2. Evoluzione storica della normativa nazionale in materia di prostituzione e tratta
2.3. Lina Merlin e la sua lotta per abolire la regolamentazione
ll 20 febbraio del 1958 il Parlamento italiano approvò la legge 75, che aveva come prima firmataria la senatrice Angelina Merlin, con la quale veniva decretata l’abolizione della regolamentazione della prostituzione in Italia e, contestualmente, veniva avviata la lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui; e la
soppressione delle case di tolleranza. Questo provvedimento fu il cardine dell’attività
politica della parlamentare socialista, che volle seguire l’esempio dell’attivista francese (ed ex-prostituta) Marthe Richard sotto la cui azione già nel 1946 erano state chiuse le case di tolleranza in Francia.
55 Prina F., op. cit., p. 42. 56 Melotti S., op.cit.
Angelina Merlin nacque a Pozzonovo di Padova nel 1887, ma ben presto si trasferì a Chioggia presso i nonni materni, dove si diplomò maestra e si laureò in Lingue Straniere. Si iscrisse al partito socialista nel 1919, collaborando a “L’Eco dei lavoratori” e alla “Difesa delle lavoratrici”, di cui, più tardi, prese la direzione. Nel periodo in cui lavorava come insegnante, la Merlin, vedendo che le donne, mogli di pescatori e marinai e quindi spesso sole, si prostituivano ai benestanti del paese per qualche piccolo capriccio o per fame, provava una grande sofferenza. Non sopportava, poi, che gli uomini, di famiglie religiose, frequentassero le prostitute e infettassero le mogli. La Merlin si propose di finire quel malcostume, a costo di andare contro al partito: la morale dell’epoca, infatti, identificava nelle case chiuse il luogo dove i giovani potevano “fare esperienza” poiché alle fidanzate non era permesso avere rapporti.
Bloccata nella sua battaglia dal fascismo, fu mandata al confino dal 1926 al 1930. Eletta membro dell'assemblea costituente nel 1946, nel 1948 fu la prima donna Italiana a sedere in Senato, dove ricominciò la sua attività57.
Il primo atto parlamentare di Lina Merlin fu quello di presentare un progetto di legge contro il sesso in compravendita e l’uso statale di riscuotere la tassa di esercizio, oltre ad una percentuale sugli incassi della prostituzione delle donne. Un sostegno alla sua azione legislativa giunse dall’adesione dell’Italia all’ONU: in virtù di quest’avvenimento, infatti, il governo dovette firmare alcune convenzioni internazionali, tra cui la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (del 1948) che, tra l’altro, faceva obbligo agli Stati firmatari di porre in atto “la repressione
della tratta degli esseri umani e lo sfruttamento della prostituzione”.
Attraverso la ratifica di questi trattati, quindi, era necessario oltrepassare il regime delle case di prostituzione gestite dallo Stato, anche se il Ministro degli Interni dell’epoca, Mario Scelba, aveva cessato di rilasciare licenze di Polizia per l’apertura di nuove case già dal 1948.
Lina Merlin proponeva un progetto di legge che: “…non mira ad abolire quello che,
in una società costituita come la nostra, è insopprimibile, cioè il mercato dell’amore, ma intende togliere di mezzo lo sfruttamento che si fa della prostituzione, all’ombra
delle leggi dello Stato, e ridare possibilità di scelta alle persone che, nelle case di tolleranza, hanno solo la libertà di alienarsi.58”
Lina Merlin aveva cominciato a conoscere da vicino il fenomeno della prostituzione e le donne che la esercitavano visitando le case di tolleranza, con il permesso del Ministro Scelba, anche lui bendisposto alla legge abolizionista. Nella sua autobiografia la senatrice ricorda così una delle visite:
“Mi hanno ricevuta cortesemente, ho visto la cucina, la sala d’aspetto, le camere e le ragazze. Mi disse la maîtresse: “Sa, sono contente, le tratto come figlie (occhiate ironiche delle… figlie), guadagnano molto, ognuna si comprerà l’appartamento o la villa e ha denaro in banca.” Tacevo e pensavo: ecco come si considera un problema tanto grave; il denaro, dovunque e comunque si guadagni, basta a giustificare tutto, anche l’infamia.
