Il RUOlO Delle leGGI Nella RESPUBLICA
3. Sviluppi sul piano teologico in Lambert Daneau
Nella cornice delineata da Calvino, ancora aperta a nuove soluzioni e sviluppi, s’inseriscono dunque (come abbiamo visto a proposito delle leggi mosaiche) lambert Daneau prima, e poi althusius, mettendo a punto varie questioni teologico-dottrinali, che presentano importanti risvolti politici. Daneau, in particolare, riprende il discorso sulle leggi dal punto esatto in cui l’aveva lasciato Calvino. l’intero libro V della Politica Christiana è dedicato al problema delle leggi da istituirsi nella Respublica christiana et pia. Daneau
proposto in quello scritto da Théodore de Bèze. a giudizio di Strohm, anche il forte interesse di Daneau, come di altri giuristi riformati della prima modernità, a dimostrare la coincidenza di diritto mosaico e romano (per cui tornò utile un’operetta del tardo impero intitolata Legum Mosaicarum et Romanarum Collatio, riportata alla luce dalla giurisprudenza umanistica), avrebbe avuto in realtà lo scopo di smussare il conflitto tra diritto mosaico e diritto cristiano, per recuperare il pieno valore normativo del primo, e della legislazione veterotestamentaria in generale, nel presente (contro la netta preferenza di lutero e Melantone per il diritto ro- mano, quale fonte pressoché esclusiva della legislazione civile). Di ciò intendo occuparmi più ampiamente in altra sede.
35 l. daneau, Politices Christianae libri septem cit., V, 2, p. 338 (la traduzione è mia),
con rinvio a g. CalVino, Institutio christianae religionis, IV,20,15.
36 Vedi j. althuSiuS, Politica methodice digesta cit., XXI, 29 e 34-41, e l’intero cap.
XXII (Lex propria Judaeorum, an utilis Reipublicae Christianorum, et quatenus abolita), con espresso rinvio in tema di leggi politiche mosaiche a Calvino, Institutio christianae religio- nis, IV, 20, 15-16, e a Daneau, Politices Christianae libri septem, V, 2, oltre che a Tommaso, Bucer, Melantone e altri (vedi ivi, par. 10). In proposito vedi Ch. Strohm, Calvinismus und
Recht cit., pp. 221-224.
37 l. CampoS BoraleVi, Politía Judaica, in: Il lessico della «Politica» di Johannes Al-
thusius cit., pp. 253-263: pp. 257-258. più in generale, vedi ead., La “Respublica Hebrae-
orum” nella tradizione olandese, in: Politeia biblica cit., pp. 431-463, e d. Quaglioni,
Judaism and Religious Toleration in Althusius, in: Konfessionalität und Jurisprudenz in der frühen Neuzeit cit., pp. 229-238.
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affronta in modo deciso la questione, rivendicando al teologo (quindi anche a sé) la piena competenza a trattare di questa materia, ritenuta per lo più di pertinenza dei giuristi, per un motivo fondamentale: la legge, anche quella civile o politica, è parte della parola divina, la cui spiegazione è compito del teologo. Vero è che le leggi umane sono diverse da popolo a popolo, e spesso ci imbattiamo in leggi di contenuto aberrante. Ma qui è necessario distinguere – afferma Daneau –, e la sua distinzione passa attraverso la definizione del concetto di legge: ciò che possiamo e dobbiamo chiamare «legge» – precisa il teologo calvinista, richiamando lattanzio e Tommaso, ma anche platone, Cicerone e la tradizione giuridica – non sono le costituzioni dei prìncipi in sé, che spesso non hanno un contenuto di equità. la vera legge è solo «il comando pubblico del popolo o del principe» che coincide con «la ragione o la luce collocata dalla natura, cioè da Dio, nelle nostre coscienze», e ci ordina di fare ciò che è pio e giusto, e di evitare il contrario. questa legge è una per ogni tempo e per ogni gente, e non sono da ricercarne maestri o interpreti altrove che in Dio e nelle Sacre Scritture38.
