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Le attività manifatturiere della Norcia quattrocentesca

CAPITOLO II: QUADRO TERRITORIALE E ATTIVITÁ ECONOMICA NELLA NORCIA QUATTROCENTESCA

II 3. Le attività manifatturiere della Norcia quattrocentesca

Le nomine dei capi d’Arte, che si incontrano in alcune occasioni all’interno dei registri delle riformanze nursine, permettono di avere una prima idea delle attività manifatturiere che caratterizzavano la vita economico-sociale della città natale di san Benedetto nel corso del secolo XV. L’esempio principale è quello del Consiglio Generale del 2 marzo 1442: macellorum, lignaminum et lapidum, sutorum, fabrorum,

lane, calzolaiorum, mercatorum e militum, iudicum, medicorum et notariorum (con le

ultime quattro categorie a formare un unico gruppo) erano le otto Arti indicate 196.

Escludendo le ultime due, che rappresentano piuttosto corporazioni dal ruolo sociale, si individua facilmente che le attività principali della società nursina erano quelle dei macellai, dei falegnami e petraioli, dei sarti, dei fabbri, dei lanaioli e dei calzolai. Tra queste è possibile supporre che solo un paio rappresentassero il vero e proprio fondamento dell’economia e delle operazioni di scambio commerciale della Norcia quattrocentesca, ovvero quelle legate alla macellazione delle carni e alla produzione dei pannilana.

Le stesse riformanze forniscono già alcune suggestioni in proposito. Tra le poche delibere relative alle questioni economiche riscontrabili la quasi totalità sono dedicate a problematiche connesse con la prima delle due attività principali. Emblematiche, a tal riguardo, furono le decisioni che si possono incontrare per l’anno 1482: il giorno 19 maggio sette macellai, tra cui Petrus Pecte, Catharinus Francisci,

Racciardus Cole Marci e Johannes Baptista Johannis, venivano nominati alla gestione della vendita delle carni per la fiera di San Giovanni del giugno seguente, con particolare riferimento ad agnello e castrato, i cui prezzi fissati erano rispettivamente

otto e dieci denari a libbra 197; tra i giorni 7 e 8 luglio successivi, poi, altre deliberazioni

in primo luogo regolamentavano la vendita delle medesime carni per i futuri mesi di

195 ASCN, Riformanze, Reg. 1478-1479, c. 34r.

196 ASCN, Riformanze, Reg. 1441-1442, c. 27v.

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settembre e ottobre, con il castrato fissato tra i nove e i dieci denari per libbra e l’agnello fissato a non più di sette denari per libbra, in secondo luogo nominavano ulteriori sei macellai addetti alla gestione di tali vendite, tra i quali Anthonutius Cole Marci,

Perlaurentius Petri Pecte, Benedictus Catharini Francisci 198; nomi che, come si nota facilmente attraverso una semplice analisi onomastica, mostrano una stretta parentela con quelli dell’esempio precedente.

Non è tutto. All’interno della stesse riformanze si incontrano in varie occasioni, tuttavia poche anche in tal caso, delibere riguardanti la cosiddetta gabella platee

communis, ovvero l’insieme dei pedaggi relativi agli scambi commerciali nell’area soggetta al governo nursino. L’esempio principale, a tal proposito, è quello dell’11 dicembre 1471, quando una lunga e corposa registrazione elencava dettagliatamente

tutti i pedaggi per ciascuna merce di scambio 199. Senza riportare qui l’intero elenco,

anche in considerazione del fatto che le carte non si presentano in un ottimo stato di conservazione e non permetterebbero la trascrizione della totalità delle voci, risulta invece di enorme utilità sottolineare come le maggiori attenzioni fossero dedicate a due tipologie di merci: le carni animali, ancora una volta, e i pannilana. I secondi occupavano circa un paio di carte, anche qualcosa in più, all’interno di tale registrazione, per via della grande varietà delle tipologie indicate. Le prime, invece, ne occupavano circa una, dal momento che le più importanti erano il maiale, l’agnello e il castrato. Un’analisi dell’elenco delle merci riportato nelle delibere relative a tale gabella, pertanto, fornisce la possibilità di comprendere come proprio le due suddette rappresentassero le voci di entrata e uscita maggiori nel contesto della comunità di Norcia. Se a queste prime testimonianze si sommano quelle provenienti da altre tipologie di fonti il quadro può risultare senz’altro più completo.