Giunta ad una delle camere, con un letto dalla sopraccoperta piuttosto sporca, la giornalista Carla Barberis, che era con me, domandò alla maîtresse se lo cambiava spesso quel copriletto, e quella rispose che lo cambiava tutti i giorni. Quale garanzia per l’igiene, quando in ventiquattr’ore vi passano decine di clienti. Altrettanto è lo specchietto per le allodole cioè l’armadietto con i disinfettanti, obbligatorio per legge, che nessuno adopera mai, né lo potrebbe, data la brevità del tempo che intercorre tra un cliente e l’altro nel tempio di Venere. “Che ve ne pare della proposta di chiusura delle case?”, domandò la signora Barberis. La maîtresse piagnucolò: “Poverine, dove andranno, che faranno queste povere figliole!”. Io pronta “Signora, non si preoccupi. Andranno nei loro appartamenti, nelle loro ville; vivranno con le rendite dei capitali che hanno guadagnato qui e depositato in banca.”. La donna tacque e le altre risero di gusto.”59
Le condizioni a cui erano soggette le donne che vivevano nelle case di tolleranza sono, poi, ben rappresentate nelle lettere drammatiche che le stesse inviarono alla senatrice, successivamente pubblicate in un libro, che descrivono storie dure, di sofferenza e diritti negati:
58 Merlin L., Barberis C.(a cura di), Lettere dalle case chiuse, Avanti, Milano, 1955, p.5. 59Merlin L. La mia vita, op.cit., p.105.
“Deve sapere che dormiamo negli stessi letti dove ogni giorno riceviamo i clienti, e ogni notte è una tortura, quasi tutte abbiamo incubi e non possiamo dormire per ore e ore. E quando mi sveglio è peggio, perché rivedo lo stesso letto, gli stessi mobili ecc. ecc. (…). Non ne posso più, è mille volte meglio fare la fame che rimanere ancora in questi posti. Purtroppo non è facile liberarsi dagli sfruttatori che ci hanno legate a questo mestiere. (…). Una volta prese si rimane incatenate finchè si ha la forza e la salute, poi si è buttate via come stracci.60”
“Quando una di noi è nel giro, se proprio non è finita non la lasciano più uscire, perché oltretutto ci fanno firmare tante cambiali, ci indebitiamo per vestirci, per le malattie per tutto, e pensi che se spendiamo per 50 dobbiamo firmare per 100, e la Questura è d’accordo con le padrone e non possiamo protestare (…). Eppure siamo giovani e sembriamo delle vecchie solo per il fatto che non prendiamo mai aria buona siamo quasi tutte gialle in faccia61”
Le tenutarie delle case avevano un potere assoluto, in un ambiente di povertà e disoccupazione, e lo esercitavano senza esitazioni. Esse stabilivano le tariffe da applicare ai clienti e toglievano ai guadagni delle prostitute i costi di gestione, le cui principali voci consistevano in tasse dello Stato, lavaggio della biancheria, visite mediche, vitto e alloggio.62
“Le padrone sfruttano in tutto. Metà, tremila di pensione il giorno, si paga la servitù, si fa tre quarti e un quinto loro e un quinto noi. Accordo con i così detti ruffiani. Vera schiavitù. Quello che impressiona e che la polizia indaga mai. Viva la Merlin. Finire lo sfruttamento. Basta indagare si sa.63”
Un’altra lettera racchiude il cuore di ciò a cui la legge Merlin ha cercato di rispondere, e cioè “l’etichettatura”, la stigmatizzazione che ogni prostituta che entrava nelle case era costretta a portare con sé per tutta la vita.
60 AA.VV., Cara senatrice Merlin… Lettere dalle case chiuse, EGA, Torino, 2008, p.51. 61 Ibidem, p. 23.
62 Tatafiore R., Sesso al lavoro, Il Saggiatore, Milano, 1997. 63AA.VV, Cara senatrice Merlin…, op.cit..
“Onorevole, sono una di “quelle” e seguo con interesse quanto Lei vuole fare. Le dirò soltanto perché a 25 anni faccio questa vita. Ho fatto le scuole medie e poi mi sono impiegata. Il mio principale quando ha visto che sull’atto di nascita risultavo, senza mia colpa, figlia di N.N., ha subito preteso di approfittare di me. Il resto va da sè. Ora, ritornando alla vita normale, come potrò rifarmi se dappertutto, anche all’affittacamere, dovrò mostrare i miei dati più privati? Perché non cerca di rimediare anche a questo? Perché tutti devono sapere i miei fatti personali? La ossequio64.”
Merlin, nella sua proposta di legge, ribadì come l’articolo 3 della Costituzione italiana disponesse l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, e l’articolo 32 annoverasse la salute come fondamentale diritto dell’individuo; veniva citato inoltre il secondo comma dell’articolo 41 che stabilisce come un’attività economica non possa essere svolta in modo da arrecare danno alla dignità umana.
