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3. Il contrasto alla tratta e la protezione delle vittime nella normativa internazionale ed europea

3.5. La normativa europea antitratta

Il primo trattato comunitario ad aver previsto un riferimento specifico alla tratta di esseri umani è stato il Trattato di Amsterdam, firmato il 2 ottobre 1997, che ha modificato il Trattato sull’Unione Europea: l’articolo 29, infatti, identifica la lotta alla tratta di esseri umani come uno degli obiettivi per l’attuazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

                                                                                                                         

Le conclusioni del Consiglio europeo di Tampere, svoltosi nell’ottobre 1999, hanno poi ribadito la necessità di combattere contro la tratta di esseri umani, in particolare contro lo sfruttamento sessuale di donne e bambini, e di armonizzare le legislazioni penali dei singoli Stati e le sanzioni previste per tali reati110.

3.5.1. La dichiarazione di Bruxelles

Nel settembre del 2002, si è tenuta a Bruxelles la “Conferenza europea sulla

prevenzione e la lotta alla tratta degli esseri umani. Una sfida globale per il XXI secolo”, dove si sono radunati centinaia di esperti provenienti da diversi Paesi

europei. Il prodotto finale di questo meeting è stato la Dichiarazione di Bruxelles, la quale, pur non costituendo un documento ufficiale dell’Unione Europea, è stata posta a fondamento dell’azione della Commissione europea nella lotta alla tratta di persone111.

Nel 2003 il Consiglio dell’Unione Europea ha recepito le conclusioni della Dichiarazione di Bruxelles quale documento di lavoro e di indirizzo politico in materia di contrasto al traffico di esseri umani112. Nella comunicazione della Commissione del 3 giugno 2003 al Parlamento europeo e al Consiglio sullo sviluppo di una politica comune in materia di immigrazione illegale, di introduzione clandestina e tratta di esseri umani, di frontiere esterne e di rimpatrio delle persone soggiornanti illegalmente, in relazione alla dichiarazione di Bruxelles si legge che “è

un’altra pietra miliare nello sviluppo della politica dell’UE in questo settore”.

La dichiarazione intende sviluppare ulteriormente la cooperazione europea e internazionale e prevedere misure concrete, standard, buone pratiche e meccanismi di prevenzione e contrasto alla tratta di esseri umani.

L’adozione di misure di cooperazione e coordinamento è orientata al rafforzamento della cooperazione e dello scambio di informazioni fra tutti gli organismi governativi

                                                                                                                         

110 Consiglio Europeo di Tampere, Conclusioni della Presidenza, consultabili al sito:

http://www.europarl.europa.eu/summits/tam_it.htm

111 Dipartimento per le Pari Opportunità, Transcrime, op.cit.

112 The European Network Against Trafficking in Women for sexual exploitation (ENATW), Piano

comunitario per la lotta al traffico di esseri umani. Linee guida, 2006. Consultabile al sito: http://www.cesdop.it/public/ENATWpianocomunitarioanti-trafficking.pdf

e internazionali, impegnati in attività di prevenzione e contrasto al traffico di esseri umani, per attuare una risposta più coordinata al fenomeno. In tale ambito, poi, è attribuita una notevole importanza all’integrazione dei paesi candidati nelle strutture di cooperazione internazionale di contrasto al crimine, così come al rafforzamento delle relazioni con i paesi terzi.

In attuazione delle raccomandazioni contenute nella Dichiarazione, la Commissione europea ha costituito un gruppo consultivo denominato Gruppo di esperti sulla tratta

di esseri umani con il precipuo compito di fornire pareri su questioni riguardanti la

repressione e la prevenzione del fenomeno.

In ambito preventivo, invece, le raccomandazioni agli Stati dell’Unione europea spaziano su un ampio spettro di questioni. In primo luogo, s’insiste sulla necessità di ridurre la domanda di servizi e prestazioni sessuali e di lavoro a basso costo, attraverso campagne educative e d’informazione. Inoltre, si richiede l’acquisizione di dati e la realizzazione di ricerche e analisi, relative alle caratteristiche qualitative e quantitative del fenomeno e alla struttura delle organizzazioni criminali coinvolte113. Un altro punto concerne la formazione: devono essere realizzati corsi rivolti agli investigatori di polizia, ai pubblici ministeri, al personale delle organizzazioni internazionali, delle organizzazioni specifiche e di redigere un rapporto basato sulle raccomandazioni formulate nella Dichiarazione di Bruxelles114.