È il caso di partire dalle carni animali, portando taluni esempi anch’essi desunti dall’analisi della suddetta storiografia. Nel suo studio Di Nicola, sfogliando le carte dell’archivio spoletino, incontrava un certo Angelo di Norcia, individuo molto attivo presso Spoleto stessa proprio in questo campo, come risulta ben dimostrato da alcuni documenti che mettono in piena luce i rapporti che ebbe con i gabellieri delle carni

spoletini, in particolare nel 1474 200. L’autore, poi, riscontrava che quattro anni dopo la

stessa comunità di Spoleto si rivolgeva a quella nursina, ricercando una persona fosse esperta nella medesima materia, come mostrato da alcuni scambi epistolari tra i collegi

consolari dei due centri umbri 201. Anche il volume delle operazioni commerciali

198 ASCN, Riformanze, Reg. 1482, cc. 54r-54v.

199 ASCN, Riformanze, Reg. 1471-1472, cc. 49v-52v.

200 Si rimanda a DI NICOLA, Le vie dei commerci sulla Montagna d’Abruzzo, p. 55, nota numero 143, il quale recupera le informazioni da ASPg, SASS, Notarile, I serie, atti di Bartolomeo di Marco de Brunis di Spoleto, vol. 29, c. 2r.

201 Si rimanda ancora a DI NICOLA, Le vie dei commerci sulla Montagna d’Abruzzo, p. 55, il quale recupera le informazioni da ASPg, SASS, ASCS, Lettere al Comune, b. 4. Interessante è il testo di tale lettera: «De po receputa vostra lettera havendo investigato sopra el facto de la carne, havemo retrovato uno ciptadino quale idoneo serra al vostro desiderio perche e dabene et po servire: et pero ve piaccia significare subito quale conditione volete habia la carne: et quale spesa occorre et que sia necessario

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riguardanti le carni animali, durante i giorni della fiera di San Giovanni, permette di farsi un’idea della notevole rilevanza che queste avevano nel contesto della comunità nursina quattrocentesca. Come rilevato dallo studioso di cui sopra, infatti, nel 1449 Amico di Mattuccio di Pietro di Matteo di Assergi vendeva una cifra superiore ai quattrocento castrati al macellaio Benedetto Mactoly Guadagnolo di Norcia, e a suo

figlio Giovanpietro 202. Nel 1472, poi, Giacomantonio di Giacomo di Pietro Paolo,

anch’egli nursino, e il suo socio Pietro di Marino di Angelone dell’Aquila vendevano ad

un altro uomo di Norcia, Matteo Befaructii Massaroni ventisei vitelli 203. Cinque anni

dopo i nursini Francesco di Marino di Francesco e Giovanni di Guerruccio vendevano rispettivamente poco più di duecento castrati, il primo, a Filippo di Antonio di Tommaso e Belforte di Niccolò di Terni e poco meno di trecento castrati, il secondo, a

Polonio di Antonio di Ventura di Matelica 204. Nel 1483, inoltre, Luigi di Pietro di

Renzo Pica, aquilano, vendeva a Giovanni di Benedetto Mactioli di Norcia ulteriori più

di trecento castrati 205. E ancora alla fine del secolo XV, precisamente nel 1498, altre

due transazioni evidenziavano come tale attività legata alle carni proseguisse nelle sue fortune in loco: Angelo Bictimey de Villa Frascaro (facente parte del contado nursino)

vendeva più di trecentocinquanta castrati ad Antonio, alias Bosone, di Recanati 206; allo

stesso modo Pier Lorenzo Peri Pecte vendeva duecento castrati a Domenico di Giacomo

Casecti, ad Arcangelo di Francesco Actuti e a Ludovico di Angelo di Pezze, tutti e tre

uomini provenienti da Matelica 207.

