2. COLLABORAZIONE NON COLLABORAZIONE
2.4 La voglia di “esserci” degli insegnanti di religione
Agli insegnanti abbiamo presentato alcuni risultati emersi dalla ricerca quantitativa.
Un dato raffi gurava la voglia degli insegnanti di RC di collaborare, di entrare nei pro-getti anche in campi diversi dal loro. La percentuale del dato supera il 75%, quindi possiamo aff ermare che da parte degli insegnanti di RC, c’è tanta voglia di esserci.
Abbiamo chiesto quindi ai nostri insegnanti per quali motivi, secondo loro, c’è questa “voglia di esserci” e, in alcuni casi, anche di più visto che Cristina (FG2) ci spiega che il “suo” insegnante di RC vive per la scuola: «butta anima e corpo.»
Secondo Claudia (FG2) alcuni insegnanti di RC cercano, sentono il bisogno di collaborare. La conferma di ciò la abbiamo anche da Tiziana (FG2), la quale aggiun-ge: «hanno proprio voglia di integrarsi con il resto degli insegnanti.» Anche Enrico (FG3) ha trovato degli insegnanti di RC che si sono “buttati” a cercare delle colla-borazioni, che lavorano con entusiasmo; forse questo «aiuta [l’insegnante di RC] a sentirsi meno isolato.»
Ma allora l’insegnante di RC è isolato?16
Claudia (FG2) osserva che «negli ultimi anni l’insegnante di RC sta cercando di conquistarsi spazi, un ruolo che non ha mai avuto, che non gli è mai stato dato.»
16 Questo stimolo non è stato mai posto direttamente; la tematica è emersa durante i focus.
Secondo Alessandro (FG3) l’insegnante di RC è «sostanzialmente isolato»; sono loro
«a cercare il rapporto con gli altri»; «la quotidianità del lavoro dell’insegnante di RC avviene in classe, nella sua ora, da solo.»
Claudia (FG3) aggiunge un ulteriore aspetto; infatti secondo lei le colleghe di RC vivono in un «isolamento oggettivo» a causa di diffi coltà organizzative e di territo-rio, in quanto avendo più sedi e undici o dodici classi non si possono sentire piena-mente integrate, e facenti parte del team.
Per Luca (FG6) gli insegnanti di RC sono «relegati e hanno voglia [di essere pre-senti nella vita scolastica; quindi] piuttosto che stare relegati, emergono.» Aggiunge che la materia diventa quasi «metabolismo secondario.» La RC «manca di dignità sempre di più, e anche di autonomia.»
Secondo l’esperienza di Giovanni (FG4), in questi ultimi anni che ci sia l’inse-gnante di RC o che non ci sia è la stessa cosa. Qualche collega è più presente di altri, ma la sensazione generale è quella di “assenza”.
Laura, a diff erenza di Giovanni (FG6), ha «avuto la fortuna [di trovare] dei col-leghi di RC particolarmente inclini alla collaborazione.» Anche lei, però, non vede questo insegnante totalmente integrato: «servono per il voto di condotta.» Lei, co-munque, ha potuto lavorare con insegnanti di RC con il «desiderio di contare, di partecipare.»
Ma l’insegnante di RC viene visto anche come una fi gura importante perché ha una visione globale dell’andamento delle varie classi, soprattutto nella scuola primaria.
Infatti Paolo (FG2) ci racconta che l’insegnante di RC «forse è l’unico che riesce a vedere tutte le classi dell’istituto. Quindi è molto utile nei confronti.» Inoltre Paolo ci spiega che l’insegnante di RC vedendo poco i ragazzi può notare i cambiamenti, e la defi nisce «una fi gura importante nel consiglio.» Anche Tiziana (FG2) fa emergere l’importanza dell’insegnante di RC, il quale «off re apporti non indiff erenti all’interno dei consigli di classe sulla valutazione della classe nel suo complesso, o dei singoli individui.»
