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La cooperazione sociale come veicolo di inclusione lavorativa

L’istruzione delle persone con disabilità: l’influenza del contesto familiare

3. LE PERSONE CON DISABILITÀ E IL LAVORO 1

3.4 La cooperazione sociale come veicolo di inclusione lavorativa

Il concetto classico della produttività definisce l’ingresso di un lavoratore ordinario nel mercato del lavoro sulla base del suo grado di rispondenza positiva alle richieste che il mer-cato pone in termini di competenza, professionalità, capacità e attitudini di vario genere. Questo principio ha storicamente escluso dal circuito produttivo determinate categorie di soggetti non in linea con le caratteristiche così fissate, tra cui è facile trovare persone con disabilità. L’incapacità di inserire sul mercato del lavoro persone anche solo potenzialmente produttive rappresenta una duplice inefficienza: da un punto di vista economico, per il ge-nerarsi di costi aggiuntivi per alimentare un sistema assistenzialista che non promuove la produttività di persone svantaggiate e da un punto di vista sociale, proprio per l’importanza che il lavoro ricopre nell’affermazione della propria identità14.

La cooperazione sociale di inserimento lavorativo percepisce e fa propria l’evoluzione ultima del concetto di lavoro, inteso come fattore di liberazione dal bisogno, come possibili-tà di autorealizzazione e di emancipazione sociale e decide di fare dell’inserimento al lavoro 14 Sen A., 1999.

Tavola 3.3 - Effetti di alcune variabili demografiche, socio-economiche e territoriali sull’uscita dalla famiglia di origine per le persone con limitazioni gravi e senza limitazione (Modello di regressione logistica: effetti marginali medi)

Limitazioni gravi Nessuna limitazione

Coeff. standardErrore Significatività (a) MarginaliEff. Coeff. standardErrore Significatività (a) MarginaliEff. SESSO (rif. Maschi)

- Femmina 1,165 0,202 *** 0,193 0,906 0,034 *** 0,124

ETÀ (rif. 18-34 anni)

- 35-49 anni 2,319 0,215 *** 0,448 2,585 0,034 *** 0,469

LIVELLO DI ISTRUZIONE (rif. Laurea o più)

- Diploma superiore 0,228 0,314 0,037 0,091 0,042 ** 0,013

- Licenza media, elementare, nessun titolo 0,098 0,315 0,016 0,595 0,049 *** 0,081 RIPARTIZIONE GEOGRAFICA (rif. Nord)

- Centro 0,159 0,268 0,026 -0,244 0,045 *** -0,033

- Mezzogiorno -0,108 0,215 -0,018 -0,175 0,036 *** -0,024

CONDIZIONE OCCUPAZIONALE (rif. In altra condizione)

- Occupato 1,520 0,310 *** 0,261 0,210 0,097 ** 0,029

- In cerca di occupazione 0,252 0,266 0,047 0,244 0,050 *** 0,034

- Inabile -0,669 0,316 ** -0,125 -2,729 0,432 *** -0,408

REDDITO (rif. Mantenimento da parte di familiari)

- Reddito proprio -0,237 0,240 -0,038 1,257 0,092 *** 0,194

delle fasce deboli della popolazione e dell’integrazione sociale delle stesse la mission del proprio modello di impresa. Essa ha come obiettivo non la mera occupazione, ma quello di favorire, attraverso il lavoro, il recupero e l’integrazione sociale della persona che versa inizialmente in una condizione di svantaggio, puntando a restituirle, o fornirle, abilità e risorse umane.

Da quasi trent’anni, da quando la L. 381/91 ha sancito il riconoscimento delle coopera-tive sociali, e in modo meno formale ben da prima, esse svolgono un ruolo importantissi-mo nel settore dell’economia, soprattutto per la peculiarità di approccio intrapreso: hanno infatti, ribaltato completamente l’impostazione tradizionale per cui le imprese, seppur sup-portate da specifici incentivi, vivono come un vincolo l’obbligo di contribuire all’inserimento lavorativo delle persone con disabilità, mentre per le cooperative di inserimento lavorativo questa diventa la funzione principale da massimizzare.

