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4.7 Quale futuro?

MODALITA’ DI VIAGGIO N°

6.6. La tecnica dell’innamoramento: storia di Bianca

Tra le diverse forme di inganno utilizzate per convincere le ragazze a emigrare, la più subdola è quella che ricorre all’innamoramento. La storia di Bianca189 (storia n. 31), trafficata intorno alla fine degli anni novanta, ne è una prova. Tutto comincia quando Bianca si innamora di un ragazzo, che chiameremo Denis, che, seguendo le tradizioni locali, la presenta alla sua famiglia e le propone di andare a vivere in Italia con lui.

Ci siamo conosciuti, frequentati e innamorati, in seguito mi ha chiesto di andare a vivere con lui. Mi ha portato prima a Tirana a casa sua, dove mi ha fatto conoscere i suoi familiari. Non sapevo che sarei dovuta venire in Italia; quando ne sono venuta a conoscenza ho chiesto cosa avrei fatto in Italia. Arben mi diceva che mi avrebbe spiegato tutto una volta arrivati.

Sembra l’inizio di una storia d’amore destinata ad evolversi felicemente, ma, purtroppo, quello che avrebbe dovuto rappresentare l’inizio di un sogno si è rivelato essere l’inizio di un terribile incubo. Bianca, infatti, dopo un viaggio estenuante viene immediatamente costretta a prostituirsi.

                                                                                                                         

187 Save the children, op.cit..

188AA.VV, Articolo 18: Tutela delle vittime del traffico di esseri umani e lotta alla criminalità (L’Italia e gli scenari europei), Edizioni On the Road, Martinsicuro (TE),2002.

La sera stessa mi ha portato in maniera forzata in strada.

Ha così inizio un ciclone di violenza. Violento è il modo in cui Bianca scopre quale sarà il suo futuro, spietate e inumane sono le condizioni attraverso le quali è obbligata a viverlo.

Per comprendere meglio questa dinamica, tuttavia, è opportuno tenere conto del contesto culturale di riferimento. Il fidanzamento e il matrimonio rappresentano per la donna albanese il canale privilegiato per l’acquisizione di una cittadinanza piena. Il matrimonio è l’unica via per ottenere l’indipendenza sostanziale dal padre, ma è un’indipendenza che si trasforma in una nuova forma di dipendenza. Ne consegue che, in un certo senso, dopo il matrimonio la ragazza diventa proprietà del marito. Il periodo iniziale in Italia, comunque, sembra anticipare un futuro differente: Denis rassicura Bianca dicendole che dovrà prostituirsi solo per un po’, ma lo scenario rapidamente muta.

Io lo chiamavo spesso, perché non volevo fare quel lavoro, mi faceva schifo. All’inizio lui mi diceva di resistere, perché sarebbe stato per poco tempo.

La tipologia di sfruttamento del quale Bianca è vittima è, invece, quella tipica del “magnaccia” di vecchia memoria: Denis la accompagna al lavoro e poi passa le giornate al bar, insieme agli amici del giro, con i quali divide affari illegali di altra natura. Di tanto in tanto lui o gli amici, a turno, passano a controllare le loro donne che occupano tratti contigui di marciapiede190.

Lui girava sempre con i suoi amici mentre io lavoravo e mi controllava.

Il controllo diretto sulle strade mira a fortificare la condizione di isolamento, bloccando ogni tentativo della ragazza di relazionarsi con persone diverse, esterne all’ambiente.

La condizione di assoggettamento e di sfruttamento, implica, anche in questo caso, la sottrazione totale degli incassi della prostituzione. Lo sfruttatore provvede al                                                                                                                          

sostentamento della ragazza fornendole, oltre all’alloggio, cibo, profilattici e il vestiario necessario al lavoro di strada.

Tutti i soldi che guadagnavo li davo a lui, a volte mi dava qualcosa per fare la spesa.

Il possesso assoluto e la mercificazione della persona si manifestano attraverso ogni tipo di brutalità. In alcuni casi, come in quello di Bianca, è segnalata anche la terrificante complicità degli stessi familiari.

Ha cominciato a picchiarmi anche senza motivo; a volte, bastava una piccola parola che gli dava fastidio e neanche la sua mamma, che viveva con noi, interveniva o veniva a vedere come stavo.

La violenza inflitta a Bianca, ma più in generale a molte delle donne albanesi, assume caratteri diversi. La violenza fisica è un elemento costitutivo e reiterato dell’attività di sfruttamento, e il principale strumento utilizzato per persuadere ed annullare la volontà della propria donna.