Non è tutto. Nella già richiamata norma statuaria del 1526 alcune rubriche, una dozzina, erano dedicate proprio all’attività della macellazioni delle carni. La prima di esse, forse la principale, stabiliva che i consoli dei mesi di marzo e aprile di ciascun anno erano tenuti a nominare un uomo per ogni guaita addetto a fissare il prezzo di ogni libbra di castrato e di ‘agino’ o ‘agina’ per quel periodo. La medesima procedura doveva avvenire nel mese di settembre, per quanto concerneva però la carne di maiale. Per tutto il resto dell’annata i vari consoli in carica dovevano nominare, di volta in volta, due altri uomini che, ogni tre mesi, si occupassero delle stesse mansioni per tutte particularmente: perche havuta resposta essendo le cose habile, lo dicto ciptadino venira et parlara con le V. S. M. per intendersene con queste».

202 Si rimanda ancora a DI NICOLA, Le vie dei commerci sulla Montagna d’Abruzzo, p. 95, il quale recupera le informazioni da ASCN, Notarile, Reg. 54 di Benedetto di mastro Antonio di Lorenzo di Norcia, c. 143r.

203 Si rimanda ancora a DI NICOLA, Le vie dei commerci sulla Montagna d’Abruzzo, pp. 97-98, il quale recupera le informazioni da ASCN, Notarile, Reg. 76 di Lazzaro di Battista di Antonio di Norcia, c. 316r. 204 Si rimanda ancora a DI NICOLA, Le vie dei commerci sulla Montagna d’Abruzzo, pp. 99-100, il quale recupera le informazioni da ASCN, Notarile, Reg. 82 di Lazzaro di Battista di Antonio di Norcia, c. 201r e c. 202r.

205 Si rimanda ancora a DI NICOLA, Le vie dei commerci sulla Montagna d’Abruzzo, p. 103, il quale recupera le informazioni da ASCN, Notarile, Reg. 86 di Lazzaro di Battista di Antonio di Norcia, c. 336r. 206 Si rimanda ancora a DI NICOLA, Le vie dei commerci sulla Montagna d’Abruzzo, p. 103, il quale recupera le informazioni da ASCN, Notarile, Reg. 100 di Lazzaro di Battista di Antonio di Norcia, c. 9v. 207 Si rimanda ancora a DI NICOLA, Le vie dei commerci sulla Montagna d’Abruzzo, p. 103, il quale recupera le informazioni da ASCN, Notarile, Reg. 100 di Lazzaro di Battista di Antonio di Norcia, c. 11r.

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le tipologie di carni. Per il periodo pasquale, invece, una ulteriore coppia di uomini doveva badare alle medesime questioni relativamente alle carni bovine, mentre in tutte le altre fasi dell’anno di tali carni si sarebbe dovuto occupare il notaio degli

extraordinarii del capitano 208. La seconda rubrica dedicata alle carni risulta altrettanto interessante, poiché stabiliva che per ciascun nursino, ma anche per ciascun forestiero, fosse lecito praticare la macellazione in qualunque luogo di Norcia e del suo distretto, a patto che ogni mese di giugno costoro dessero una parte del castrato macellato al

comune, pena la revoca di quella che noi attualmente chiameremmo licenza 209. Le altre

rubriche dedicate a tale attività riguardano il divieto di prendere carne ciascun macellaio da altri per poi rivenderla, il divieto di vendere carne bovina se prima essa non fosse stimata da relativi ufficiali, il divieto di vendere carne in generale nelle festività, l’obbligo di venderla a peso, il divieto di pesare onge, teste e gambe, il divieto di vendere una carne per un’altra, il divieto di uccidere, vendere o comprare carne di

scrofa o verre e il divieto di portare nella terra di Norcia carni di animali infermi 210.