L’articolo 1 della L. 381/91 “Disciplina delle Cooperative Sociali” postula che “le

coope-rative sociali hanno lo scopo di perseguire l’interesse generale della comunità alla promo-zione umana e all’integrapromo-zione sociale dei cittadini”. La cooperativa assume quindi come

obiettivo non la massimizzazione del profitto per il proprietario o dei benefici per i propri associati, bensì quello di produrre i più ampi benefici a favore della comunità locale e dei suoi cittadini, in particolar modo se svantaggiati.

L’articolo 1 della suddetta legge definisce le modalità di intervento attraverso le quali si verificherebbe il perseguimento dell’interesse generale della comunità, ovvero:

La gestione di servizi socio-sanitari ed educativi

Lo svolgimento di attività – agricole, industriali, commerciali o di servizio – finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate

Nel primo caso abbiamo le cosiddette “Cooperative di tipo A”, che ricoprono la fun-zione di cura e sostegno alle persone in condizioni di disagio e operano quindi nel settore delle attività assistenziali; quelle, invece, rivolte all’inserimento lavorativo dei soggetti in condizione di svantaggio danno vita alle “Cooperative di tipo B” e rivestono la funzione di riabilitazione sociale degli stessi soggetti, persone con disabilità fisica, psichica o sensoria-le, o con svantaggio sociasensoria-le, mediante processi di formazione e di reinserimento lavorativo; operano, al contrario delle A, nel settore della produzione di beni e servizi.

Si è dunque delineata una netta distinzione delle cooperative sociali sulla base del proprio oggetto sociale: l’assistenza alle persone con disagio per le cooperativa di tipo A e l’inserimento lavorativo delle stesse per le coop di tipo B.

Oltre a definire le finalità delle cooperative sociali e ad esplicitare le possibilità della base sociale, la legge 381 specifica le modalità di realizzazione delle attività individuando:

I vincoli: nelle cooperative di tipo B il lavoratori svantaggiati devono costituire il 30% della compagine sociale15;

I benefici: le cooperative possono usufruire dell’esonero della contribuzione sociale per le persone svantaggiate; hanno inoltre diritto, se iscritte all’albo regionale delle cooperative so-ciali, a stipulare convenzioni per l’affidamento diretto di beni e servizi da parte di enti pubblici. La cooperazione di offerta di servizi socio-assistenziali (tipo A) presenta maggiori, anche se non scontate, possibilità di successo rispetto alla seconda tipologia, non doven-dosi gravare dell’obbligo giuridico di utilizzare lavoratori svantaggiati per almeno un terzo della base sociale; questa rappresenta una tra le principali cause di insuccesso per questa 15 La condizione di svantaggio deve “risultare da documentazione proveniente dalla pubblica amministrazione”, ovvero strutture di servizio sanitario nazionale, il Comune o l’autorità giudiziaria minorile, l’amministrazione della giustizia e le aziende sanitarie locali.

particolare formula cooperativistica di impresa. Inoltre l’inefficienza o l’assenza delle strut-ture pubbliche che dovrebbero fornire risposta al disagio, ha favorito, negli anni, un forte sviluppo della cooperazione di tipo A. La cooperazione di tipo B risulta più complessa e di più difficile mission, necessita maggiormente di un contesto politico-istituzionale favore-vole, di una buona rete di rapporti con pubblico e privati, ma soprattutto della diffusione di una cultura della cooperazione che porti alla realizzazione di sinergie e rapporti reticolari con altri soggetti.

Lo “svantaggio”, nella sua accezione più generale, deriva dalla difficoltà della persona ad essere correttamente integrata nel tessuto sociale, a causa della concreta mancanza di una pari opportunità; a tale gap si è pensato per lungo tempo di far fronte solo attraverso la formula dell’assistenza. La cooperazione sociale, e in modo particolare quella di inseri-mento lavorativo, rovescia questo approccio: si impegna infatti, nel potenziare la domanda anziché l’offerta, nel rafforzare cioè quelle risorse umane che si trovano “ai margini” e ren-derle produttive anziché considerarle soltanto un costo.

