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L’argomento del pegno d’azienda merita specifico approfondimento perché, an- che nel nostro Paese, con sempre maggior frequenza le componenti mobiliari del pa- trimonio concorrono ad integrare i complessi produttivi delle medie-grandi aziende. Ed è curioso notare, a proposito di ricorsi storici, che tale figura assumeva grande ri- levanza già in epoca romana93.

In realtà, il nostro legislatore sembra abbia assunto una posizione non del tutto conciliante con la figura, e ciò può desumersi sia dalla circostanza che ad essa non è dedicata alcuna norma specifica, sia dalla stessa relazione al codice civile, nella qua- le emerge chiaramente la preoccupazione verso un istituto che potrebbe prestarsi ad abusi nei confronti degli altri creditori dell’imprenditore94.

Tali ragioni, tuttavia, non si sono dimostrate tanto assorbenti da indurre il legisla- tore a vietarne l’impiego da parte dei privati, sebbene, come è stato giustamente os- servato, «le considerazioni svolte dalla Relazione hanno lasciato un’impronta nel te- sto dell’art. 2256 c.c., che, nell’imporre la forma scritta ad probationem e in seguito l’scrizione dell’atto nel registro delle imprese al fine di rendere più agevole il con- trollo della circolazione della ricchezza imprenditoriale, fa esclusivo riferimento ai «contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento dell’azienda», tagliando fuori i contratti di garanzia»95. La disciplina dell’istituto, allora, è stata ricostruita a partire dalle altre forme di godimento dell’azienda e, in particolare, dall’usufrutto96. Per compiere tale operazione, l’addentellato normativo cui la dottrina ha fin da subito fatto riferimento è il secondo comma dell’art. 2784 c.c., in cui viene testualmente stabilito che «possono essere dati in pegno i beni mo- bili, le universalità di mobili, i crediti, e altri diritti aventi per oggetto beni mobili».

Il pegno di azienda, dunque, investe esclusivamente le componenti mobiliari del complesso produttivo. Una volta che siano stati specificamente individuati i beni da

93 Il diritto romano conosceva il pegno senza spossessamento del debitore, quindi era assai agevole

prevedere che quest’ultimo restasse nella disponibilità dei beni concessi in garanzia. Con il c.d. pignus

tabernae i giuristi romani avevano teorizzato una figura che predisponesse una garanzia non tanto sui

singoli beni quanto sul complesso dell’attività, e che si concretizzava di fatto sulle nuove scorte anzi- ché sui beni venduti.

94 Come si legge dalla Relazione al codice civile del 1942, n. 1040, «in altre legislazioni si è creduto di venire incontro ad una esigenza del commercio facilitando il ricorso al credito mediante la costitu- zione in pegno dell’azienda con disposizioni necessariamente complesse. Non si è creduto di seguire l’esempio. Invero il facilitare all’imprenditore dissestato il ricorso al credito mediante la creazione di un privilegio, che potrebbe assorbire tutte le garanzie dei precedenti creditori, non può che essere fonte di abusi. Il titolare dell’azienda potrà quindi ricorrere al credito solo mediante la concessione di quelle garanzie che sono consentite in relazione ai vari elementi costituenti l’azienda e nelle forme per ognuno di essi prescritte dalla legge». A livello dottrinale, sono contrari alla configurabilità del

pegno di azienda GHIDINI M., Disciplina giuridica dell’impresa, Milano, 1950, p. 55, nonché MES- SINEO F., Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1957, p. 91.

95 DI MARCELLO T., Flussi di risorse e finanziamento dell’impresa, Milano, 2010, p. 333.

96 L’ammissibilità del pegno di azienda non è stata avallata dalla dottrina in modo pacifico. È stato

anche affermato, infatti, che trattandosi l’azienda di bene immateriale non sarebbe suscettibile di im- possessamento da parte del creditore. Tale posizione è stata agevolmente superata tenendo conto del fatto che l’azienda, sebbene possa essere in astratto considerata come entità immateriale, è pur sempre formata da un insieme di beni organizzati.

conferire al creditore o ad un terzo, è richiesto che vengano assolti gli obblighi e le formalità previste dalla natura del singolo cespite (così, se oggetto della cessione in garanzia saranno anche crediti, necessiterà la notifica al debitore ceduto).

