Il RUOlO Delle leGGI Nella RESPUBLICA
2. L’impostazione del problema delle leggi in Calvino
Calvino affronta il problema delle leggi nel famoso capitolo conclusivo della Institutio christianae religionis dedicato al governo civile (l. IV, cap. 20). qui egli traccia le linee fondamentali del discorso, che saranno riprese fedelmente anche da Daneau e da althusius, ma con alcuni interessanti svi- luppi. anzitutto, il magistrato è definito da Calvino attraverso la sua funzio- ne di «custode e tutore della legge»22. Richiamando alcuni luoghi scritturali
paradigmatici (proverbi 8,14-16; epistola ai Romani 13,5; Salmo 82), egli chiarisce subito, con vigore, che «tutti coloro i quali sono costituiti in un posto di preminenza hanno ricevuto mandato e autorità da Dio […] per ser- virlo nel loro ufficio ed esercitare la giustizia in suo nome»23. D’altronde,
il magistrato necessariamente governa ed esercita la giustizia attraverso le leggi: verso di esse i soggetti hanno quindi lo stesso dovere di obbedienza 19 Ivi, p. XII; la citazione, tratta da CiCerone, De oratore, II, si ritrova anche in j. althu- SiuS, Politica methodice digesta atque exemplis sacris et profanis illustrata […], Herbornae
Nassoviorum 1614 (rist. anast. aalen, Scientia, 1961), XXI, 13.
20 l. daneau, Ad lectorem benevolum cit., p. XIII, con rinvio al commento di Calvino
a Genesi 18, vv. 18-19 (vedi g. CalVino, Commentario su Genesi, Caltanissetta, alfa &
Omega, 2008, pp. 325-329: p. 326).
21 Sul ruolo delle citazioni bibliche nella politica althusiana vedi H. janSSen, Die Bibel
als Grundlage der politischen Theorie des Johannes Althusius, Frankfurt a.M., lang, 1992, e l. BianChin, Politica e Scrittura in Althusius. Il diritto regale nell’interpretazione di I Sam.
8, 11-18 e Deut. 17, 14-20, in: Politeia biblica, a cura di l. Campos Boralevi e D. quaglioni, Firenze, Olschki, 2003 («Il pensiero politico», XXXV n. 3), pp. 411-432.
22 g. CalVino, Istituzione della religione cristiana, a cura di G. Tourn, 2 voll., Torino,
Utet, 1971, vol. 2, lib. IV, cap. 20, par. 3, p. 1715.
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che hanno nei confronti del magistrato24. «le leggi sono i nervi o l’anima di
ogni Stato», spiega Calvino, citando platone e Cicerone; «senza di esse non possono sussistere i magistrati, e viceversa dai magistrati esse sono conserva- te» in vita; questo è vero al punto che «non si può ricorrere ad un’espressio- ne più adeguata che quella di chiamare “magistrato muto” le leggi e “legge vivente” il magistrato»25. (Sono tutti concetti molto noti, ma basilari, che
saranno riprodotti anche da Daneau e da althusius).
quanto alla natura e all’oggetto delle leggi, il discorso resta tuttavia al- quanto indefinito, complice anche un uso spesso indifferenziato dei termini
ius e lex, già rilevato da Baur nella sua indagine sull’idea di «diritto» in Cal- vino26. la gran parte delle questioni è “compressa” e agilmente risolta dal
riformatore ginevrino assegnando al magistrato il compito di emanare ogni legge necessaria a tutelare l’onore di Dio e a procurare il bene degli uomini: sono questi i due insegnamenti fondamentali della legge morale, la «nor- ma di giustizia vera ed eterna», che «corrisponde all’eterna e immutabile volontà di Dio», la quale prescrive di onorarlo con fede sincera (la pietas) e di comportarsi verso il prossimo con carità cristiana.
