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Il trasferimento della proprietà in funzione di garanzia La ragionevolezza commerciale

È opinione comune che il trasferimento della proprietà in funzione di garanzia produca effetti del tutto simili alla costituzione di una garanzia reale, pur alleggeren- do il creditore degli oneri legati all’utilizzo di quest’ultima.

L’esigenza di ridurre costi e tempi di negoziazione è ancor più pressante quando gli operatori economici agiscono nell’ambito di sistemi giuridici differenti, poiché le incertezze connesse alla legge applicabile obbligano chi voglia dotarsi di una garan- zia a conoscere approfonditamente tutti gli ordinamenti potenzialmente rilevanti, in modo da non incorrere in eventuali invalidità o decadenze.

Inoltre, nei casi in cui, tra tali ordinamenti, ve ne siano alcuni che disconoscono l’alienazione in funzione di garanzia, vi è il rischio concreto che il negozio posto in essere venga riqualificato secondo gli istituti esistenti, con conseguenti problemi di validità ed efficacia nel caso di mancato rispetto dei requisiti previsti.

Di tali problematiche si occupa l’art. 6 del Decreto, il quale, rubricato “cessione del credito o trasferimento della proprietà con funzione di garanzia”, dispone che «1) i contratti di garanzia finanziaria che prevedono il trasferimento della proprietà con funzione di garanzia, compresi i contratti di pronti contro termine, hanno effetto in conformità ai termini in essi stabiliti, indipendentemente dalla loro qualificazione. 2) Ai contratti di garanzia finanziaria che prevedono il trasferimento della proprietà con funzione di garanzia, compresi i contratti di pronti contro termine, non si applica l'ar- ticolo 2744 del codice civile. 3) Ai contratti di cessione del credito o di trasferimento della proprietà con funzione di garanzia si applica quanto previsto dall'articolo 5, commi da 2 a 4».

Andando con ordine, attraverso il primo comma si predispone una clausola di sal- vaguardia grazie alla quale il creditore è posto al riparo dal c.d. recharacterisation risk, poiché si impedisce all’interprete (ossia al giudice nazionale) di procedere ad una qualificazione diversa e non coerente con la connotazione causale che le parti hanno voluto attribuire al loro negozio.

In secondo luogo, si stabilisce che le alienazioni in funzione di garanzia realizzate in conformità del Decreto non sono assoggettate al divieto del patto commissorio di cui all’art. 2744 c.c.

Nel rimandare per l’approfondimento sul punto al terzo capitolo, si possono qui anticipare alcune considerazioni.

Anzitutto, un primo dato che emerge dalla deroga al divieto del patto commissorio è che, evidentemente, per il legislatore il patto medesimo e l’alienazione in funzione di garanzia sono istituti ontologicamente coincidenti, altrimenti la deroga al divieto non avrebbe avuto alcun senso.

Ma la vera riflessione che fa sorgere il secondo comma dell’art. 6 è se esistano, al- lora, alienazioni in funzione di garanzia lecite, ossia ammesse anche secondo il dirit- to comune delle obbligazioni. La risposta deve essere certamente positiva.

Infatti, il legislatore delegato non fa che prendere atto di quanto in dottrina e giu- risprudenza era già emerso, ossia che il patto marciano, che costituisce un’alienazione in garanzia con meccanismi di controllo e riequilibrio, deve essere ri- tenuto ammissibile.

La riflessione cui si può pervenire, quindi, è che con l’art. 6 il Decreto non abbia introdotto una forma di patto commissorio astrattamente vietato, bensì un’ipotesi di patto marciano, e dunque che la deroga di cui al comma 2 è sostanzialmente priva di utilità pratica, perché, anche in sua assenza, le alienazioni in funzione di garanzia compiute secondo detta normativa avrebbero potuto essere considerate lecite268.

Ulteriore conseguenza di tale ricostruzione è che indirettamente viene confermata nel nostro ordinamento la piena valenza del divieto del patto commissorio.

Continuando con la lettura dell’art. 6, deve essere dato conto dei problemi inter- pretativi cui dà origine il terzo comma nel momento in cui afferma l’applicabilità dei commi dal 2° al 4° del precedente art. 5.