Per questo motivo, le leggi che fino ad allora avevano regolamentato la prostituzione dovevano essere abolite, senza che ad esse fosse supplito alcun tipo controllo o permesso di esercitarla in luogo pubblico, cosa che sarebbe stata oltraggiosa per chiunque avesse voluto prostituirsi spontaneamente.
La prostituzione così come regolamentata sino a quel momento non poteva che essere parificata ad una forma di moderna schiavitù delle donne: nelle case di tolleranza le meretrici erano vittime di ogni forma di tirannia e l’obbligo della registrazione negli elenchi della polizia marcava in modo praticamente definitivo le loro vite future. L’iscrizione, infatti, era particolarmente difficile da revocare e rendeva impossibile trovare un lavoro differente.
La prostituzione non poteva né doveva, poi, essere considerata un reato e compito dello Stato sarebbe dovuto essere quello di istituire sistemi e strutture tese a favorire ed aiutare il reinserimento sociale delle donne che volevano cambiare vita (il progetto prevedeva, infatti, la creazione di istituti ad hoc con il compito specifico di provvedere alla loro istruzione al fine di fornire loro gli strumenti e le qualifiche per poter trovare nuovi impieghi).
Furono necessari nove anni affinché la proposta della Merlin percorresse l’intero iter legislativo, poiché, nonostante fosse sostenuta da molti, la legge incontrò una serie di intralci durante il dibattito in Parlamento, dovendo essere ripresentata allo scadere di ogni legislatura e dovendo ricominciare i dibattiti tanto in aula quanto in commissione.
I lavori parlamentari che portarono all’approvazione di questa innovativa riforma furono, poi, contrassegnati da un durissimo scontro etico-politico che vide contrapposti gli schieramenti abolizionisti, da un lato, e quelli regolamentaristi, dall’altro65.
I primi, appartenenti alle forze politiche di sinistra, ritenevano che l’abolizione della regolamentazione della prostituzione avrebbe affrancato le donne dalla schiavitù legalizzata in cui erano da molti anni obbligate a vivere, ridando loro dignità e, soprattutto, parità di diritti rispetto agli uomini. Sulla difficile questione della salute pubblica (che più inquietava i sostenitori dell’opposto schieramento), essi sostenevano che sarebbe stata ampiamente sufficiente e tutelativa la previsione di programmi di educazione sessuale e di assistenza medica gratuita66.
I regolamentaristi, appartenenti all’ala di destra del Parlamento, affermavano, al contrario, che soltanto lo Stato era in grado di controllare e preservare la società civile dal degradante fenomeno del meretricio. L’esistenza delle case di tolleranza permetteva, infatti, la riduzione al minimo dell’adescamento lungo le strade. La previsione, poi, dei controlli sanitari periodici e obbligatori era considerata l’unico strumento sicuro per evitare la trasmissione delle malattie veneree67.
L’approvazione della legge, che segnò una svolta nel costume e nella civiltà dell’Italia moderna, fu vista da alcuni come l’inizio di una nuova era, da altri con timori verso conseguenze quali gravi epidemie di malattie veneree ed il dilagare delle prostitute nelle strade delle città68.
La legge Merlin, tuttavia, di fatto, restituì la libertà ad oltre tremila donne, fino ad allora oppresse dai loro protettori e dallo Stato che guadagnava sulla loro pelle.
65 Melotti S., op. cit.
66 Gibson M., Stato e prostituzione in Italia, Il Saggiatore, Milano, 1995. 67 Ibidem.
Pur essendo l’argomento particolarmente delicato, e quindi inopportuno sui mezzi di informazione dell’Italia degli anni cinquanta, non solo in Parlamento, ma anche nella società si creò una separazione tra coloro che appoggiavano l’opinione della Merlin, (compresi molti esponenti dell’area cattolica), e altri che, invece, opposero un atteggiamento di rifiuto totale e categorico.
2.3.1. I contenuti della legge 20 Febbraio 1975, n.58 “Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui”.
La legge Merlin, tuttora in vigore nonostante le numerose proposte di modifica, è composta di 11 articoli e di 4 norme finali e transitorie.
L’articolo 1 precisa il principale obiettivo della legge, specificando che “è vietato
l'esercizio di case di prostituzione nel territorio dello Stato e nei territori sottoposti all'amministrazione di autorità italiane”. L’articolo 2 specifica che i locali di
meretricio dovranno chiudere entro sei mesi.
