2.1 La svolta della politica estera cinese e la linea autonomista del Pci di Berlinguer
2.1.1 L'inversione di marcia della politica estera cinese
L'esaurirsi della Rivoluzione culturale determina la ristabilizzazione delle dinamiche della politica interna cinese e, di conseguenza, si registrano i primi segnali di ripresa anche nella politica estera: nel maggio del 1969 la Rpc torna ad inviare ambasciatori all'estero, sintomo di una significativa inversione di rotta rispetto a quella che era stata la linea seguita dal paese socialista durante gli anni del maoismo più radicale.236 La Rpc, in questo momento storico, sente l'esigenza di uscire da un
isolamento di tipo politico e diplomatico, determinato dalla mancata rappresentanza della Rpc all'Onu, dal mancato riconoscimento del paese da parte degli Stati Uniti, dal congelamento delle relazioni con Mosca237 ed, infine, da un progressivo peggioramento dei rapporti con gli stati
africani238 e con Cuba239 durante la Rivoluzione Culturale.240 In questo clima di instabilità interna ed
esterna, il Pcc è allarmato riguardo il pericolo costituito dall'Unione sovietica ai propri confini.241
La situazione internazionale, però, nel frattempo, è in via di cambiamento, ed è segnata dall'intervento sovietico in Cecoslovacchia, dall'avvento dell'amministrazione Nixon e dall'apertura dei negoziati a Parigi riguardo alla questione vietnamita: la formulazione della “dottrina Nixon” sulla riduzione degli impegni militari statunitensi in Asia rende possibile un maggior dialogo con Pechino, nonostante rimanga in sospeso la questione della presenza statunitense in Corea, a Taiwan e dell'alleanza strategica tra Stati Uniti e Giappone.242
Con la fine della Rivoluzione culturale, la normalizzazione della situazione politica interna della Rpc determina l'accentuarsi dell'attività diplomatica del paese asiatico che, nel 1970, stringe rapporti di tipo politico-istituzionale con Canada, Austria, e Italia. Il 23 novembre del 1971 l'entrata della Rpc all'Onu, che vede l'automatica espulsione di Formosa dall'organizzazione, costituisce il
237 La Repubblica democratica di Corea e il Vietnam del Nord si dichiarano neutrali nel conflitto sino-sovietico e gli unici alleati su cui la Rpc può contare sono l'Albania e il Partito comunista neozelandese. DI NOLFO, “Il conflitto sino-sovietico e le sue ripercussioni”, Storia delle relazioni internazionali..., p.526.
238 Durante la Rivoluzione culturale, la Rpc costituisce un elemento disturbante nel contesto internazionale costituito dai blocchi Usa e Urss e i leader africani iniziano a guardare i cinesi con sospetto: i legittimi governi dei vari stati sono preoccupati, in particolare, dall'appoggio cinese ai movimenti radicali di liberazione. La diffidenza mostrata dai paesi africani verso gli Usa e le potenze occidentali si traduce in un netto orientamento di questi stati verso l'asse Urss-Cuba. Daniel LARGE, “Dragon in the bush: the study of China-Africa relations”, African Affairs, 107/426, 2008, pp.45-61.
239 Inizialmente, tra il 1960 e il 1964, Cuba cerca di rimanere neutrale nel dissidio sino-sovietico: tra Rpc e Cuba risulta esserci un'intensa attività diplomatica di tipo politico, commerciale e culturale. Tuttavia, le relazioni iniziano ad incrinarsi già nella seconda metà degli anni '60 all'intensificarsi del conflitto sino-sovietico: la leadership cubana appare divisa riguardo allo schieramento che avrebbe dovuto assumere l'isola nel dissidio tra i due paesi socialisti. La volontà da parte di Castro e dei dirigenti cubani di porsi come intermediario tra le due parti si scontra con il rifiuto cinese di smorzare i toni del conflitto e di diminuire la diffusione di propaganda filo-maoista a Cuba. Inoltre, le impellenze politiche ed economiche dell'isola fanno si che la leadership cubana si orienti nettamente verso l'Unione sovietica sin dal 1965, determinando un raffreddamento dei rapporti con la Rpc. Yinghong CHENG,“Sino- Cuban Relations during the Early Years of the Castro Regime,1959–1966”, Journal of Cold War Studies, vol. 9, n. 3, 2007, pp. 78–114.
240 Il Movimento dei paesi non allineati (NAM) ha cercato di trascendere la Guerra fredda, ma ne è stato inevitabilmente travolto. Durante i suoi primi dodici anni di attività (1961-1973), la costruzione del muro di Berlino, le questioni del disarmo nucleare e la guerra in Medio Oriente nel 1967 hanno portato il NAM ad un'associazione con il blocco sovietico, almeno fino all'intervento dell'Urss in Cecoslovacchia l'anno successivo. In seguito, il rovesciamento del principe Sihanouk in Cambogia nel 1970 divide il movimento, ma Il NAM si avvicina nuovamente al campo sovietico una volta che i non allineati decidono nel 1972 di assegnare la rappresentanza nel gruppo sia al governo in esilio di Sihanouk, che si trovava nella Cina comunista e che era alleato con i Khmer Rossi di Pol Pot, sia al governo istituito nel Vietnam del sud dal Fronte di Liberazione Nazionale. Lorenz M. LÜTHI, “The Non-Aligned Movement and the Cold War, 1961–1973”, Journal of Cold War Studies, 2016, vol.18, n.4, 98- 147.
241 Enrica COLLOTTI PISCHEL, La Cina. La politica estera di un paese sovrano, pp.71-76.
242 Jonathan D. POLLACK, “The opening to America”, in MACFARQUHAR, FAIRBANK, Volume 15, The People's
Republic: Revolutions Between the Revolution, 1966-1982, The Cambridge History of China, Cambridge,
primo passo verso l'apertura di un dialogo con gli Stati Uniti. I primi segnali di intesa si manifestano nel 1968, ma l'avvicinamento avviene lentamente nel corso degli anni Settanta e, solo alla fine del decennio, gli imperativi esterni e la nuova politica di Deng Xiaoping permettono l'istituzione di rapporti ufficiali: il primo gennaio 1979 la Rpc e Stati Uniti stabiliscono ufficialmente relazioni diplomatiche a livello ambasciatoriale.243
L'apertura della Rpc agli Stati Uniti risulta quindi frutto di un concatenarsi di eventi politici e storici: tra i più significativi, vengono generalmente riconosciuti la riduzione della presenza militare statunitense nel Sud-est asiatico, l'aumento delle forze nucleari e del potenziale bellico sovietico sui propri confini orientali, la dissociazione del governo Nixon dalla politica sanzionistica e coercitiva sovietica nei confronti della Rpc ed, infine, la delicata situazione di riassestamento strategico e politico in atto nel sistema burocratico e nella politica interna cinese.244