Infatti, da una parte, non si comprende fino in fondo il richiamo al comma 2 dell’art. 5, dal momento che nel caso di alienazione in funzione di garanzia è in re

268 Si concorda pertanto con la tesi secondo la quale «evidentemente, il meccanismo di realizzazione del pegno integra, in concreto, la fattispecie del c.d. patto marciano. Difatti, secondo un orientamento consolidato in dottrina e giurisprudenza, qualora la cessione del credito o il trasferimento della pro- prietà con funzione di garanzia contempli l’obbligo ulteriore del creditore insoddisfatto di restituire al debitore inadempiente la differenza fra l’importo del suo credito ed il valore del bene, la fattispecie non viola il divieto di patto commissorio in ragione della previsione del c.d. patto marciano, da sem- pre ritenuto valido ed efficace. Dunque, si pone l’interrogativo se la disciplina della cessione del cre- dito o del trasferimento della proprietà con funzione di garanzia di cui all’art. 6 del decreto integri una fattispecie potenzialmente nulla ai sensi dell’art. 2744 c.c. o, piuttosto, pienamente valida ed effi- cacie per l’applicazione del patto marciano concretamente prevista dal meccanismo di escussione della garanzia. Per le cose dette, si deve propendere per la seconda tesi» (BONFANTI F., Commento alla normativa, cit., p. 672).

ipsa il diritto di disposizione, senza che, tuttavia, sia concepibile una ricostruzione della garanzia in relazione a beni che sono già di proprietà del collateral taker; dall’altra, anche il rinvio al comma 3° risulta non del tutto comprensibile, per il fatto che alcun effetto novativo potrebbe prodursi nell’ipotesi di cessione della proprietà a titolo definitivo.

Ma anche il rimando all’art. 5, comma 4°, desta più di qualche perplessità, soprat- tutto per la parte in cui dispone che, in mancanza di una clausola di close-out netting, «il creditore pignoratizio procede all’escussione della garanzia equivalente in con- formità a quanto previsto nell’articolo 4». Dato che l’art 4 regola, tra l’altro, le ipote- si di vendita e appropriazione, è condivisibile allora l’affermazione secondo la quale sarebbe preclusa «l’applicazione del secondo periodo dell’art. 5, comma 4°, in quan- to in entrambe le ipotesi considerate dall’art. 6, comma 3°, il collateral taker si sod- disfa con la liberazione dall’obbligo di cedere in tutto o in parte al collateral provi- der garanzia equivalente a quella originariamente ricevuta, piuttosto che attraverso la vendita o l’appropriazione di quanto già si trova (o piuttosto, si trovava) nella sua piena proprietà»269.

Si è detto che l’art. 6, più che introdurre ipotesi di patto commissorio in astratto vietate dalla legge, in quanto tali necessitanti di apposita deroga rispetto al divieto di cui all’art. 2744 c.c., abbia in realtà definitivamente positivizzato il c.d. patto mar- ciano, figura per lo più ammessa sia in dottrina che in giurisprudenza, e per la quale non sarebbe necessaria alcuna norma derogatoria rispetto ai principi comuni che ne protegga validità ed effetti.

Tuttavia, il legislatore delegato, forse preoccupato di bilanciare gli effetti di una norma come quella in parola, ha voluto dedicare un articolo, il numero 8, alle “con- dizioni di realizzo e criteri di valutazione” cui le parti devono ispirarsi nelle fasi di escussione ed utilizzo della garanzia finanziaria270.

In pratica, essendo il medesimo legislatore ben consapevole di aver predisposto un impianto normativo premiale rispetto agli interessi del creditore, è stato concepito un sistema di parziale riequilibrio delle forze in campo, il quale, tra l’altro, rappresenta un limite interno all’applicazione delle regole e dei principi di cui alla normativa co- munitaria.

Tale sistema si fonda sul criterio della c.d. “ragionevolezza commerciale”, istituto di ispirazione anglosassone, che funge da limite negoziale quando le parti stabilisco- no «le condizioni di realizzo delle attività finanziarie ed i criteri di valutazione delle stesse e delle obbligazioni finanziarie garantite». Ed è evidentemente anche alla luce di tale disposizione che si giustifica l’affermazione secondo la quale il Decreto, in realtà, non apporta alcun restringimento al divieto del patto commissorio per come questo è delimitato nell’ambito del diritto comune271.

269 GUCCIONE A. V., I contratti di garanzia finanziaria, cit., in Le nuove leggi, pp. 824-825. 270 Per il contenuto della norma si rimanda integralmente al suo testo originale.

