4. QUALE PROFILO PER IL DOCENTE DI RELIGIONE CATTOLICA 1 Professionalità
4.3 Rifl essioni e proposte
Durante l’incontro i dirigenti non solo hanno risposto, facendo riferimento alla propria esperienza professionale, alle domande, ma hanno anche loro posto dei que-siti. I quesiti non hanno avuto una risposta uffi ciale, ma delle considerazioni dei col-leghi, dei punti di vista.
Una, dal dirigente Mauro, è stata così esposta: «Qualora mi trovassi in una scuola di città, una superiore, con numero alti di non avvalentesi, all’interno dell’autonomia, specialmente alla luce della Riforma Moratti, dove si prevede di lavorare non solo per classi, ma per gruppo, potrebbe essere che si lavora per gruppi di avvalentesi e gruppi di non avvalentesi?»
Un’altra rifl essione è stata fatta da Roberto, dicendo: «Tempo fa per uno scambio sono stato a Norimberga; ad un certo punto ero in aula docenti, è entrato un inse-gnante che insegnava Corano. Questo per dire che forse non dobbiamo solo guardar-ci allo specchio, perché è qualcosa di perverso, ma forse bisognerà guardare un po’
attorno cosa fanno gli altri.»
Anche i docenti hanno fatto delle proposte; una di queste potrebbe essere rias-sunta così: l’ora di religione non è più catechismo, e proprio per questo motivo si po-trebbe dare un altro nome. Stella (FG1) propone storia delle religioni, ma aggiunge anche che «dovrebbero essere educate le famiglie […] perché sono passati i tempi in cui si faceva catechismo, tutto è diverso.» Stella, infatti, trova chiusura da parte dei ge-nitori, proprio perché non sanno quanto l’insegnamento della RC sia evoluto. Anche Gigliola (FG1) propone di cambiare nome in “storia delle religioni” o “moralità”.
Giovanni (FG4) aff erma che «non ha più senso chiamare insegnamento della RC, avrebbe più senso chiamare “scienze sociali, religiosi, morali”.» Secondo Franco
(FG4) l’insegnante di religione cattolica non ha più senso. «Ci vuole un insegnante che insegni religione e anche storia delle religioni, magari dichiarando che è cattolico e che questo è un paese cattolico e di conseguenza si potrebbe dare un taglio di mag-giore interesse oppure maggior risalto a questo tipo di tematiche.»
Maurizio (FG5) sarebbe per cambiare il nome in «“storia delle religioni” o “teo-logia”. In una società sempre più multietnica vedo male il prete in classe: sarei per una scuola più laica dove si insegna la storia delle religioni.» Luigi (FG4) solleva dei dubbi sull’insegnante di “storia delle religioni”, nei seguenti termini: «sulla fi gura dell’insegnante di RC sostengo che debba essere chiaro con lo studente in classe che tipo di fi gura sia; quindi non vorrei che tutto aff ondasse in un insegnante di storie di religioni. Può anche farlo, ma deve rimanere chiaro che è portatore di una religione.
Proprio perché gli studenti possano trarre correttamente delle risposte.»
Carlo (FG5) rifl ette sull’organizzazione dell’insegnamento della RC; aff erma che
«l’educazione alla religione, al senso religioso della vita è importante. Il problema è un altro, cioè: com’è organizzata la questione dell’insegnamento religioso è l’ideale? Secon-do me no. […] Fosse per me farei una cosa molto semplice, così come oggi va molto di moda il principio di sussidiarietà, io demanderei questo aspetto fuori dalla scuola.»
Alcuni insegnanti puntano l’attenzione sull’aspetto contenutistico, cioè caratteriz-zare l’insegnamento di RC in un percorso curricolare; Chiara (FG4) punta l’attenzione su un aspetto: «io insegno in un triennio del liceo, insegno lettere e latino; quando devo fare Dante e mi muovo con Virgilio mi ci ritrovo perché [gli studenti] hanno fatto epica al biennio e quindi va bene, quando mi ritrovo a parlare di profezia, di profeti, di richiamo al mondo biblico, alla città celeste, devo aspettare che quello di fi losofi a mi dia gli strumenti in anticipo, [perché] se devo fi darmi di quello che [gli studenti]
conoscono di religione, di religione cattolica –perché è cultura cattolica–, niente.»
Anche Stefano (FG3) dichiara che «c’è un calo enorme nella conoscenza della re-ligione, cioè ci sono ragazzi delle medie che non sanno chi era quel personaggio della Bibbia. […] Non c’è più neanche la lettura di una pagina della Genesi.» Beatrice (FG6), sempre a riguardo di questo aspetto, aff erma che «c’è una ignoranza abissale in questa materia; mi trovo io a volte, insegnando storia, a chiarire nozioni di base non dico sull’islamismo, ma sul cristianesimo.»
Un’altra proposta da parte di alcuni insegnanti, potrebbe essere riassunta con una do-manda come questa: “Ma noi, insegnanti non di religione cattolica, cosa facciamo?”
Cristina (FG2): «stiamo parlando degli insegnanti di RC come quelli che vengono da fuori […], ma noi cosa abbiamo fatto per integrarci con loro? […] Sono loro che devono ricercare la nostra collaborazione, sono loro che devono off rire, […] noi dob-biamo solo aspettarla, oppure dobdob-biamo anche noi essere collaborativi?.»