I grandi successi ottenuti, soprattutto in termini economici (vedi dati non profit, Capito-lo 6) dalla cooperazione sociale dimostrano come i bisogni sociali possano essere guardati anche da un’ottica diversa da quella puramente assistenziale; di fatto il movimento si è tra-mutato oggi in un fenomeno rilevante, tanto da un punto di vista sociale, quanto da quello economico imprenditoriale come testimoniano gli ultimi dati a disposizione sulle Istituzioni non profit16.

Le cooperative sociali attive al 2016 sono 15.60017 (nel 2005 erano 7.363). I dipendenti delle cooperative sociali sono 428.713, con un incremento del 3% rispetto al biennio 2015-2016. La quota di lavoratrici donne è nettamente superiore a quella degli uomini (73,0% vs 27,0%) e i lavoratori si collocano principalmente nella classe di età che comprende dai 30 ai 49 anni.

I lavoratori dipendenti per i quali le istituzioni non profit hanno beneficiato di sgravi contributivi sono 40.436 nel 2016 (5,0% del totale). Nel 73,6% dei casi si tratta di fasce socialmente deboli rispetto all’ingresso nel mercato del lavoro (come detenuti, persone con disabilità e donne svantaggiate). Come è possibile osservare nella tavola sottostante quasi il totale delle persone svantaggiate, appartenenti alle fasce deboli, inserite al lavoro attraverso la formula dello sgravio fiscale si trova nelle cooperative sociali (Tavola 3.4).

16 Struttura e profili del settore non profit, Istat, 2018.

17 Non è possibile distinguere, come nelle diffusioni precedenti, cooperative di tipo A, cooperative sociali di inserimento lavorativo (di tipo B) da cooperative miste e Consorzi.

Tavola 3.4 - Dipendenti del settore non profit per forma giuridica e tipologia di beneficiari di sgravi contributivi

TIPOLOGIA BENEFICIARI Associazione Cooperativa sociale Fondazione Altro Totale % Non beneficiari 150.248 394.808 97.598 129.616 772.270 Beneficiari - Giovani 1.481 1.814 184 420 3.899 9,64 - Fasce deboli 807 28.061 193 703 29.764 73,61 - Disoccupati o beneficiari di ammortizzatori sociali 1.287 4.027 96 374 5.784 14,30 - Non allocato 516 3 69 401 989 2,45 - Totale beneficiari 4.091 33.905 542 1.898 40.436 100,0 Totale 154.339 428.713 98.140 131.514 812.706

È indiscutibile, quindi, che questo settore abbia saputo sviluppare, nel tempo, tanto il valore economico, quanto il valore sociale, creando opportunità di occupazione anche per le fasce più deboli della popolazione.

Le cooperative di tipo B devono costantemente rapportarsi con il perseguimento della propria mission solidaristica e questo le costringe a impegnarsi in una serie di attività che dovranno essere necessariamente compatibili con lo svantaggio di cui si fanno carico. La conseguente difficoltà ad impegnarsi in modo esclusivo in un determinato settore le ha portate a specializzarsi in più ambiti, raggiungendo una polifunzionalità che consente loro di impiegare i lavoratori svantaggiati in vari campi, a seconda dei livelli raggiunti nel per-corso terapeutico o riabilitativo. Hanno quindi maturato la capacità di specializzarsi in una molteplicità di attività proprio per rispondere alle necessità insite nell’operare con individui svantaggiati, che manifestano spesso diversi gradi di difficoltà nell’inserimento, nella rela-zionalità e nell’impiego.

Si sono pertanto sviluppate imprese che svolgono attività artigianali in laboratori pro-tetti – ovvero usano il lavoro manuale come elemento di recupero di tipologie di svantaggio in fase ancora acuta – e che allo stesso tempo impiegano i soggetti più “avanzati” nel pro-cesso in attività terziarie o di carattere industriale. Ciò ha contribuito a creare un’immagine della cooperazione come sistema economico confuso, frammentato nelle attività e nelle capacità produttive; in alcuni casi il prezzo che le cooperative di tipo B devono pagare per la loro poliedricità, è quello di non essere riconosciute come imprese, di essere considerate come ‘laboratori di assistenza’ con una enorme svalutazione di quella che invece, rappre-senta una delle loro più grandi doti, la capacità di adattare il proprio ciclo produttivo alla persona svantaggiata.