di una norma come l’art. 2907 c.c.349, secondo la quale, come detto, l’attività di tutela dei diritti è riservata allo Sta- to.

Ciò, tuttavia, non equivale ad affermare che l’art. 2907 c.c. abbia ormai perso di significato, perché esso regola non tanto i contenuti dell’attività esecutiva, quanto, piuttosto, i rapporti tra i soggetti pubblici e privati, nel senso che, posta la possibile (e per certi versi, necessaria) coesistenza tra forme di tutela pubblica e privata, con la norma si abilita lo Stato a stabilire modalità e casi di spartizione della funzione giu- diziale350. In altre parole, anche se non esistesse un generale principio secondo il qua- le sarebbe riservato allo Stato l’intervento in materia giudiziale ed esecutiva, è pur vero che ne esiste un altro per cui spetta esclusivamente al potere pubblico stabilire i casi nei quali la funzione di tutela esecutiva possa essere attribuita direttamente ai privati. Così, affermare che l’esistenza di un principio generale di monopolio pubbli- co della funzione esecutiva rappresenta un assunto indimostrato, non significa attri- buire valida giustificazione alla spesso consequenziale affermazione secondo la quale i privati sono liberi di tutelare da sé, mediante atto di autonomia privata, le proprie ragioni351. Ciò è possibile soltanto se l’ordinamento, conformemente a quanto previ- sto in via programmatica dall’art. 2907 c.c. e, dunque, sulla base di un principio che possiamo definire di sussidiarietà nell’esercizio della funzione esecutiva, si sia

348 Per una ricognizione su alcune delle forme di autotutela privata con funzione conservativo-

cautelare si veda BIGLIAZZI GERI L., Profili sistematici dell’autotutela privata, II, Milano, 1974, p. 14 e ss.

349 Anche secondo BIANCA C. M., voce “Autotutela”, cit., p. 131, la norma in oggetto «non sancisce l’esercizio esclusivo della giustizia da parte dello Stato».

350 Forse, per meglio comprendere il senso dell’affermazione, può pensarsi a cosa accade nel diritto

pubblico in materia di potestà legislativa. Nessuno può affermare che esiste un principio secondo il quale il Parlamento della Repubblica ha il monopolio esclusivo della produzione normativa nazionale. Tuttavia, è il Parlamento della Repubblica che (attraverso l’art. 117 Cost.) stabilisce quando il potere di legiferare spetta ad altri soggetti, i quali, pertanto, sono legittimati esclusivamente sulla base di una norma che, a monte, attribuisce loro una competenza in tal senso. Tale sembra essere il meccanismo che si instaura in conseguenza della previsione di certe norme come, giusto per fare qualche esempio, l’art. 1152 c.c. (diritto di ritenzione), l’art. 1186 c.c. (decadenza dal beneficio del termine) o l’art. 1382 c.c. (clausola penale), tutte ipotesi nelle quali è il legislatore ad attribuire ai cittadini il potere, originariamente pubblicistico, di regolare autonomamente alcuni aspetti (l’esecuzione) dei rapporti che li vedono protagonisti.

351 Vogliamo allora fare nostra l’espressione di BIANCA C. M., voce “Autotutela”, cit. p. 134, secon-

do il quale «in quanto forma di tutela che implica l’ingerenza nell’altrui sfera giuridica, l’autotutela

non è di massima consentita. D’altro canto un assoluto divieto dell’autotutela non trova fondamento, come si è visto, nell’asserito principio di monopolio statale della giustizia».

espresso positivamente ed esplicitamente in tal senso352 attribuendo al privato singoli diritti potestativi353. Questi ultimi non costituiscono certamente un limite alla autorità statale di esercizio della funzione esecutiva, tanto è vero che il loro titolare ben può «far capo al procedimento generale ove ritenga preferibile non operare di propria autorità»354. Se poi si considera che tutte le ipotesi di autotutela privata previste dal nostro ordinamento presuppongono sempre la possibilità per colui che subisce l’altrui iniziativa di ricorrere ex post al giudice per accertare la reale sussistenza dei presupposti dell’azione esecutiva, tale dato, unito al precedente, rappresenta un ele- mento a sostegno della tesi ora enunciata355.