Daniela (FG3) non percepisce la fi gura dell’insegnante di RC come isolata, in quan-to «è un buon riferimenquan-to per conoscere la realtà dei bambini che non sono catquan-tolici, e aiutarci anche nel rapportarci, e anche si informa su religioni non cattoliche.»
Riassumendo
Da quanto abbiamo potuto leggere, non possiamo dire che tutti gli insegnanti la pen-sino allo stesso modo sulla collaborazione e non possiamo neanche dire che ci sia netta diff erenza tra le visioni degli insegnanti delle elementari con quelli delle superiori.
Questo ci aiuta a ridimensionare quello che spesso sentiamo: che gli insegnanti delle elementari lavorano in un modo e quelli delle superiori in un altro, come se i due mondi non parlassero. Infatti quando gli insegnanti rifl ettono sul perché si in-staura una collaborazione con un determinato collega, se in un primo momento si può credere che alle elementari lo si faccia perché caratterialmente si è predisposti positivamente con quella determinata persona, e alle superiori, invece, per affi nità disciplinare, poi più si ascoltano gli insegnanti più si capisce che non c’è una dif-ferenza decisa tra i due ordini scolastici. Ciò che si evince dalle varie discussioni è che l’affi nità caratteriale, o il condividere la stessa visione di professionalità “docen-te”, sicuramente rende più facile la collaborazione. La collaborazione non dipende esclusivamente dalle due persone–colleghe, ma anche da ciò che sta attorno a loro:
l’organizzazione.
L’organizzazione dovrebbe favorire la collaborazione, ad esempio istituendo delle ore di compresenza, oppure non far in modo che i docenti abbiano diverse sedi perché questo fa “zampettare di qua e di là” l’insegnante e non fa in modo che si creino anche quei momenti informali vitali per scambiarsi le informazioni. La stabilità è un elemento fondamentale per collaborare perché così ci si può conoscere, e creare tutte le basi per una collaborazione non solo momentanea, ma che duri nel corso degli anni. Il turn over e l’avere diverse sedi incide pesantemente, in modo negativo, sulla collaborazione, o sulla possibilità di far nascere delle collaborazioni durature ed effi caci.
Già, perché per collaborare ci vuole tempo: tempo istituzionalizzato (come ad esempio la programmazione), ma anche tempo informale: incontrarsi in sala inse-gnanti, sul corridoio. Collaborare non è un qualche cosa di immediato, ma bisogna essere un po’ inclini a farlo. Infatti, oltre a tutti i fattori sopra citati, bisogna essere propensi ad ascoltare, ad aprirsi alle novità, a mettersi in discussione e, perché no, ad autoformarsi, a crescere. Non è solo un momento fondamentale di insegnamen-to e di trasmissioni di conoscenze, competenze e valori ai ragazzi, ma è anche un momento di crescita personale, di apprendimento.
Un docente poco fl essibile sarà poco incline a collaborare, perché collabora-re non è solo una condivisione di obiettivi disciplinari, ma anche condivisione di obiettivi educativi–formativi. Lo studente è prima cittadino–uomo, poi lavoratore.
Ma questa aff ermazione non trova una posizione unanime nel mondo della scuola, e lo si è potuto sentire anche durante questi focus group; alcuni insegnanti aff erma-no che l’obiettivo educativo–formativo è tipico delle elementari–medie, le superiori devono formare il futuro ragioniere, o geometra.
E la posizione degli insegnanti di religione cattolica?
Secondo alcuni insegnanti i colleghi di RC negli ultimi anni stanno cercando spazi, luoghi, tempi, ruoli che non hanno insegnando religione. La materia diventa strumento, “metabolismo secondario” per entrare nella vita scolastica. Ma secondo altri, invece, l’insegnante di RC non è isolato, né relegato, anzi risulta essere fi gura importante all’interno dei consigli di classe, oppure come interlocutore privilegiato del territorio.
Insomma, anche in questo caso, le posizioni sono le più diverse, proprio a se-conda della persona che si incontra, dell’istituzione che fa parte, e della stabilità o meno del docente in quella determinata scuola.
3. INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE CATTOLICA E ORA ALTERNATIVA