Un’altra, non citata tra quelle appena elencate, stabiliva invece che una compagnia creata nel campo della macellazione non potesse essere composta da più di due membri «adciò che de epsa compagnia non resulte preiudicio innella terra de Norsia et suo districtu» 211.

Da quanto sin qui riportato è possibile supporre che l’attività della macellazione e della vendita delle carni rappresentasse per la Norcia di fine Medioevo, così come per quella ancora cinquecentesca, una voce fondante della propria economia. Non emerge, di contro, una già forte specializzazione nel campo dei maiali, a differenza della situazione attuale. Una specializzazione che, evidentemente, si può ipotizzare essersi affermata, pian piano, nel corso dei secoli successivi, a partire dal Sei-Settecento. La tematica della lavorazione delle carni, comunque, non può essere disgiunta da quanto ne rappresentava le fondamenta, ovvero il pascolo del bestiame. A tal proposito risulta corretto aprire una parentesi, con lo scopo di gettare uno sguardo sui metodi di gestione dei pascoli nella Norcia di fine Medioevo. Sono in particolare i registri delle riformanze, e come in precedenza anche gli statuti del 1526, a fornire le dovute informazioni in merito. Nelle delibere comunali, tuttavia, risultano davvero poche le notizie interessanti. Si può partire con la nomina di quattro uomini addetti a gestire la conduzione delle bestie al pascolo nei monti comunali, per un anno futuro, datata al marzo del 1438: i quattro investiti erano Gentilis Antonii Gentilis, Honofrius Apollonarii, Johannes

Vannis Colarelli e Colandreas Petri 212. In seguito era attestata una venditio pascui

montis communis pro uno anno futuro in favore di Johannes Pauli Bufi de Nursia,

208Si rimanda aCORDELLA, Statuti di Norcia, pp. 120-121, ovvero ASCN, Statutorum Nursie, rubr. I. CL. 209Si rimanda aCORDELLA, Statuti di Norcia, p. 122, ovvero ASCN, Statutorum Nursie, rubr. I. CLI.

210Si rimanda aCORDELLA, Statuti di Norcia, pp. 123-129, ovvero ASCN, Statutorum Nursie, rubrr. I.

CLII, I. CLIII, I. CLIIII, I. CLVI, I. CLVII, I. CLVIII, I. CLIX, I. CLX, I. CLXI.

211CORDELLA, Statuti di Norcia, pp. 124-125, ovvero ASCN, Statutorum Nursie, rubr. I. CLV.

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datata al febbraio del 1442, per un prezzo di quattrocentoquarantotto fiorini 213. Ancora

in quell’anno, a maggio, si assisteva ad una nuova venditio, stavolta per ciò che concerneva esclusivamente l’area pascui Montis Precini, in favore del medesimo

Johannes Pauli Bufi de Nursia, per un prezzo che appare minore, si parla infatti di

quaranta fiorini 214. Al novembre del 1471 risale una nuova registrazione in cui si

stabiliva che chi avesse fatto pascolare le proprie bestie sui monti di Norcia a partire dal mese di luglio dell’anno in corso, precisamente dalla conclusione della fiera di San

Giovanni, dovesse essere sottoposto ad una pena pecuniaria 215. Nel maggio del 1478,

invece, si assisteva ad una ulteriore venditio pascui Castelli Montis Precini, per quello stesso anno, nella quale fu coinvolto il massario del castrum medesimo, ovvero

Leonardus Venantii, per settantadue fiorini 216. Stessa tipologia di delibera risale all’aprile del 1482, sempre a prezzo di settantadue fiorini, stavolta in favore di tre uomini provenienti da quella località: Baptista Simonis, Sanctus Martini e Catharinus

Stephani 217. E poco più avanti, ancora ad aprile, veniva scelto anche il depositarius finanziario per i pascoli del Monte Precino, nella persona di Nicola Marini Francisci de

Nursia 218. Altrettanto interessante, ancora nel 1482 e precisamente a maggio, risulta una delibera nella quale si stabiliva la possibilità di difendere militarmente i pascoli

locali a causa di alcuni depredamenti che si erano recentemente verificati 219.

