LA RICERCA SUL GENERE NEI SERVIZI ALLA PRIMA INFANZIA IN UMBRIA
4. La fine della ricerca e le ragioni socio-cultural
Si ritiene, ora, doveroso spiegare le ragioni che ci hanno portate a rinunciare alla ricerca, per dare conto di un contesto socio-culturale fortemente oppositivo alla tematica scelta. Il clima di ostracismo che si è creato in Umbria in particolare nella zona sociale del Perugino, non trova le sue origini nella ricerca attivata sui servizi alla prima infanzia, ma da azioni di più ampio respiro che da tempo si erano manifestate anche a livello nazionale.
Infatti, anche se è possibile individuare in Italia, una maggiore attenzione al tema delle differenze di genere, alla sua narrazione e rappresentazione, non possiamo però dimenticare che il sistema di riferimento culturale, anche se in forma latente è ancora di tipo patriarcale. Un modello culturale ancora in grado di influenzare il sistema sociale, con evidenti contraddizioni nelle risposte dei soggetti. In questo senso la trasformazione delle rappresentazioni sociali, non hanno portato alla perdita di orientamenti di socializzazione tradizionali, con conseguente influenza sul modo in cui gli individui compiono le scelte concernenti, l’essere “uomini o donne” (Piccone Stella S., Saraceno C., a cura di, 1996; Ruminati R. 2010).
A ciò si possono ricondurre anche le determinazioni di una vera e propria campagna diffamatoria al grido di “Fuori il gender dalla scuola”, con striscioni esibiti nelle manifestazioni del Family Day, in cui tutto ciò che riguarda le differenze tra i sessi sono identificate come contrarie all’idea di famiglia tradizionale, e alla rigida distinzione di ruoli maschili/femminili. Un vero e proprio boicottaggio di qualsiasi attività o interesse verso chi, in diversa misura si occupava dell’argomento “genere”. Vi è stato anche un
154
attacco diretto che ha riguardato le iniziative rivolte alle biblioteche scolastiche o in generale per l’infanzia, come la lettura per i più piccoli – “Nati per leggere” e “In Vitro”5. Quest’ultimo è un progetto sperimentale di promozione alla lettura, in cui l’Umbria è stata l’unica regione partecipante, e che ha assunto dimensioni assai significative in quanto sono state utilizzate tutte le 12 zone sociali6, per la creazione delle “reti locali per la promozione della lettura”. Si è trattato dell’elaborazione di un progetto condiviso da tutti e sostenuto attraverso la sottoscrizione del Patto locale per la lettura che ha previsto una responsabilità diretta nella programmazione e realizzazione (http://www.cepell.it/it/monografie-in-vitro/: pp. 60-61). Gli altri Comuni coinvolti nella sperimentazione hanno visto l’insorgere di dibattiti che hanno portato poi a vere e proprie censure7, proibendo ai bambini anche solo di poter visionare i libri in cui erano presenti forme familiari fuori dal canone tradizionale, com’è stato anche per il libro di Pinocchio. Oppure, narrazioni che parlano di un’identità in divenire, come Piccolo giallo o piccolo blu scritto da Leo Lionni8, nel lontano 1959 ed ancora largamente utilizzato nei nidi e nella scuola dell’infanzia.
In questo clima la ricerca che si presenta, non poteva certo tranquillizzare gli animi. Si ricorda a proposito come la città di Perugia sia assurta agli onori della cronaca nazionale con un episodio ancora più clamoroso: nel marzo 2016 in una scuola dell’infanzia tre genitori si sono opposti all’iniziativa che prevedeva un’uscita dei bambini per vedere insieme il noto cartone “Kung Fu Panda 3”, in quanto il protagonista, è un figlio adottivo, nel sequel di recente distribuzione, ed incontra il proprio padre biologico, trovandosi ad avere quindi due papà. Per questa ragione i genitori contrari all’iniziativa hanno ritenuto che il film fosse ‘pro gender’, vedendovi un riferimento a coppie dello stesso sesso con figli e, in questo caso, alla mancanza di una madre, facendo emergere nuovamente l’evidente sovrapposizione tra temi diversi: l’omosessualità (e le unioni gay), la famiglia e la differenza di genere.