La terza parte della Dichiarazione di Bruxelles, che riguarda la protezione e l’assistenza alle persone trafficate, si pone una lunga serie di obiettivi che dimostrano l’intenzione di offrire maggiore considerazione alla vittima: la tutela della sua dignità si concreta attraverso queste asserzioni, che mirano a evitare una “vittimizzazione secondaria”115.

La pronta assistenza al soggetto passivo del reato si attua attraverso la procedura d’identificazione, il finanziamento di servizi di assistenza e la cooperazione tra le organizzazioni non governative.

                                                                                                                         

113 Dipartimento per le Pari Opportunità, Transcrime:, op.cit., p. 11. 114 Ibidem.

115 La vittimizzazione secondaria può essere definita una condizione di ulteriore sofferenza e oltraggio

sperimentata dalla vittima in relazione ad un atteggiamento di insufficiente attenzione, o di negligenza, da parte delle agenzie di controllo formale nella fase del loro intervento e si manifesta nelle ulteriori conseguenze psicologiche negative che la vittima subisce. Rossi L., L’analisi investigativa nella psicologia criminale. Vittimologia: aspetti teorici e casi pratici, Giuffrè, Milano, 2005, p. 417.

Nel caso in cui la persona trafficata diventi un testimone nelle indagini nei confronti dei trafficanti, il rimpatrio deve essere evitato al fine di garantire la sua sicurezza. A tale scopo, deve essere rilasciato un permesso di soggiorno temporaneo per chi collabori con il sistema giudiziario e deve essere garantita la protezione e l’assistenza legale.

E’, infine, promossa l’elaborazione di programmi d’integrazione sociale volti a rafforzare la capacità delle persone coinvolte di raggiungere un’indipendenza economica attraverso l’accesso ai corsi di formazione professionale116.

Per finire, nella Dichiarazione, si afferma che la tratta degli esseri umani non deve essere facilitata da lacune legislative. Pertanto, si raccomanda l’introduzione di specifiche fattispecie di reato. Inoltre, nell’ambito della cooperazione giudiziaria penale, si rileva l’importanza del rafforzamento delle reti di collegamento fra polizia e magistrati.

3.5.2. La Decisione quadro del Consiglio 2002/629/Gai

 

Nel luglio del 2002, il Consiglio dell’Unione Europea ha adottato una decisione quadro (2002/629) sulla lotta alla tratta degli esseri umani. La portata della Decisione è individuabile già nel suo preambolo, dove si sottolinea la necessità di un approccio comune: “ è necessario che il grave reato di tratta degli esseri umani sia affrontato

non solo attraverso un’azione individuale di ogni Stato membro, ma anche tramite un approccio globale che comprenda, quale parte integrante, la definizione degli elementi costitutivi della legislazione penale, comune a tutti gli Stati membri tra cui sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive. La decisione quadro si limita ad emanare le disposizioni minime per raggiungere questi obiettivi a livello europeo e non va al di là di quanto è necessario a tale scopo.”

L'articolo 1 di questa Decisione introduce, a tal proposito, una definizione di tratta degli esseri umani a fini di sfruttamento di manodopera o di sfruttamento sessuale. Gli Stati membri sono tenuti a punire qualsiasi forma di reclutamento, trasporto, trasferimento o accoglienza qualora i diritti fondamentali di tale persona siano stati

                                                                                                                         

conculcati. È quindi punibile l'insieme dei comportamenti criminali che traggono profitto dalla situazione di vulnerabilità fisica o mentale della persona. Il consenso della vittima è irrilevante quando si sia ricorso a uno dei comportamenti tipici che costituiscono sfruttamento ai sensi della decisione quadro:

• l'uso di coercizione, violenza o minacce, compreso il rapimento; • l'uso di inganno o frode;

• l'abuso di autorità, influenza o pressione; • l'offerta di un pagamento.

Le sanzioni previste dalle legislazioni nazionali devono essere "effettive,

proporzionate e dissuasive"(art. 3.1.). Il paragrafo seguente prevede quattro

circostanze aggravanti:

• quando il reato ha messo a repentaglio la vita della vittima;

• quando la vittima è particolarmente vulnerabile (per via dell'età, per esempio) • quando la vittima è stata sottoposta a violenze

• quando il reato è commesso nel contesto di un'organizzazione criminale. Per queste circostanze i trafficanti devono essere puniti con una pena detentiva massima non inferiore agli 8 anni di reclusione.

L’articolo 7 della Decisione, riguarda, invece la protezione delle vittime: ai sensi di questo articolo le attività investigative e repressive nei confronti dei trafficanti non dovrebbero dipendere dalla collaborazione delle vittime. Lo stesso articolo, poi, al secondo comma, identifica i minori come vittime particolarmente vulnerabili, secondo quanto previsto dalla Decisione Quadro 2001/220/Gai concernente la posizione della vittima nel procedimento penale.