L’attività in questione, peraltro, veniva sfruttata dalle autorità comunali, in casi eccezionali, quale ulteriore fonte di entrate. È così, che nell’ottobre del 1491, nel contesto di una più generale serie di regolamentazioni necessarie al reperimento del denaro con il quale estinguere il debito pro reintegratione Arquata (fatti per i quali si rimanda a mggiori delucidazioni nel corso dell’ultimo capitolo del presente elaborato, con particolare riferimento alla sezione dedicata alla questione arquatana) tra le decisioni adottate figuravano anche quelle relative ai pascoli: in primo luogo si affermava che ciascuno fosse libero di far pascolare le proprie bestie senza pene, purché si trattasse di animali comperati da gente esterna alla comunità nursina, ovvero animali che non avessero nulla a che fare con quelli messi in vendita dalle autorità locali per l’anno 1491; inoltre si stabiliva che per tutto l’anno futuro si dovessero pagare tre fiorini

e mezzo per ciascun centenaro di bestiame che pascolasse nei territori di Norcia 220.

La normativa statutaria del 1526, dal canto suo, dedicava alcune rubriche al pascolo del bestiame. La prima, veramente interessante, stabiliva che nessun nursino, né tantomeno alcun forestiero, potesse portare e far pascolare proprie bestie nei monti del comune senza che esse fossero registrate dal comune stesso e, poi, affidate alla gestione

213 ASCN, Riformanze, Reg. 1441-1442, c. 21v.

214 ASCN, Riformanze, Reg. 1441-1442, cc. 72r-73r.

215 ASCN, Riformanze, Reg. 1471-1472, c. 27r.

216 ASCN, Riformanze, Reg. 1478-1479, cc. 13r-13v.

217 ASCN, Riformanze, Reg. 1482, c. 24r. 218 ASCN, Riformanze, Reg. 1482, c. 29v. 219 ASCN, Riformanze, Reg. 1482, cc. 37v-38r.

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comunale dei pascoli medesimi, con pena di venti soldi per ciascuna bestia. Inoltre tale procedura prevedeva anche il pagamento di dodici soldi per ogni capo di piccola taglia e di quindici per i capi più grandi. E per eventuali danni procurati responsabile ne era il padrone, che avrebbe dovuto provvedere al risarcimento. Il transito, invece, veniva permesso, ma per un tempo non superiore ai due giorni. Anche in tal caso, tuttavia, era prevista una normativa legata all’eventualità del danno. Per gli abitanti del castello di Monte Precino, ovvero l’attuale Castelluccio, esisteva una regolamentazione a parte, ovvero, una parte dei monti comunali erano a costoro affidati e ivi potevano tenere e

pascolare il proprio bestiame senza pena e banno 221.

Altre rubriche completavano la normativa appena riassunta. In primo luogo si rinforzava il concetto del transito, dichiarato possibile solo per mezzo di una licenza

concessa dei consoli 222. Poi altre due rubriche ribadivano con decisione che potessero

essere portate bestie sui monti comunali solo per motivazioni di lavoro 223. In seguito

veniva detto che fosse lecito a qualunque nursino tenere e far pascolare il bestiame «innelle appenditie delli monti de Norsia de la cima de ipsi como acqua pende verso la terra de Norsia del mese de octobre, novembre, decembre, ienuaro, febraro et marzo – excepto et reservato innelle possessione biadate et prati del commune della dicta terra et delle altri speciali persone – senza pena et bando, non obstante alcuno statuto che

parlasse in contrario» 224. Infine venivano precisate ancor meglio, riprendendo e