Si è così assistito a un vero e proprio attacco frontale da parte del mondo culturale e istituzionale di matrice cattolica, almeno quello delle frange più oltranziste. I promotori della campagna “pro-gender” venivano così presentati come esecutori di forme di controllo e d’indottrinamento di bambine e bambini, per difendere di fatto i modelli familiari e identitari della “famiglia naturale” o della “diversità naturale tra maschi e
5
Progetto al quale hanno aderito: la Regione dell’Umbria, le Provincie di Belluno, Lecce, Nuoro, Ravenna e il Libero Consorzio Comunale di Siracusa. Report In Vitro 2016, http://www.regione.umbria.it/istruzione/progetto-in-vitro, consultato in data 12.12.2016. Per completezza si segnala che anche il progetto europeo “Polite” (Pari opportunità nei libri di testo) che nel 1999 invitava a rivedere i libri scolastici, equilibrando la presenza di uomini e donne per superare gli stereotipi di genere (per es. eliminare l’immagine della donna che si occupa delle mansioni domestiche accanto all’uomo astronauta, ingegnere, meccanico). Progetto di fatto rimasto inattuato (http:www.AIE.it/polite, consultato in data 12.12.2016).
6
Zone sociali in cui sono presenti 92 comuni umbri che coincidono territorialmente con i Distretti sanitari
e i Coordinamenti dei servizi educativi per la prima infanzia.
7 Nel luglio 2015 il sindaco di Venezia ha messo all’indice 45 libri per l’infanzia: in seguito alle larghissime proteste, pur non rinunciando al suo intento, ha proceduto ad una revisione dei titoli.
8
Leo Lionni (1919-1999), di origine olandese, artista eclettico di fama internazionale (scrittore, pittore, scultore, grafico e, in particolare, illustratore di libri per l’infanzia), visse tra gli Usa e l’Europa e, negli ultimi decenni della sua vita, in Italia. Piccolo blu e piccolo verde parla di due bambini, rappresentati da macchie di colore, tra loro tanto amici da fondersi e creare il verde: una storia di affetto, condivisione e di rapporto con l’Atro.
155
femmine”. Si è persino sostenuto, che i promotori della “cultura gender” erano favorevoli ad incoraggiare la masturbazione dei bambini e delle bambine dalla più tenera
età, negli ambiti educativi e formativi. In questo contesto alcuni associazioni e
movimenti, hanno iniziato a manifestare contro ogni forma di discriminazione, sessuale, razziale, ecc., in favore della crescita delle persone e della cultura. È loro (e nostra) convinzione che attraverso la logica delle pari opportunità è possibile costruire una società coesa e rispettosa dell’altro, possibile solo attraverso l’introiezione di un immaginario individuale e collettivo prima ancora che nel diritto. In questo senso i processi educativi e la scuola sono i luoghi deputati a questo processo.
Gli ambienti educativi sono infatti i luoghi principali in cui è possibile cimentarsi e fare esperienze, attraverso il gioco, le relazioni tra i componenti, l’immedesimazione nei personaggi dei libri che vengono letti o proposti, tutto volto al processo di costruzione identitaria, per conoscere se stessi, i gusti e i limiti, avendo la possibilità di scegliere di interpretare (la mamma, il papà, il falegname o l’infermiera, ecc.). La ricerca voleva occuparsi anche di questo, comprendere su come e quanto, consapevolmente e inconsapevolmente, noi adulti possiamo incoraggiare o frenare bambini o bambine nello svolgere un compito, affidando loro o meno una responsabilità, concedendo fiducia, dando a tutt* uguale libertà di manifestare sentimenti ed emozioni, la cui espressione è il primo passo per imparare a non reprimerli, a incanalarli in percorsi costruttivi. Tutto questo segna la costruzione dell’autostima, delle capacità di comunicare verbalmente e di contenere rabbia e dolore, vittorie e sconfitte. Per questo, quando noi parliamo d’intervento dalla prima infanzia, non possiamo pensare di iniziare dalla scuola primaria, quando già molti di questi elementi si sono consolidati, come evidenziato da Fustini nel suo saggio (2007, pp. 58-65).