La violenza sessuale costituisce un chiaro mezzo di assoggettamento della ragazza ed è utilizzata per definire la qualità dei rapporti gerarchici che caratterizzano la relazione sfruttatore-vittima. Ricorrendo alla violenza sessuale, infatti, lo sfruttatore si pone l’obiettivo di creare un rapporto basato sulla proprietà, un possesso assoluto volto ad annullare la soggettività e la volontà della vittima che lo subisce.

Mi ha legato al letto con le manette e mi ha violentata; finito questo mi ha fatto vestire, siamo usciti e mi ha detto che non provava alcun rimorso per quello che aveva fatto, anzi, era contento e, se mi fossi azzardata a contraddirlo avrebbe ricominciato.

La violenza psicologica si realizza attraverso minacce dirette alla ragazza o alla famiglia della ragazza, ed è alimentata dal generale clima di terrore nel quale le vittime sono costrette a vivere. La violenza, in qualsiasi forma si manifesti, produce assoggettamento e, paradossalmente, subordinazione. L’assoggettamento è reso ancora più forte quando il vincolo è anche di tipo affettivo: l’essere state innamorate, l’aver creduto in un progetto di vita comune, crea una sorta di cordone invisibile

difficile da recidere.

Sono rimasta incinta di Denis, che mi ha costretto con forti minacce e violenze ad abortire.

Uscita dall’ospedale, dove ero andata sola per fare l’aborto, mi ha telefonato dicendomi di andare a lavorare; io ho risposto che non potevo, che avevo un’emorragia e così tutti i giorni lui mi chiamava per chiedermi se avevo lavorato e quanti soldi avevo guadagnato. Così sono andata a lavorare ugualmente per non prendere altre botte.

Il ricorso persistente alla violenza e all’intimidazione, poi, infrange ogni forma di autodeterminazione e riduce gradualmente la capacità di controllo sulla propria esistenza. Nel momento in cui la ragazza comprende di non poter più avere alcuna possibilità di scelta si sottomette alla volontà dello sfruttatore, ma da ciò ne consegue una trasformazione profonda della sua personalità191.

Il ciclo prostituzionale che ha come vittime le donne albanesi si contraddistingue per essere ancorato ad un tempo indeterminato, ossia fino a quando la donna non si affranca dallo sfruttamento o fino a quando le forze dell’ordine - o gli operatori sociali di strada - non la intercettano e creano i presupposti per il suo sganciamento dallo sfruttatore. Bianca racconta, però, di essere stata istruita da Denis a fornire false generalità nel caso fosse stata fermata dalle Forze dell’Ordine, e così è stato.

Una sera la Polizia ha preso tutte le ragazze che lavoravano in strada, ma io ho dato un altro nome, perché così mi aveva istruito lui. Mi hanno rimpatriato in Albania; qui ho trovato Denis che era arrivato prima di me. Sono rimasta 2/3 giorni a Tirana, poi da Valona sono stata nuovamente costretta a ripartire per l’Italia; lui invece è rimasto in Albania tranquillo perché non aveva nessuna paura di me, né che scappassi, né che lo denunciassi.

Nemmeno i rimpatri coatti sortiscono alcun tipo di effetto, perché non sono sufficienti per intaccare in alcun modo la dipendenza e il controllo da parte degli sfruttatori, che utilizzano diversi tipi di pressioni psicologiche:

• intimando ritorsioni verso la famiglia di origine;

• privando le ragazze dei documenti identificativi per poi metterle in guardia sulle conseguenze legali a cui sarebbero soggette se venissero                                                                                                                          

denunciate.

Quando mi hanno rimandato in Albania per l’ennesima volta mi sono rifiutata di tornare in Italia col gommone, gli ho detto che piuttosto mi sarei ammazzata; allora lui ha comprato dei documenti falsi e con questi sono tornata in Italia.

Nella storia di Bianca, poi, è evidenziato il legame tra droga e prostituzione. Denis, il fidanzato-sfruttatore è, infatti, coinvolto in un’attività di spaccio nella quale cerca di trascinare la sua vittima. E’ frequente il fatto che le reti trattanti albanesi siano coinvolte anche in altri affari di natura illegale, come il traffico di armi e droga.

Un giorno Denis mi dice che, dopo la prostituzione, avrei dovuto lavorare con la droga: ho detto di no, lui mi ha messo la droga in mano e io sono scappata, ma lui mi ha ripreso, portato in macchina e picchiata. Poi mi ha fatto scendere, ha messo la mia testa sotto la ruota della macchina e mi ha chiesto se l’avrei fatto; ho risposto ovviamente di sì.