completando quanto già statuito precedentemente, le cifre da pagare per ogni bestia che si intendesse far registrare presso il comune, per farla poi pascolare, nonché per ogni pena pecuniaria determinata da comportamenti contrari alle regolamentazioni: si diceva, infatti, che tutti fossero «tenuti et debiano fare scrivere innelli libri dello commune de Norsia per lo cancellero de ipso commune lo nome suo, lo numero delle bestie che vole mectere et paghe et sia tenuto ad pagare al camorlingo del dicto commune de Norsia recevente per ipso commune, per ciascuna bestia grossa soldi .xv. de denari et per ciascuna bestia minuta . xii. denari. Et se alcuno serrà trovato de fore alle dicte sennagite sia te|nuto a pagare per ciascuna bestia minuta soldi .2. de denari et per ciascuna bestia grossa soldi .x. de denari al camorlingo predicto. Et se alcuno commecterà fraude mectendo o retenendo innelli dicti monti alcune bestie de foresteri

paghe de facto senza diminutione soldi .100. per ciascuna bestia» 225.

Anche nel caso del pascolo del bestiame, pertanto, pare di assistere ad un’attenzione decisamente alta posta nei confronti di tale attività da parte delle autorità nursine. Passando all’attività di produzione dei pannilana, dai registri delle riformanze e

221Si rimanda aCORDELLA, Statuti di Norcia, pp. 598-599, ovvero ASCN, Statutorum Nursie, rubr. V.

LIIII.

222Si rimanda aCORDELLA, Statuti di Norcia, pp. 616-617, ovvero ASCN, Statutorum Nursie, rubr. VI.

XI.

223Si rimanda aCORDELLA, Statuti di Norcia, pp. 617-618, ovvero ASCN, Statutorum Nursie, rubrr. VI.

XII-XIII.

224CORDELLA, Statuti di Norcia, p. 662, ovvero ASCN, Statutorum Nursie, rubr. VI. LXIII. 225CORDELLA, Statuti di Norcia, pp. 662-663, ovvero ASCN, Statutorum Nursie, rubr. VI. LXIIII.

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dagli statuti del 1526 risultano decisamente scarse, se non addirittura nulle, le notizie in merito. Sono altre, di conseguenza, le tipologie di fonti che permettono di mettere in luce l’importanza di questo settore nell’economia della Norcia quattrocentesca. Ci si deve affidare, in primo luogo, ai registri del Pedagium generale di Rieti, centro di fondamentale rilevanza per quanto concerneva l’arrivo e la distribuzione delle merci, come ha fatto Di Nicola nel suo studio. Costui, infatti, ha potuto constatare che i «pannilana nursini non sono nel corso del XV secolo molto differenti, come qualità, da quelli amatriciani. Certo, essi non possono competere con i tessuti fiorentini e veronesi e forse nemmeno con quelli di Città di Castello (località famosa anche per il suo guado), ma si collocano onorevolmente in quella fascia “media” ben gradita al mercato popolare. Di migliori (non solo carfagni quindi) ne vengono prodotti sicuramente all’Aquila, a Rieti e soprattutto a Leonessa dove la riforma dell’Arte del 1466 (di appena un anno successiva a quella aquilana) riesce a dare un grande impulso alla produzione che nel secolo successivo godrà di grandissimo prestigio per tutta l’Italia centrale» 226.

Altre interessanti suggestioni provengono dagli studi dovuti a Hidetoshi Hoshino, in particolare quelli nei quali costui analizzava la mercatura fiorentina della

Camera Urbis. Lo studioso attestava, ad esempio, che nel bilancio compilato da Giacoppo de’ Bardi nell’agosto del 1427, relativo alla propria compagnia imprenditoriale, egli potesse contare nel suo fondaco aquilano, tra gli altri, anche due

panni nursini 227. Oppure informava del fatto che nel ventennio 1449-1469 furono

immessi sul mercato romano, tra gli altri, anche più di trecento panni provenienti da

Norcia 228. Come detto, tuttavia, sono i documenti fiscali reatini a rappresentare la