Sulla legge morale, sul suo contenuto e sulle sue funzioni, Calvino si diffonde in molte occasioni, in particolare in quel cap. 7 del libro II dell’In-
stitutio christianae religionis, dove ricalca molte idee di Melantone e Bu- cer27: è questo per lui il nucleo di ogni problema, posto che, in definiva, tutto
24 Ivi, IV, 20, 9, pp. 1721-1723.
25 Ivi, IV, 20, 14, p. 1729. Ripreso in j. althuSiuS, Politica methodice digesta, XXI, 16-
17. Come ha ricordato m. miegge, Communicatio mutua (Althusius e Calvino), in: Il lessi-
co della «Politica» di Johannes Althusius cit., pp. 115-124: p. 118, commentando un passo dell’Institutio christianae religionis, IV,3,1, ripreso da althusius, «Dio solo governa la sua Chiesa e quel governo si esercita mediante la sua parola (“solo eius verbo”). Tuttavia, poiché Dio non abita tra noi in presenza visibile, in modo che possiamo udirne la volontà direttamen- te dalla sua voce, egli si avvale a questo fine del servizio degli uomini: non già per trasferire agli uomini il suo ius ed il suo onore, ma soltanto per compiere la sua opera per mezzo della loro bocca (“sed tantum ut per os ipsorum suum ipse opus agat”)».
26 J. Baur, Gott, Recht und weltliches Regiment im Werke Calvins cit., pp. 25-30, rileva
in Calvino un uso linguistico non agevolmente precisabile del termine «diritto»: «das Wort Recht deckt sich zwar oft mit dem lateinischen “ius” oder dem französichen “droit”. Je nach dem Zusammenhang lassen sich aber auch “lex”, “aequitas”, “iudicium” oder ähnlich “loy”, “equité”, “iugement”, ferner “fas” und “droiture” mit Recht übersetzen». peraltro, dopo at- tenta disamina dei molti passi dell’opera di Calvino in cui è utilizzato il termine, Baur giunge alla conclusione che «ius» e «droit», tanto più nel loro plurale «iura» e «droits», finiscano per coincidere spesso con l’idea di «loix», in un’assimilazione fra leggi politiche (staatliche Gesetzte) e titoli giuridici (Rechtsurkunden) che sostengono una determinata posizione giu- ridica, o per estensione i diritti che ne derivano. Se quest’uso è ripreso da althusius, com’è probabile, si comprende anche la preferenza althusiana per l’espressione «jura majestatis», rispetto al consueto singolare «majestas», per definire la sovranità. Del resto, un uso indi- scriminato di «ius» e «lex» è rimproverato anche ad althusius da d. neri in: J. althuSiuS,
Politica, a cura di D. Neri, Napoli, Guida, 1980, p. 7, nota 2.
27 g. CalVino, Istituzione della religione cristiana cit., vol. 1, lib. II, cap. 7, parr. 6-12,
pp. 473-480. la legge morale risponde fondamentalmente a tre scopi: mostrare la giustizia di Dio, e così far prendere coscienza a ognuno della propria ingiustizia; predisporre delle sanzioni, per mettere un freno alla malvagità di chi fa il bene solo se è costretto; chiarire
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ruota intorno alla legge di Dio, rivelata in primo luogo nel Decalogo, unica vera regola di giustizia, la sola a cui realmente spetti il nome di «legge»28.
per quanto concerne le leggi civili, Calvino seleziona invece pochi aspetti da esaminare in modo approfondito29. Nel capitolo sul governo civile, ad
esempio, egli promette che il secondo dei tre punti che tratterà, riguarderà la legislazione, e, più in particolare, l’illustrazione delle leggi che presiedono al governo di uno Stato cristiano. In quella sede però Calvino dell’argomento tratterà soprattutto un aspetto capitale: cioè come debba confutarsi l’erronea e pericolosa tesi che uno Stato non possa reggersi in modo pio e giusto con leggi diverse dalle leggi mosaiche30.
Su questo problema si concentra in quelle pagine gran parte dell’attenzio- ne di Calvino, entro un quadro che riprende per ampi tratti l’impostazione di Tommaso d’aquino nel suo Trattato sulla legge (Summa theologiae, Ia-IIae,
qq. 90-108). le leggi mosaiche cerimoniali e giudiziali – per riassumere il giudizio di Calvino – furono sì commisurate in origine all’eterna e immuta-
a quale comportamento concreto corrisponda, di volta in volta, la legge scritta «dal dito di Dio» nel cuore degli uomini.