A tal ultimo proposito s’impone una precisazione. Non è richiesto che al creditore venga consegnato materialmente ogni singolo bene, documento, titolo etc, ma è suf- ficiente che egli si trovi nell’esercizio dell’impresa mediante l’azienda97. Di conse- guenza, l’ingresso o l’uscita di un bene dall’azienda determinano automaticamente, e a prescindere dal possesso, l’estensione o il restringimento dell’oggetto della garan- zia, purché il bene sia univocamente individuabile ed il valore complessivo origina- riamente tenuto in considerazione dalle parti non risulti ridotto98.

Il limite più evidente della fattispecie è che si priva il debitore dell’esercizio dell’impresa, imponendo al creditore, d’altra parte, l’assunzione di pesanti oneri spesso non voluti. Egli, infatti, dovendosi comportare come un usufruttuario, non so- lo dovrà evitare il deperimento del complesso produttivo, ma diverrà a tutti gli effetti imprenditore, con tutte le conseguenze da ciò derivanti99. In particolare, l’obbligo di evitare il deterioramento dell’azienda si configura come un vero e proprio obbligo di gestione fruttuosa, secondo il combinato disposto di cui agli artt. 2790 e 2561 c.c., quest’ultimo dettato in materia di usufrutto di azienda.

I limiti finora esposti rappresentano i principali motivi che notoriamente hanno concorso a determinare uno scarso impiego della figura nella prassi commerciale.

L’argomento risulta però ugualmente interessante perché le difficoltà che si sono descritte hanno stimolato attenta dottrina a configurare alcune modifiche all’istituto che concorrerebbero verosimilmente a tramutarne la desuetudine in applicazione ge- neralizzata100.

La proposta prende le mosse dalla c.d. floating charge di common law, detta in italiano “garanzia flottante”, che consiste in una garanzia che, come una sorta di nu- vola, resta sospesa (fluttua, appunto) sopra ad un determinato complesso produttivo per poi cristallizzarsi, se e quando si verifica l’inadempimento del debitore, su singo- li bene specificamente individuati. L’istituto ha l’evidente finalità di soddisfare la comprensibile esigenza del debitore di rimanere nella disponibilità dei beni produtti-

97 In questo senso si esprimono anche FERRENTINO C. - FERRUCCI A., Dell’azienda. Manuale e applicazioni pratiche dalle lezioni di Guido Capozzi, Milano, 2006, p. 559, secondo i quali «proprio in dipendenza della destinazione unitaria, si ritiene che non sia necessario il materiale impossessa- mento di ogni singola cosa mobile, e sia invece sufficiente l’acquisizione del potere di fatto sull’intera universitas».

98 Si è qui voluta accogliere la teoria, ormai ampiamente avallata anche dalla giurisprudenza (cfr. tra le

altre Cassazione civile, sez. III, sentenza del 6 novembre 1995, n. 11531 in Giust. civ. massim., 1995 fasc. 11, e Cassazione civile, sez. II, sentenza del 29 settembre 2007, n. 20191 in Giust. civ., 2008, fasc. 2, I, p. 365 e ss.) secondo la quale l’azienda costituirebbe una universitas di fatto, cioè un com- plesso patrimoniale che comprende soltanto i beni materiali ed immateriali, non anche anche i crediti, i contratti, i servizi, i debiti etc.

99 Così, se per l’esercizio di quel tipo di attività imprenditoriale è richiesto il possesso di determinati

requisiti, il creditore pignoratizio non potrà procedere alla costituzione della garanzia fino al loro con- seguimento, e ciò quand’anche tali requisiti fossero di natura soggettiva (è il caso, ad esempio, del pe- gno di farmacia).