271 Così MARTINO M., Le Sezioni Unite sui rapporti tra divieto del patto commissorio e ordine pub- blico internazionale [nota a Cassazione civile, ss. uu., sentenza del 11 gennaio 2011, n. 14650], in Giur. comm., 2012, fasc. 3, parte 2, p. 681 e ss., p. 690, secondo il quale «la deroga rappresentata dalle disposizioni citate, per quanto significativa, va ridimensionata, nella sua portata sistemica, sì

Tanto premesso, sono due i problemi principali sollevati dall’art. 8: cosa s’intende per ragionevolezza commerciale e quali sono le conseguenze della sua violazione.

Quanto al primo aspetto, è facile prevedere che sarà l’interprete, con il tempo, a dover ricostruire limiti e contenuto della clausola in parola, anche attraverso l’impiego di categorie già note, ad esempio la buona fede in senso oggettivo, la cor- rettezza nell’esecuzione del contratto nonché la meritevolezza di cui all’art. 1322, comma 2, c.c. astrattamente idonei a tracciare i contorni del criterio di cui all’art. 8272. Sul punto è necessario anticipare che taluna dottrina273 solleva alcuni interroga- tivi sull’opportunità di impiegare i criteri ora nominati, soprattutto in considerazione della dimensione domestica che la figura della buona fede necessariamente assume quando, a sua volta, venga delineata sulla base di valori aventi natura costituzionale.

In ogni caso, l’interprete dovrebbe essere aiutato anche dall’intervento di Consob e Banca d’Italia, le quali concorrono ad elaborare schemi contrattuali in materia di garanzie finanziarie basati sulla prassi internazionale. L’art. 8, infatti, prevede che la ragionevolezza commerciale si presume quando le parti si siano attenute a tali sche- mi. Si tratta ovviamente di una presunzione iuris tantum, perché le parti potranno comunque dare la prova che, nel caso concreto, vi sia irragionevolezza delle condi- zioni di realizzo nonostante l’impiego degli standard internazionali.

Per la verità, lascia perplessi la scelta di affidare ad organismi come Consob e Banca d’Italia il compito di delineare i limiti di un istituto di diritto sostanziale. Il le- gislatore si spoglia così di un’incombenza che avrebbe dovuto riservare a se stesso, con l’aggravante che il parametro di riferimento viene individuato nella lex mercato- ria, come se l’uniformazione ad essa fosse garanzia, appunto, di condizioni ragione- voli e di correttezza nei rapporti contrattuali.

che non può concludersi che il precetto contenuto nell’art. 2744 c.c. abbia perso il proprio peso spe- cifico. Da una parte, infatti, la natura qualificata dei soggetti cui la norma trova applicazione (cfr. art. 1, lett. d), nn. 1-4) ridimensiona, per non dire azzera, i rischi di squilibrio contrattuale che, con riferimento alla posizione di debolezza del debitore, sono sovente, come visto, invocati per dare ra- gione del divieto di cui all’art. 2744 c.c. dall’altra, l’art. 8 del decreto legislativo rappresenta una sorta di clausola di salvaguardia, atteso che si prevede un vaglio all’insegna della «ragionevolezza commerciale» della singola negoziazione, il quale consentirebbe una rideterminazione, in sede di rea- lizzo, delle eventuali eccedenze del valore della garanzia rispetto a quello del debito garantito, quasi alla stregua di un patto marciano». Della stessa opinione sono anche MURINO F., L’autotutela nell’escussione della garanzia finanziaria pignoratizia, Milano, 2010, p. 50; SARDO G., La discipli- na del contratto di garanzia finanziaria, cit., p. 621; SARTORI F., I contratti di garanzia finanziaria nel D.lgs 21 maggio 2004, n. 170: Prime riflessioni, in Rivista di diritto bancario,

http://www.dirittobancario.it/rivista/garanzie/i-contratti-di-garanzia-finanziaria-nel-d-lgs-21-maggio- 2004-n-170-prime-riflessioni; nonché OLIVA P., Il Decreto Legislativo 170/2004, cit., secondo il quale, in merito alla deroga all’art. 2744 c.c., «con l’art. 6 comma 2 del Decreto Legislativo 170/04 è

stata esplicitata, puramente e semplicemente, l’inapplicabilità di detta norma ai contratti di garanzia finanziaria che prevedano il trasferimento della proprietà in funzione di garanzia, e ciò nonostante la circostanza che l’obbligo di restituire l’eccedenza del valore della garanzia e la presenza del parame- tro di ragionevolezza commerciale dei modi e dei valori di realizzo, fossero di per sé sufficienti ad escludere la violazione del patto commissorio».