È interessante qui l’introduzione di un elemento, che sarà sviluppato ul- teriormente da althusius. Daneau lo riprende ancora una volta da Tommaso, in particolare dal luogo della Summa theologiae che esamina il quesito se sia la ragione di una qualsiasi persona a poter costituire una legge. la risposta di Tommaso, mutuata poi da Daneau, è che la legge riguarda il bene comune: «stabilire le leggi spetta quindi o all’intera moltitudine, o alla persona pub- blica che dell’intera moltitudine ha cura»39. l’idea della legge come «stru-
mento del principe» si stinge dunque in quella di un «comando pubblico», che non proviene necessariamente dall’alto, ma può anche essere espressione della comunità (secondo l’esempio della Roma repubblicana). prosegue in- fatti Daneau precisando che a quella definizione di legge appena citata, che guarda al problema nella prospettiva del legislatore, ne andrebbe in realtà affiancata un’altra, che lo contempla nella prospettiva dei cittadini. questa sua nuova definizione di «legge», che segue da vicino quella di papiniano nel Digesto (D. 1, 3, 1)40, recita: «la legge è l’obbligazione reciproca e al
38 l. daneau, Politices Christianae libri septem cit., V, 1, pp. 326-327: «est […] ea
demum publica iussio lex, quae est recta ratio imperandi, atque prohibendi. porro recta ra- tio, est illa lux, quae nostris conscientiis a natura, id est, a Deo insita, iubet ea quae facien- da sunt, prohibetque contraria. Haec non alia est Romae, alia athenis, alia nunc, alia post hac: sed omni genti, et omni tempore una lex et sempiterna, cuius non est alius quaerendus explanator, Magister, aut interpres, quam Deus ipse, ex verbo ipsius scripto. […] Denique lex, est ea publica populi, vel principis iussio, quae tum vere pia in Deum, tum etiam vere iusta in proximum praecipit, vetat autem contraria». poco oltre, fra i molti passi tratti dalla tradizione filosofica, teologica e giuridica in tema di leggi, risalta una citazione di tomma- Sod’aQuino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 104, a. 4, che definisce la legge come «l’arte di
disporre e ordinare la vita umana».
39 tommaSod’aQuino, Summa theologiae, Ia-IIae, q. 90, a. 3.
40 D. 1, 3, 1: «lex est commune praeceptum, virorum prudentium consultum, delictorum
quae sponte vel ignorantia contrahuntur coercitio, communis rei publicae sponsio». Si tratta della definizione di “legge” di Crisippo, giunta al Digesto attraverso Marciano.
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tempo stesso il comando pubblico, dello Stato o della città, cui è opportuno che tutti obbediscano»41.
Ripartendo da questo concetto, Daneau affronta un altro grande tema, sul quale si era chiusa l’Institutio christianae religionis: quello dell’obbedienza alle leggi. Su questo problema, nel rispetto della cornice delineata da Cal- vino, l’asse del discorso tuttavia gradualmente si sposta, prima con Daneau e poi con althusius, fino a rovesciarsi letteralmente. Dalla questione origi- naria, che era l’obbedienza dei sudditi alle leggi del magistrato (affermata con forza da Calvino, benché moderata da possibili forme di «resistenza») si precipiterà – con althusius – nella questione diametralmente opposta: quella del rispetto delle leggi da parte del sommo magistrato. anche in que- sta evoluzione del discorso Daneau rappresenta un importante punto medio, che prepara in qualche modo la strada ad althusius, contribuendo a risolvere alcune pregiudiziali sul piano teologico.
Tutto il cap. 2 del libro V della Politica Christiana è volto a sondare i limiti entro i quali gli uomini pii e cristiani devono obbedire alle leggi politiche42. Com’è facile immaginare, nella trattazione Daneau svilupperà
soprattutto il problema dei modi in cui è lecito resistere alle leggi inique (tutto sommato senza grandi novità rispetto a Calvino). la propria insi- stenza su questa prospettiva è giustificata peraltro dal teologo calvinista in modo interessante, con il rinvio a un passaggio dell’Institutio christianae
religionis (lib. IV, cap. 10, par. 5), in cui Calvino – afferma con orgoglio Daneau –, primo fra tutti (il confronto è con Crisostomo, agostino, Tom- maso e il Decretum Gratiani), ha dato la sola interpretazione corretta del luogo scritturale decisivo in materia: si tratta del passo di paolo nell’epi- stola ai Romani, secondo cui ai magistrati «è necessario stare sottomessi, non solo per timore della punizione, ma anche in coscienza» (Rom. 13,5). là dove tratta della potestà legislativa della chiesa, Calvino spiega in mo- do eccellente – riassume Daneau – come l’obbligo «in coscienza» (propter
conscientiam) sia riferito da paolo al rispetto della funzione del magistrato e della legislazione in generale, non alle singole leggi, le quali tutte (giu- ste e ingiuste) vincolano il corpo, ma mai la coscienza. a Dio infatti noi dobbiamo in primo luogo la nostra obbedienza, non agli uomini, e solo i comandamenti di Dio legano le nostre coscienze, non gli ordini degli uo-
41 l. daneau, Politices Christianae libri septem cit., V, 1, p. 328: «lex est communis
sponsio ac publicum decretum Reipublicae seu civitatis, cui omnes parere oportet». questa è l’idea di legge alla quale Daneau si richiama anche negli Ethices libri: vedi Ch. Strohm,
Ethik im frühen Calvinismus cit., p. 237, n. 201, il quale rimarca l’impronta stoica di questa concezione della legge. Del resto, dopo la Bibbia, il Corpus iuris civilis è la fonte di gran lunga più citata da Daneau (ivi, p. 273).
42 l. daneau, Politices Christianae libri septem cit., V, 2 (Quatenus Politicis, seu humanis
legibus parere pii Christianique homines debeant: Imo etiam ipsis legibus Mosis Politicis), pp. 329-339. È il motivo per cui è dedicato uno spazio autonomo a Daneau in m. d’addio,
Il tirannicidio, in: Storia delle idee politiche, economiche e sociali diretta da l. Firpo, vol. III, Torino, Utet, 1987, pp. 587-601: pp. 577-578.