28 Vedi J. Baur, Gott, Recht und weltliches Regiment im Werke Calvins cit., pp. 34-68: la
dottrina calviniana della legge è una sorta di «struttura a gradini» (ein stufenförmiger Aufbau), corrispondente a una gerarchia di fonti del diritto, in cui ogni fonte riceve la sua legittima- zione da quella di grado immediatamente superiore. al vertice è la volontà di Dio, «somma regola di giustizia» e «legge di tutte le leggi»; al gradino inferiore della scala incontriamo la legge divina rivelata nel Decalogo; di seguito la legge divina rivelata nella natura (o legge naturale), impressa nella coscienza dell’uomo; scendendo ancora troviamo l’equità natura- le, un’idea di giustizia comune a tutti gli uomini, che ha la sua espressione più adeguata nel precetto evangelico «fate agli altri ciò che vorreste fosse fatto a voi», e corrisponde dunque al comandamento cristiano dell’amore per il prossimo. Segue il diritto delle genti o diritto comune: una forma di diritto positivo che trova applicazione generale, ma non ha carattere obbligatorio. al gradino più basso abbiamo infine il diritto positivo vero e proprio, cioè il complesso delle leggi umane (leggi politiche e cerimoniali), che hanno carattere obbligatorio, ma solo quanto all’ordine esteriore, non nel foro interno. È evidente la stretta dipendenza di tutto ciò dalla tradizione romano-canonica.
29 Sul problema del diritto positivo in Calvino, alla luce anche degli altri suoi scritti (in
particolare i sermons sur l’Harmonie évangélique), vedi j. BohateC, Calvin und das Recht
cit., pp. 97-129, e J. Baur, Gott, Recht und weltliches Regiment im Werke Calvins cit., pp. 64-
75. Calvino distingue nelle leggi umane un fine intrinseco, che è quello di fornire una guida per l’uomo e aiutarlo a evitare gli errori, e uno estrinseco, che consiste nella conservazione dell’ordine civile. egli impone poi come criterio primario nell’interpretazione delle leggi il rispetto dell’intenzione del legislatore, sul presupposto che questa sia informata all’equità.
30 Sulla legislazione mosaica e, in senso lato, sulla «costituzione» dell’antico Israele
come modello nel pensiero politico europeo della prima età moderna si vedano l. CampoS
BoraleVi, Per una storia della «Respublica Hebraeorum» come modello politico, in: Dalle
«repubbliche» elzeviriane alle ideologie del ’900, a cura di V.I. Comparato e e. pii, Firen- ze, Olschki, 1997, pp. 17-33; ead., Classical Foundational Myths of Republicanism. The
Jewish Commonwealth, in: Republicanism, a cura di M. Van Gelderen, q. Skinner, Cam- bridge, University press, 2002, I, pp. 247-261, e ead., Mosè legislatore, in: Magistrature
repubblicane: modelli nella storia del pensiero politico. atti del convegno perugia-Gubbio, 30 novembre-2 dicembre 2006 (“Il pensiero politico”, Xl n. 2), pp. 268-282, in particolare p. 280, con riferimento all’attrazione esercitata dalla politeia biblica, fra Cinque e Seicento, nel mondo calvinista.
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bile volontà di Dio espressa nella legge morale, valida sempre e ovunque, ma sono distinte da essa e non partecipano di quel valore universale: esse infatti furono date a Mosè perché le promulgasse per il popolo ebraico, in quelle condizioni di tempo e di luogo; ciò non esclude, dunque, e anzi con- forta la tesi che per altri popoli e in altre circostanze (in particolare dopo la venuta di Cristo e l’annunzio del Vangelo), altre leggi civili possano realiz- zare meglio quella stessa legge morale31.