100 FERRARI E., I floating charges e le garanzie del credito all’impresa, in Riv. not., 1996, fasc. 6, p.

vi, e di evitare il paradosso per il quale la garanzia concessa a tutela del finanziamen- to concorre a determinare il dissesto economico che proprio il finanziamento proba- bilmente mirava a scongiurare.

Il problema principale che l’istituto incontrerebbe, se si pretendesse di calarlo sic et simpliciter nel nostro ordinamento, atterrebbe alla difficoltà di rispettare il princi- pio secondo il quale i beni oggetto della garanzia devono essere individuati, o indivi- duabili, fin dal momento della costituzione del rapporto. Ed il problema riguardereb- be non tanto le attrezzature ed i macchinari, la cui determinazione ab initio costitui- sce operazione alquanto agevole, bensì i crediti, i titoli, le merci in lavorazione e le scorte, che ontologicamente risultano essere in continua evoluzione e mutazione.

È stato a tal fine proposto di considerare come oggetto del pegno anche tutti i beni pervenuti al debitore dal momento della costituzione del vincolo, suggellando il vin- colo medesimo attraverso l’iscrizione in registri pubblici all’uopo tenuti. In questo modo si darebbe vita ad una vera e propria ipoteca mobiliare, e si concederebbe l’opportunità all’imprenditore-debitore di non spogliarsi dei propri beni. L’atto costi- tutivo, da redigere per atto di notaio, dovrebbe ovviamente indicare specificamente su quali cespiti aziendali, in caso si verificassero l’insolvenza o le altre circostanze dedotte nel contratto, dovrebbe consolidarsi la garanzia.

A prescindere dalla soluzione da ultimo prospettata, che richiede necessariamente una riflessione ed un intervento di matrice legislativa, è possibile fin da subito ipotiz- zare alcuni correttivi che, de iure condito, consentano di fare uso di un istituto ormai ai limiti del desueto.

In primo luogo, si potrebbe considerare come oggetto del pegno non già l’insieme dei beni che fisicamente e individualmente compongono l’azienda, bensì il valore monetario di quest’ultima, valore che, tra l’altro, deve tenere conto anche dell’avviamento. La concezione del pegno come garanzia sul valore anziché sul bene fisicamente inteso è prepotentemente invalsa nella dottrina e nella giurisprudenza prevalenti, le quali, come si vedrà, hanno ricostruito ed ammesso la fattispecie del pegno rotativo proprio a partire da tale teorizzazione. Potrebbe essere ipotizzato, al- lora, che quest’ultima non resti confinata nell’area in cui è stata concepita, ma possa trovare applicazione anche nell’ipotesi del pegno d’azienda, sulla falsariga del c.d. pignus tabernae.

Se invece si volesse rimanere fedeli alla tradizionale impostazione secondo la quale oggetto l’oggetto del pegno possono essere esclusivamente beni mobili di spe- cifica individuazione suscettibili di impossessamento, potrebbe immaginarsi una fat- tispecie negoziale complessa che consenta al debitore-imprenditore di rientrare nella disponibilità del complesso produttivo. Tale risultato potrebbe essere conseguito se, successivamente alla costituzione del pegno nelle forme previste dall’ordinamento, le parti procedessero a porre in essere un ulteriore rapporto a titolo di mandato gestorio senza rappresentanza, con ritrasferimento al debitore dei poteri di gestione, disposi- zione e godimento sull’azienda.

Per la verità, il collegamento di cessione ed assegnazione in godimento non è nuovo alla prassi, se si considera che il ricorso alla figura del sale and lease back già da tempo ha consentito che l’azienda, o comunque i beni strumentali

dell’imprenditore, siano impiegati per finalità ulteriori rispetto a quella della mera produzione. Tuttavia, come si vedrà nel capitolo sul patto commissorio, il sale and lease back ha una funzione sostanziale di finanziamento dell’impresa, al contrario del pegno d’azienda che, anche nella forma negoziale composita sopra delineata, mantiene pur sempre uno scopo di garanzia101.