3.5.3. La Direttiva del Consiglio 2004/81/Ce

Un successivo pilastro normativo nel campo della legislazione contro la tratta è rappresentato dalla Direttiva del 29 aprile 2004 (2004/81/CE), riguardante il titolo di soggiorno da rilasciare ai cittadini dei Paesi terzi vittime della tratta degli esseri umani che decidano di collaborare con le Autorità di polizia e giudiziarie competenti.

Attraverso lo strumento della direttiva, si intende attuare una lotta maggiormente incisiva contro la tratta, ponendo particolare attenzione sul ruolo della vittima: la normativa infatti, vuole, incoraggiare la cooperazione dei soggetti passivi del reato con le autorità nazionali e garantire loro un’adeguata protezione. La direttiva, tuttavia, ha un carattere premiale, poiché assicura protezione soltanto nel caso in cui le vittime decidano di collaborare con le autorità, denunciando i loro trafficanti.

La direttiva prevede, all’art.6, che alla vittima del reato di tratta, cittadino di un paese terzo, venga concesso un periodo di riflessione “per consentirgli di riprendersi e

sottrarsi all’influenza degli autori di reati, affinché possa decidere consapevolmente se voglia cooperare con le autorità competenti”, per la cui durata non è consentita

l’esecuzione di alcuna misura di allontanamento della persona stessa. Durante il periodo di riflessione e prima del rilascio del permesso di soggiorno gli Stati membri sono tenuti ad assicurare alle vittime risorse sufficienti a garantire un livello di vita in grado di permettere la sussistenza e l’accesso a cure mediche urgenti (art.7) per aiutarle a ritrovare l’autonomia materiale e psicologica.

I responsabili delle indagini devono valutare, in primis, tre parametri: • l’utilità della presenza della vittima;

• la chiara volontà di collaborare;

• la rottura di qualsiasi legame con i presunti autori degli illeciti.

Il titolo di soggiorno, infatti, è rilasciato solo quando siano soddisfatte queste condizioni (art. 8).

Il permesso di soggiorno per il testimone è temporaneo: ha una durata di sei mesi, ma può essere rinnovato (artt. 9-12). Durante quest’arco temporale, le vittime possono accedere a programmi mirati a favorire “la ripresa di una vita sociale normale,

compresi, eventualmente, corsi intesi a migliorare la loro capacità professionale, oppure la preparazione al ritorno assistito nel Paese d’origine”.

Allo scadere di questo permesso di soggiorno la vittima può ottenere di permanere nel territorio dello Stato in conformità alla disciplina ordinaria in materia di immigrazione117.

                                                                                                                         

3.5.4. La direttiva 2011/36/UE

 

L’ultima regolamentazione comunitaria sul tema è la direttiva 2011/36/UE, del 5 Aprile 2011, concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime. Questa direttiva ha sostituito la precedente decisione quadro del Consiglio 2002/629/GAI del 2002.

In linea di stretta continuità con quest’ultima, ma con una nuova cornice normativa, la direttiva 2011/36/UE, dopo aver riaffermato che “la gravità del reato di tratta di

esseri umani, che spesso è commesso nell’ambito della criminalità organizzata e che costituisce una seria violazione dei diritti fondamentali esplicitamente vietata dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”, stabilisce norme minime relative

alla definizione dei reati e delle sanzioni nell’ambito della tratta, introducendo, altresì, disposizioni comuni per rafforzare la prevenzione di tali reati e la protezione delle vittime118.

Rispetto alla previgente disciplina, la direttiva provvede a riordinare la materia in maniera più strutturale proponendo, in particolare, una nuova e più ampia definizione di tratta di esseri umani.

In quest'ultima nozione rientrano ora i seguenti atti dolosi: “il reclutamento, il

trasporto, il trasferimento, l'alloggio o l'accoglienza di persone, compreso il passaggio o il trasferimento dell'autorità su queste persone, con la minaccia dell'uso o con l'uso stesso della forza o di altre forme di coercizione, con il rapimento, la frode, l'inganno, l'abuso di potere o della posizione di vulnerabilità o con l'offerta o l'accettazione di somme di denaro o di vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su un'altra, a fini di sfruttamento.”