272 Sul tema della “ragionevolezza”, seppur nell’ambito di tematiche diverse rispetto a quelle qui og-

getto di indagine, si è espresso CASTRONOVO C., I principi di diritto europeo dei contratti e il co-

dice civile europeo. Il codice civile europeo, Milano, 2001, p. 217. 273 NONNE L., Contratti tra imprese e controllo giudiziale, cit., p. 112.

In altre parole, il risultato finale ipotizzabile è che una prassi internazionale di per sé non economicamente ragionevole lo diventi successivamente, quantomeno sulla base di una presunzione, per il semplice fatto di essere stata trasfusa negli schemi contrattuali predisposti da Banca d’Italia e Consob. Ed è da dimostrare che il legisla- tore delegante si ponesse un tale obiettivo, dunque sul punto emergono dubbi anche in relazione ad un possibile eccesso di delega e, pertanto, dubbi di illegittimità costi- tuzionale.

Per venire alle conseguenze della violazione del requisito della ragionevolezza commerciale, il Decreto, così come la Direttiva, non prende in merito una posizione definita, limitandosi a stabilire che la relativa azione può essere esperita nel ridotto termine di tre mesi decorrenti dalla comunicazione da parte del creditore dell’avvenuta escussione.

Secondo taluna dottrina, la violazione della clausola generale della ragionevolezza commerciale comporterebbe la nullità delle pattuizioni ai sensi del combinato dispo- sto di cui agli artt. 1418-1419 c.c.. Ciò deriverebbe dalla lettura dell’art. 8 comma 2 del decreto, il quale afferma che «le condizioni…e i criteri…devono essere ragione- voli sotto il profilo commerciale», introducendo così una norma imperativa.

La nullità darebbe luogo, evidentemente, a conseguenze di rilievo anche nei con- fronti degli aventi causa del collateral taker, dato che gli acquisti compiuti potrebbe- ro essere rimessi in discussione sulla base delle generali norme dettate in materia di nullità. Sempre secondo la stessa dottrina, i creditori di debitore e creditore potrebbe- ro agire con le normali azioni surrogatorie e revocatorie poste dall’ordinamento a lo- ro tutela274.

In realtà questa impostazione è ampiamente criticata da quegli altri autori che an- corano la tutela del debitore non al rispetto di una presunta norma imperativa di ordi- ne pubblico, ma alla necessità che vengano rispettati i criteri generali di buona fede e correttezza. In questo senso, viene rilevato che anche nell’ambito dell’art. 1375 c.c., dettato appunto in materia di buona fede nell’esecuzione del contratto, viene impie- gato il termine “devono”, senza che per questo si possa qualificare la norma come imperativa collegando alla sua violazione la sanzione della nullità.

Piuttosto, la necessità di tutelare la posizione del collateral provider pare poter ispirare o il rimedio della restituzione per ingiustificato arricchimento del creditore (nel caso, però, in cui la ragionevolezza commerciale sia stata rispettata e sia dovuta le restituzione del surplus di quanto ottenuto dal creditore) oppure, nel caso di inos- servanza della regola in parola, il rimedio del risarcimento per inadempimento con- trattuale.

La posizione dottrinale prende le mosse dall’esame della legge di recepimento lussemburghese, la quale si esprime nel senso che «per prevenire abusi, il testo si av- vale dell’opzione concessa dal paragrafo 6 dell’art. 4 della direttiva esigendo che in caso di vendita consensuale questa sia fatta a condizioni normali dal punto di vista

commerciale, in mancanza delle quali il creditore pignoratizio incorre in responsabi- lità personale».

Sempre secondo la posizione richiamata, la ricostruzione in termini di responsabi- lità contrattuale risarcitoria in caso di violazione della ragionevolezza commerciale «pare essere, sia pure parzialmente, in linea con l’ordinamento statunitense ove normalmente il collateral provider agisce contro il collateral taker o sul terreno del- la restitution (injust enrichment) o in contract (breach of contract, violazione del du- ty of good faith and fair dealing), oltre che in tort (fraud in inducement, misrepre- sentation)»275.

In linea di massima, allora, la tesi è condivisibile, anche se a ben vedere risulta eccessivamente focalizzata verso le prerogative debitorie. È chiaro che la regola della ragionevolezza commerciale è concepita, come detto, per bilanciare i rapporti di for- za tenendo conto anche delle esigenze del collateral provider; tuttavia, non deve es- sere dimenticato che, quantomeno in astratto, anche il beneficiario della garanzia po- trebbe doversi appellare alla clausola, soprattutto quando sia egli il contraente debo- le.