Maurizio (FG5) fa riferimento alla sua esperienza professionale, e dice: «per quan-to riguarda la mia esperienza non ho mai collaboraquan-to, ma non per partiquan-to preso, ma perché non sono mai stato cercato. Ho cercato io una volta l’insegnante di religione […]. Però devo dire che non si è concretizzato in qualcosa. Non ci siamo trovati e tutto è sfumato.»
Riassumendo
In questo capitolo, oltre agli accenti negativi sulla professionalità dell’insegnante di religione – come: essere riconosciuto “tuttologo”, o avere un iter di reclutamento diverso rispetto agli altri colleghi –, viene ribadita la fondamentale importanza del-le caratteristiche personali per ricoprire incarichi formali o non formali all’interno della scuola. Il far parte delle diverse commissioni dipende dalla disponibilità delle persone singole. Non c’è una esclusività o una prevalenza dell’insegnante di RC in qualche incarico, in quanto la scelta del dirigente e del collegio docenti ad affi dare un incarico dipende dalla cultura, dalla capacità del docente di sapersi relazionare, non dalla disciplina che viene insegnata. Alcuni dirigenti narrano esperienze posi-tive con gli attuali docenti di religione cattolica i quali sono disponibili, collaborati-vi, altri dirigenti, invece, chiedono: “ma ci sono queste insegnanti di religione?”.
Ciò che risulta chiaro da queste righe è che dipende dalla propensione personale di ogni singolo docente. Un docente collabora non perché insegna una determinata materia, ma perché è predisposto caratterialmente, perché culturalmente è incline al confronto, alla crescita.
Dai focus sono emerse anche alcune proposte, alcune provengono dai dirigenti, altre dagli insegnanti. Alcuni dirigenti chiedono come si può organizzare l’inse-gnamento della RC all’interno dell’autonomia e delle novità della Riforma Moratti;
un’altra proposta è quella di andare a curiosare nelle altre realtà, non solo italiane.
Gli insegnanti, invece, propongono di cambiare nome, visto che RC spesso vie-ne frainteso in catechismo; altri docenti puntano l’attenziovie-ne sull’importanza che dovrebbe avere l’insegnamento di RC dal punto di vista contenutistico, visto che letteratura italiana, storia dell’arte …, hanno molti riferimenti alla cultura cattolica e spesso gli studenti non sanno nulla, anche se alle spalle hanno anni e anni di fre-quenza dell’ora di RC.
I docenti non di RC devono aspettare che il collega di RC vada a cercarli, op-pure anche loro devono essere collaborativi, attivare dei meccanismi per facilitare l’incontro?
Capitolo 5
Per una sintesi della ricerca
Ruggero Morandi
Le domande poste alla ricerca sui temi che riguardano l’insegnamento della religione cattolica nella scuola dell’autonomia possono trovare qui una prima sintesi di risposta.
È stato riscontrato nei documenti precedenti che la soluzione di alcuni problemi che riguardano l’integrazione dell’insegnamento della religione cattolica sono colle-gati in parte alla specifi cità di questa disciplina, in parte ad una cultura organizzativa che non privilegia le procedure di lavoro di gruppo e le competenze esperte integrate.
In sostanza, oggi la scuola fatica a rispondere in modo effi cace alle “provocazioni”
contenute nelle norme di attuazione dei Regolamenti riguardanti l’autonomia scola-stica. La gestione delle risorse professionali, lo sviluppo dell’organizzazione, l’analisi dei risultati raggiunti (non solo sul piano culturale degli apprendimenti, ma anche su quello sociale dei comportamenti) sono ancora temi che non trovano adeguate risposte in molte realtà scolastiche.
Una ulteriore questione riguarda, sul versante opposto, lo spazio di ambiguità che si ripropone tra la responsabilità autonoma delle istituzioni scolastiche e il sistema generale dentro cui la stessa autonomia delle scuole è inserita, nel nostro caso il quadro normativo legato agli accordi concordatari che governa l’Irc. Ad esempio, a volte, questa ambiguità porta a gestire le problematiche connesse alla presenza dell’Irc nella scuola dell’autono-mia in maniera operativa e pratica indipendentemente dai contorni normativi prefi ssati.
Ciò evidentemente incorre nella modifi ca di un profi lo scolastico dell’Irc che deve entra-re con le proprie originali caratteristiche nell’ambiente della scuola.
In entrambi i casi sia la fatica a trasformare l’ambiente formativo in dimensione di autonomia, sia la diffi coltà ad individuare e declinare i vincoli generali che rendono possibile l’autonomia stessa delle istituzioni scolastiche, sono caratteri propri delle organizzazioni complesse, legate per loro stessa natura alla tradizione e all’abitudine.
Un primo suggerimento che emerge dalla ricerca si pone proprio sul piano del favori-re ai vari livelli sia una disponibilità al cambiamento e una messa in discussione della routine, sia alla verifi ca di procedure e comportamenti standardizzati, attraverso un sistema di relazioni e di comunicazioni da sviluppare ed incentivare.
Premesso questo, cerchiamo di riprendere alcuni temi riferiti alle questioni messe in luce dal gruppo di ricerca e svolti nella analisi quantitativa (si veda il Capitolo 3) e qualitativa (si veda il Capitolo 4) per considerarli in una visione di sintesi che metta in luce i punti di forza, gli aspetti critici, le possibilità di sviluppo.