Si precisa inoltre, che il clima di contrasto tra le fazioni pro o contro gender aveva avuto
inizio con l’approvazione della Legge n.107/2015, la cosiddetta “buona scuola”, in cui al comma 16 si legge – per qualsiasi grado di scuola - di promuovere le pari opportunità, di prevenire la violenza di genere e le discriminazioni. La presenza del termine “genere” ha scatenato una polemica molto accesa tra i fautori di un modello familiare ‘tradizionale’ ed integrale che non accetta nessuna intromissione da parte di educatori o insegnanti, nell’idea che ogni genitore ha nel modo e nei modelli educativi per i propri figli, negando, di fatto, la funzione educativa della scuola, poiché l’educazione dei figli spetterebbe ai soli genitori. Il clima si era talmente arroventato da dover far intervenire la Ministra Giannini che ha chiarito come nella legge non ci sia alcun riferimento alla teoria gender, ma alla “attuazione dei principi di pari opportunità, promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni”. Si fa riferimento a numerosi articoli della Costituzione cui questa disposizione s’ispira, nonché alle Convenzioni europee ed internazionali pertinenti. Tali chiarimenti non hanno sedato l’opposizione, che ha continuato a sostenere l’esistenza di un riferimento implicito – e quindi ancor più subdolo – alla teoria del gender. A giustificazione dei detrattori della riforma, è possibile affermare che nei diversi sistemi scolastici non sono stati introdotti progetti volti al superamento di discriminazioni e differenze di genere, come ritenuto necessario (Leonelli 2009, pp. 346-350). La scuola e i diversi ambiti educativi, sono stati quindi investiti dal compito di sviluppare relazioni sempre più paritarie nelle classi, nel rispetto delle differenze, di qualsiasi tipo esse siano, senza che fossero introdotte linee di riferimento.
156
È evidente che tutti questi fronti da cui si è originato il vivace dibattito, non possono essere ignorati soprattutto per chi - come chi scrive - lavora nel mondo della formazione universitaria9 e che occupandosi del tema non vorrebbe vedere questa direzione di lavoro sottaciuta. Per queste ragioni, insieme alle colleghe del Dipartimento e alla presenza della Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza della Regione Umbria – Maria Pia Serlupini – nel maggio 2016 è stato organizzato un seminario presso il nostro Dipartimento dal titolo: Il concetto di genere e i modelli educativi (Fornari 2017). Seminario nato dalla necessità, di aprire un dibattito all’interno del nostro Dipartimento, luogo delle differenze di genere, considerando che la composizione della popolazione studentesca è quasi totalmente al femminile. È infatti notorio, quanto nel sistema educativo italiano siano presenti forti condizionamenti legati al genere, e di quanto questi incidano non solo sul rendimento scolastico, con uno sbilanciamento in favore delle ragazze10, ma soprattutto rispetto alla scelta dei corsi scolastici, professionali ed universitari, con una netta prevalenza dell’ambito umanistico, dell’istruzione, sociale e sanitario per le ragazze e l’ambito scientifico-matematico (ingegneria, matematica ed artigianato, ecc.) per i maschi. Appare evidente una segregazione di tipo orizzontale: quando le ragazze e i ragazzi compiono le loro scelte scolastiche e professionali, non fanno altro che confermare la separazione dei ruoli tradizionali (Sapegno 2014). In generale le questioni riguardanti la parità di genere sono all’attenzione anche delle politiche dell’Unione Europea, tanto da legiferare anche in merito alle questioni del gap di genere lavorativo e scolastico. Ricerche in cui il modello italiano risulta essere uno di quelli più arretrati, come si può leggere nei risultati riportati (http://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/gender_statistics; ricerca consultata il 20.11.2016 )11.