Quanto all’affermazione, che pure è stata fatta, secondo la quale ostacolare l’esercizio dell’autotutela privata, sulla base di convenzioni intercorrenti tra privati, significherebbe privare questi ultimi delle prerogative loro attribuite in materia di au- tonomia e libertà negoziale, deve tenersi presente che il problema relativo all’ammissibilità di forme di autotutela esecutiva si sviluppa, secondo quanto già ac- cennato, su un piano differente rispetto a quello dell’autonomia privata delle parti356. Come riconosciuto anche da taluna dottrina, la libertà concessa ai privati dall’ordinamento attiene ai profili sostanziali dei loro rapporti, nel senso che questi possono essere liberamente plasmati per ottenere gli effetti negoziali desiderati, an- che se tali ultimi non sono compresi nel catalogo predisposto dal legislatore357. La libertà concessa attraverso l’attribuzione di un potere di autotutela esecutiva, invece, attiene ai profili processuali del rapporto medesimo, pertanto è ovvio che di essi le parti non possano liberamente disporre se non quando loro consentito. L’affermazione per la quale l’esercizio di una certa forma di autotutela convenziona- le è ammissibile per ragioni di autonomia e libertà negoziale appare, allora, incon- grua e scorretta358. In ogni caso, anche a non voler condividere questa distinzione, non può essere taciuto che l’art. 1322 c.c. dispone nel senso del rispetto dei limiti

352 Di questo avviso sono anche MACARIO F., Le garanzie patrimoniali, cit., p. 374; BIGLIAZZI

GERI L., voce “Autotutela” (II, diritto civile), in Enciclopedia giuridica Treccani, vol. I, Milano- Roma, 1988, p. 1; DI MARZIO F., Frode alla legge nei contratti, in Giust. civ., 1998, fascicolo 12, p. 573 e ss.

353 Così BIGLIAZZI GERI L., voce “Autotutela”, cit., p. 2. 354 FRAGALI M., Del Mutuo, cit., p. 259

355 Il punto è evidenziato daBARALIS G., Vendita per ragioni di garanzia, cit., p. 317 e ss., secondo

il quale le forme coercitive espressione di un potere privato consentite dall’ordinamento sono soltanto quelle che, in ogni caso, prevedono meccanismi di riequilibrio, in modo tale da evitare permanenti scompensi di potere tra le parti; si veda anche MACARIO F., Le garanzie patrimoniali, cit., p. 373.

356 Di questo avviso è BIANCA C. M., voce “Autotutela”, cit., p. 134, secondo il quale «il potere di autotutela, poi, non può essere giustificato in termini assoluti come espressione dell’autonomia priva- ta, poiché le forme di autotutela implicano l’ingerenza nell’altrui sfera giuridica mentre l’autonomia privata non può essere esercitata a danno dei terzi». Quest’affermazione, a ben vedere, non coglie del

tutto nel segno, poiché non spiega come siano possibili figure di autotutela esecutiva che, proprio per- ché esercitate nei confronti della controparte contrattuale, non incidono sulla posizione di alcun terzo.

357 ENRIETTI E., Patto commissorio ex intervallo, cit., p. 21 e ss. Ovviamente Enrietti non poteva che

riferirsi agli effetti dei negozi tipicamente previsti dal legislatore, tuttavia l’osservazione è certamente pertinente anche alla luce del principio di autonomia contrattuale introdotto dal codice del 1942 con l’art. 1322 cpv.

358 Così, secondo BIGLIAZZI GERI L., voce “Autotutela”, cit., p. 2, l’attività di autotutela sarebbe

imposti dall’ordinamento, tra i quali, per l’appunto, deve essere ricompreso anche quello di cui all’art. 2907 c.c., secondo l’interpretazione di esso proposta359.

Se, allora, questa è l’interpretazione che pare più corretta in materia di conforma- zione e limiti dell’autotutela privata di tipo convenzionale ed in funzione esecutiva, può riprendersi il discorso, momentaneamente interrotto, sulla ratio del divieto del patto commissorio.