La direttiva specifica come per “posizione di vulnerabilità” si fa riferimento ad una situazione in cui la persona in questione non ha altra scelta effettiva ed accettabile se non cedere all'abuso di cui è vittima; lo “sfruttamento”, invece, comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro o i servizi forzati, compreso l'accattonaggio, la schiavitù o pratiche simili alla schiavitù, la servitù, lo sfruttamento di attività illecite o il prelievo di                                                                                                                          

118 Camaldo L., Novità sovranazionali, in Diritto penale e Giustizia, n. 4, 2011, consultabile al link:

organi119.  

Dal punto di visto sanzionatorio la direttiva impone agli Stati membri di prevedere che tali reati siano punibili con la reclusione della durata massima di almeno 5 anni. Tale soglia è da elevarsi a 10 anni quando il reato:

• sia stato commesso nei confronti di una vittima particolarmente vulnerabile (con particolare riferimento ai minori);

• sia stato commesso nel contesto di un'organizzazione criminale;

• abbia messo in pericolo la vita della vittima intenzionalmente o per colpa grave;

• sia stato commesso ricorrendo a violenze gravi o abbia causato alla vittima un pregiudizio particolarmente grave.    

La commissione del reato da parte di pubblici ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni deve essere prevista quale circostanza aggravante.

La direttiva prevede, inoltre, il sequestro e la confisca degli strumenti e dei proventi derivanti dai reati inerenti alla tratta di esseri umani, anche al fine di finanziare l’assistenza e la protezione delle vittime, compreso il loro risarcimento e l’applicazione della legislazione transfrontaliera dell’Unione contro le attività della tratta.

Per garantire il buon esito delle indagini e dell’azione penale, l’avvio delle indagini non dovrebbe, in via di principio, essere subordinato “alla querela, alla denuncia, o

all’accusa formulate dalla vittima” e il procedimento penale dovrebbe continuare

“anche se la vittima ritratta una propria dichiarazione” (art. 9).

I soggetti che svolgono l’attività di indagine per i reati in questione devono ricevere una formazione adeguata e specifica, al fine di migliorare l’esecuzione internazionale delle norme e la cooperazione giudiziale. Agli stessi organi dovrebbe essere consentito l’utilizzo di strumenti investigativi efficaci, come quelli utilizzati contro la criminalità organizzata o altri reati gravi, “tra cui, l’intercettazione di comunicazioni,

la sorveglianza discreta, compresa la sorveglianza elettronica, il controllo dei conti bancari o altre indagini finanziarie”.

L’assistenza e il sostegno dovrebbero delle vittime dovrebbero essere garantiti non appena le autorità competenti abbiano un ragionevole motivo di ritenere che nei                                                                                                                          

confronti di un soggetto sia stato compiuto uno dei reati che si riferiscono alla tratta. Al fine di prestare con celerità l’assistenza, è necessario che siano impiegati adeguati meccanismi di rapida identificazione delle vittime, in cooperazione con le pertinenti organizzazioni di sostegno.

Le misure di assistenza e sostegno sono ovviamente fornite se la persona interessata ha prestato il suo consenso e se è stata adeguatamente informata; d’altro canto, l’assistenza e il sostegno non sono preclusi, ove la vittima non abbia l’intenzione di collaborare alle indagini penali o al procedimento penale.

È necessario, poi, tenere conto delle necessità e delle esigenze specifiche delle vittime, derivanti, in particolare, dall’eventuale stato di gravidanza, dallo stato di salute, da eventuali disabilità, disturbi mentali o psicologici, o dalla sottoposizione a gravi forme di violenza psicologica, fisica o sessuale.

Le istituzioni europee ritengono che la direttiva 2011/36/UE debba costituire parte di una più vasta azione di contrasto che dovrebbe realizzarsi a livello mondiale, coinvolgendo anche i Paesi terzi, da cui provengono o sono trasferite le vittime della tratta, nei quali è necessario realizzare operazioni dirette a una maggiore sensibilizzazione, a ridurre la vulnerabilità, a sostenere e assistere le vittime, a lottare contro le cause profonde del fenomeno, contribuendo a elaborare, in tali Paesi, un’adeguata legislazione relativa a questa nuova forma di schiavitù120.

3.6. I programmi comunitari di finanziamento

 

L’Unione europea sostiene una serie di programmi con l’intento specifico di supportare a livello nazionale e comunitario l’attività e la cooperazione delle autorità pubbliche e delle organizzazioni della società civile per prevenire e contrastare il traffico di esseri umani.

Il primo programma specifico attivo in questo settore è stato quello denominato STOP (Sexual Trafficking Of Person), che ha operato dal 1997 al 2002 nel quadro della cooperazione in materia di giustizia e affari interni, allo scopo di intensificare la cooperazione tra le istituzioni e gli organi che si occupano di tratta. Il Programma ha