Sono rimasta nuovamente incinta, ma questa volta ero decisa: non volevo abortire.

Il dominio indubbio, e spesso incomprensibile dello sfruttatore caratterizza la relazione autore-vittima. Sembra, poi, impossibile conciliare le violenze narrate dalla vittima con il sentimento di amore e attaccamento provato nei confronti del suo sfruttatore. Numerosi autori hanno studiato questo fenomeno definito “Sindrome di adattamento” nelle esperienze di abuso e “Sindrome di Stoccolma” nelle vittime dei sequestri di persona.

Nel 1894 Sigmund Freud descrisse per la prima volta l’esistenza di operazioni inconsce che, in quel momento, indicò con il termine generico di rimozione. Freud sostenne che tali operazioni inconsce erano volte a proteggere l’individuo da conflitti, idee ed emozioni. Identificò alcune proprietà delle difese dell’Io :

• Sono lo strumento principale con cui il soggetto gestisce gli istinti e gli affetti.

• Sono inconsce.

• Sono discrete l’una rispetto all’altra.

• Nonostante spesso costituiscano la caratteristica distintiva delle maggiori sindromi psichiatriche, tendono ad essere reversibili.

dell’Ordine.

(…) Ci hanno arrestati tutti e due, in Questura mi hanno chiesto se lui fosse il mio magnaccia, io ho risposto di no, che lui mi aveva tolto dalla strada, perché così mi aveva detto di rispondere se ci avessero arrestati. Hanno perquisito casa mia e hanno trovato la droga, perché lui la lasciava da me “per sicurezza”.

Bianca, infatti, non riesce a trovare il coraggio di informare le Forze dell’Ordine che vogliono aiutarla della condizione di sfruttamento di cui è vittima, ed è costretta a pagarne le conseguenze.

I poliziotti mi hanno chiesto se sapevo che a casa sua viveva la sua donna, incinta di 9 mesi, io ho risposto di no, così mi sono resa conto che io ero sfruttata e picchiata e coi soldi che sudavo l’altra faceva la bella vita.

I poliziotti mi incoraggiavano a parlare, perché rischiavo 15 anni di carcere, ma lui diceva che non era vero. Io non ho parlato, avevo troppa paura!

Mi hanno portata in carcere; due giorni dopo davanti al GIP ho visto Denis, che mi ha chiesto di non parlare, perché lui ha già contattato l’avvocato e devo stare tranquilla, e io non ho parlato.

Mi hanno concesso gli arresti domiciliari da mia sorella che vive a Roma.

Qui veniva a trovarmi la mamma di Denis, che mi chiedeva di prendermi io la colpa di tutto, dicendo che la droga me la forniva una ragazzo albanese. Mi sono rifiutata, avevo pagato già troppo.(…). Dopo qualche mese mi hanno trasferito in una casa Famiglia gestita da suore per ragazze incinte.

Acquisita la coscienza piena dell’inganno subito, la maturazione della decisione di denunciare lo sfruttatore è comunque difficile e tormentata. La voglia di dimenticare e di lasciare tutto alle spalle, ma soprattutto la paura, giocano, infatti, un ruolo determinante. Bianca, però, è costretta a pagarne le conseguenze.

Il giorno del processo mi ha accompagnato in Tribunale una suora perché da sola avrei avuto paura.

Ho visto tutta la sua famiglia davanti e ho avuto paura di parlare, anche se avevo deciso di farlo.

Mi sono detto che così non avrei rovinato la mia gravidanza.

Storie come queste, contraddistinte da una tipologia di sfruttamento che comincia da un rapporto uomo-donna molto stretto e enigmatico, basato sulla violenza e facilitato dalla posizione subalterna della donna sono caratteristiche degli anni novanta. Nel corso degli anni l’organizzazione è andata modificandosi ed evolvendosi fino a diventare una struttura orizzontale ramificata di tipo clanico. Dal ’96 si è rilevata la presenza di gruppi con una struttura verticistica e ramificata a base familistica, e con stretti e continui rapporti con l’Albania facilitati dalla maggiore frequenza di voli aerei e dall'arrivo dei cellulari. La distanza dai capi e l’estrema flessibilità dei gregari ha reso, inoltre, terribilmente complicata l’azione di contrasto da parte delle Forze dell’Ordine. I gregari, infatti, si spostano frequentemente tra i due paesi e tornano in Albania per investire i guadagni ottenuti.