È questo un problema al quale dedicheranno ampio spazio anche Daneau e althusius. Nelle loro opere, entro le linee generali tratteggiate da Calvino, la questione assumerà tuttavia un’articolazione più precisa, che si delinea già nella Politica Christiana di Daneau (lib. V, cap. 2), volto a esaminare in modo specifico quanto siano vincolanti ancora al suo tempo, per i cristiani, le leggi mosaiche32. Nell’analisi di Daneau, confermata in via preliminare
l’assoluta vincolatività delle leggi mosaiche morali (in sostanza il Decalo- go), si radicalizza la distinzione fra leggi mosaiche cerimoniali da un lato, e giudiziali o politiche dall’altro. Se da un lato si accentua l’ostilità nei con- fronti delle leggi cerimoniali ebraiche (sostenuta da una lunga citazione di Tommaso, ben più drastico di Calvino sul punto)33, dall’altro si riafferma
però con vigore la perdurante validità delle leggi mosaiche giudiziali e del modello di politía Iudaica descritto nel pentateuco34. ebbene, chiarisce Da-
31 g. CalVino, Istituzione della religione cristiana cit., IV, 20, 14-16, pp. 1729-1733.
Il discorso è ripreso nel Commentarius in epistolam ad Hebraeos e in vari sermoni. Vedi J. Baur, Gott, Recht und weltliches Regiment im Werke Calvins cit., pp. 36-39 e 66.
32 Come chiarisce l. CampoS BoraleVi, Mosè legislatore cit., pp. 280-281: «È proprio
in questa oscillazione che si rivelano alcuni aspetti molto importanti del pensiero politico del tempo, teso nello sforzo di imporre un carattere “scientifico” alla valenza esemplare del modello della Politia Judaica, di circoscrivere e/o limitare in alcuni casi la sua normatività; e volto ad asseverare in modo scientifico i limiti della coincidenza tra legge divina e legge positiva. Si cercava così di identificare con precisione quali fossero le leggi dell’antico Isra- ele legate alla contingenza storica, e quindi non necessarie, non necessariamente normative per gli uomini del xVii secolo, e quali invece fossero le leggi dell’antico Israele in cui più
forte era la matrice divina, di valore universale, leggi necessarie – e fra queste il Decalogo – ancora ritenute cogenti nel xVii secolo».
33 tommaSod’aQuino, Summa theologiae, Ia IIae, q. 104, a. 3, decreta i precetti ceri-
moniali «abrogati al punto da essere non solo morti, ma anche mortiferi per chi li osserva dopo la venuta di Cristo», diversamente dai precetti giudiziali, che «sono morti, perché non hanno più la forza di obbligare, tuttavia non sono mortiferi. Se infatti un principe ordinasse nel proprio regno di osservare questi precetti giudiziali, non commetterebbe peccato, a me- no che essi non venissero osservati, o fosse comandato di osservarli, in un modo per cui la loro obbligatorietà è derivata dalla legge antica. Tale intenzione dietro l’osservanza sarebbe infatti mortifera».
34 Ch. Strohm, Ethik im frühen Calvinismus cit., pp. 70-75, motiva questo atteggiamento
dell’umanista Daneau, ampiamente confermato anche negli Ethices libri, con l’idea di una «saggezza anticotestamentaria mediatrice fra mondo antico pagano ed etica cristiana». Ve- di anche ivi, pp. 262-272: già Théodore de Bèze nella sua Lex Dei moralis, ceremonialis et politica, ex libris Mosis excerpta et in certas classes distributa (1557) aveva cancellato la distinzione, sottolineata da Calvino, fra legge morale e legge giudiziale, inquadrando le mol- teplici regole di diritto civile e penale secondo i singoli comandamenti della seconda tavola del Decalogo. Daneau riprenderà per molti aspetti l’impostazione e i contenuti dello schema
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neau, agganciando la sua riflessione a un’interpretazione libera della tesi di Calvino, «da quando esiste il Vangelo, ormai nessuno Stato pio è tenuto ad osservare rigorosamente le leggi politiche di Mosè: nonostante ciò, all’equità e all’umanità che rifulge in quelle leggi tutti i popoli, per quanto lo consenta la loro diversa ratio et conditio, debbono conformarsi, se vogliono mostrarsi equi e responsabili, non feroci e dissoluti»35. althusius si conformerà alla
dottrina esposta nella Politica Christiana di Daneau anche su questi temi, che compaiono a più riprese nella Politica methodice digesta36. Come ha
rilevato lea Campos Boralevi, althusius caricherà tuttavia la Politia Judae-
orum di una valenza ancor più forte, assumendola, fin dalla Praefatio alla propria opera, come “il” modello sociale e politico ideale37.