L’articolo 3 chiarisce quali sono i comportamenti oggetto della sanzione penale, stabilita in reclusione da due a sei anni e multa da 260 a 10.400 Euro: proprietà di una casa di prostituzione, concessione di locali a tale scopo, tolleranza di esercizio della prostituzione in locali aperti al pubblico di cui si disponga o di cui si sia gestore, reclutamento di persone da destinare alla prostituzione, induzione alla prostituzione o attività di lenocinio, induzione a recarsi in un altro Paese o luogo al fine di prostituzione, associazione ai fini di reclutamento di persone da destinare alla prostituzione, favoreggiamento o sfruttamento della prostituzione. Il primo problema
che tale articolo pone riguarda l’analisi sulla vera volontà del legislatore di costruire un solo reato o una molteplicità di reati e cioè, in altri termini, se la molteplice realizzazione delle previsioni in essa contenute comporti la configurazione di uno o più crimini69. La soluzione che raccoglie più intese è, comunque, quella che descrive la previsione di cui all’art. 3 come un unico reato a fattispecie alternative e che si basa
sulla considerazione della previsione di un livellamento della pena a fronte di fatti diversi e soprattutto di differente gravità70.
L’articolo 4 considera sette aggravanti speciali il cui ricorrere comporta il raddoppio della pena prevista per le fattispecie base. La previsione dello stesso aumento di pena per circostanze fra loro notevolmente differenti ha, spesso, posto la dottrina in una posizione particolarmente critica nei confronti di questa previsione normativa. Sarebbe stato, presumibilmente, più conforme al principio di colpevolezza il prevedere un trattamento sanzionatorio differente in ragione del minore o maggiore disvalore che le aggravanti possono presentare nel caso concreto. Le aggravanti sono previste se i fatti di cui all’articolo precedente sono commessi: con violenza,
minaccia, inganno; ai danni di un minorenne o infermo, di ascendente o affine, di persona affidata alle cure, di persona dipendente, da pubblico ufficiale, ai danni di più persone, ai danni di persona tossicodipendente.
L’articolo 5 disciplina due fattispecie contravvenzionali in seguito depenalizzate per opera dell’art. 81 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 50771. La legge punisce le persone, dell’uno e dell’altro sesso “1) che in luogo pubblico od aperto al pubblico
invitano al libertinaggio in modo scandaloso e molesto; 2) che seguono per via le persone, invitandole con atti o parole al libertinaggio”. Rispetto al previgente
articolo 208 del T.U.L.P.S, che proibiva ogni invito o eccitamento al libertinaggio, fatto anche in modo indiretto in luoghi pubblici o aperti al pubblico ,la Legge Merlin aveva già ridotto il trattamento sanzionatorio. E’ chiara, comunque, la preoccupazione del legislatore del 1958 di evitare che l’esercizio della prostituzione, privato dei controlli prima esistenti, potesse determinare un aumento di molestia nel pubblico72.
L’articolo 6 dispone l’interdizione dai pubblici uffici dei responsabili dei delitti previsti dalla legge.
L’articolo 7, che conclude il Capo I della legge, ribadisce il divieto assoluto di ogni forma di regolamentazione e registrazione delle prostitute, e ciò coerentemente ad una volontà di difesa della donna, anche se esercita la prostituzione. La nuova legge ha
70 Ibidem.
71 Questo decreto ha sostituito l’originaria sanzione pecuniaria dell’arresto fino a otto giorni e
dell’ammenda da L.500 a L. 2000 con la sanzione amministrativa pecuniaria da 15 a 92 euro.
voluto, in altre parole, abolire tutto quello che implicava una distinzione della prostituta in quanto tale dagli altri membri della società civile, compreso, quindi, anche il profilo sanitario, ritenendo più che adeguata la normale tutela sanitaria garantita ad ogni comune cittadino
Con l’articolo 8, intitolato “Dei patronati ed istituti di rieducazione” (Capo II), si dispone la creazione di speciali istituti di patronato con il compito di garantire la tutela, l’assistenza e la rieducazione delle donne che sarebbero uscite dalle case di prostituzione e di quelle che, avviate alla prostituzione “intendano di ritornare ad
onestà di vita”.
Nell’articolo 9 viene specificato che questi istituti saranno finanziati dallo Stato e che dovranno trasmettere un rendiconto esatto della loro attività.
Ai sensi dell’articolo 10 le persone minorenni dedite alla prostituzione devono essere rimpatriate e riconsegnate alle famiglie, se disposte ad accoglierle, oppure affidate agli istituti di patronato.
Nelle norme transitorie si prevede la costituzione del primo corpo di Polizia femminile, che da allora in poi si sarebbe occupata della prevenzione e della repressione dei reati contro il buon costume della lotta alla delinquenza minorile. La legge, infine, impone che per effetto della chiusura delle case di prostituzione, si rescindano i contratti di locazione, ed afferma che tutte le obbligazioni verso i tenutari si debbano presumere determinate da causa illecita e quindi nulle.73