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mini43. Di qui la necessità, per un buon cristiano, di rifiutare obbedienza
alle leggi inique; e però anche poi, di conseguenza, di abbandonare quello Stato, o di assoggettarsi con rassegnazione alle pene previste per i trasgres- sori delle leggi44.
quanto al contenuto, le leggi necessarie nella Respublica christiana sono anzitutto quelle che servono a regolare il culto (è vastissima infatti la po- testà legislativa del sommo magistrato in materia di religione)45. Servono
inoltre leggi per regolamentare i crimini (la cui punizione è dovuta a Dio)46
e leggi per regolare i processi, ma anche le vie, gli edifici e le altre opere pubbliche (soprattutto le scuole), i costumi, i matrimoni, le imposte, le varie professioni; e ancora la proprietà, le eredità, i commerci, le fideiussioni, la 43 Ivi, p. 333. per Calvino, «Dieu SeUl est législateur capable de lier les consciences»,
come sintetizza p. le gal, Le droit canonique dans la pensée dialectique de Jean Calvin cit.,
p. 144. Che la legge manifestamente empia e ingiusta non obbligasse in coscienza, peraltro, era già stato affermato da Tommaso (Summa theologiae, Ia-IIae, q. 96, a. 4), e prima di lui da
agostino, Ad Bonifacium, epist. l, in un passo ripreso anche nella palea «imperatores» del Decretum Gratiani (c. 1, D. IX). Su tutti questi temi c’è in realtà ancora un ampio utilizzo del diritto canonico da parte di Daneau. Il ricorso al diritto canonico, in particolare al Decretum Gratiani (la compilazione tratta in gran parte dai padri della chiesa, specialmente da agostino), si fa ancor più imponente negli Ethices libri, soprattutto in tema di matrimonio e adulterio. Spiega Ch. Strohm, Ethik im frühen Calvinismus cit., pp. 252-262, che in Daneau, come
già in Melantone e Calvino, non c’è affatto il radicale ripudio del diritto canonico che aveva caratterizzato il primo lutero. I giuristi dell’importante scuola di Wittenberg si impegnarono anzi per una conservazione delle parti del diritto canonico consonanti con l’insegnamento evangelico, fondandone la difesa sull’argomento della coincidenza con l’aequitas e la recta ratio, assunte quali criteri di accettazione selettiva del diritto canonico. per l’impatto della Riforma protestante sulla tradizione giuridica occidentale e sulle sorti del diritto canonico, è fondamentale lo studio di h.j. Berman, Law and Revolution, II. The Impact of the Protestant
Reformations on the Western Legal Tradition, Cambridge (Ma.)-london, The Belknap press of Harvard University press, 2003, trad. it. Diritto e rivoluzione, II. L’impatto delle riforme protestanti sulla tradizione giuridica occidentale, a cura di D. quaglioni, Bologna, il Muli- no, 2010; si veda la riflessione di d. Quaglioni, Calvinismo e diritto in Harold J. Berman
(1918-2007), in questo stesso volume.
44 l. daneau, Politices Christianae libri septem cit., V, 2, pp. 331-332. È uno degli
effetti della distinzione che opera Daneau fra «buon cittadino» e «buon cristiano»: il buon cittadino obbedisce alle leggi perché sono state emesse dal magistrato, e poi anche perché concordano con la parola di Dio; mentre per il buon cristiano l’ordine di priorità è invertito (vedi Ch. Strohm, Ethik im frühen Calvinismus cit., p. 175). peraltro, già Calvino aveva
chiarito che, se una legge viola l’equità, essa non vincolerà in coscienza, ma ciò non auto- rizza il disprezzo di quell’ordinamento (vedi J. Baur, Gott, Recht und weltliches Regiment
im Werke Calvins cit., pp. 67-68).
45 Si veda F. ingraValle, Teologia e calvinismo politico nel capitolo XXVIII della “Po-
litica” di Althusius, in questo stesso volume.
46 Vedi l. daneau, Politices Christianae libri septem cit., V, p. 348, ov’egli insiste sul
fatto che quello di perseguire e punire i crimini è un dovere che il magistrato ha nei con- fronti di Dio, come si legge in Deut. 21,1. althusius sarà ancor più intransigente sul punto: solo a Dio, mai al magistrato, compete la facoltà di dispensare dall’obbedienza a una legge e di condonare o ridurre una pena. perciò «il magistrato, nel decidere sulle controversie, non deve essere né più mite, né più duro della legge», ricordando sempre che del diritto egli è amministratore, non padrone (Politica methodice digesta, XXI, 27-28 e XXIX, 33-34). Vedi l. BianChin, Justitia cit., p. 212.
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mendicità e perfino i salari (Dio stesso infatti vendica i salariati, ammoni- sce Daneau, se non gli si dà il giusto, secondo quanto si legge nella Genesi e nel Deuteronomio)47.