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CAPITOLO IV: ISTITUZIONI, UFFICI, ASSEMBLEE E GIUSTIZIA NELLA NORCIA QUATTROCENTESCA

IV 4. Gli statuti del

Prima di fornire una descrizione del quadro istituzionale-amministrativo e delle forme assembleari che emergono dall’analisi della statuizione nursina risalente al 1526 è necessario spiegare per quali motivazioni è stata presa come riferimento, in questa

723 ASCN, Riformanze, Reg. 1437-1438, cc. 19r-19v.

724 ASCN, Riformanze, Reg. 1482, c. 19v. 725 ASCN, Riformanze, Reg. 1482, c. 29v. 726 ASCN, Riformanze, Reg. 1482, c. 56v. 727 ASCN, Riformanze, Reg. 1482, c. 66r.

728 Per un quadro sull’istituto del vicariato apostolico si veda CAROCCI, Vassalli del papa. Potere pontificio, aristocrazie e città nello Stato della Chiesa, pp. 69-70.

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sede, tale edizione cinquecentesca. È molto semplice: non esiste, ovvero non è giunta sino a noi, una redazione precedente degli statuti di Norcia. Nella già più volte richiamata opera recente di Romano Cordella l’autore, nell’introduzione, ha spiegato meglio il tutto, facendo un importante resoconto delle attestazioni, nella storiografia più remota e nelle fonti coeve, dell’esistenza di norme statutarie nursine precedenti a quelle stampate proprio nel 1526. Cordella ha descritto una serie di esempi relativi a tali attestazioni, a partire dalla prima risalente al 1257, sino a giungere a quelle

quattrocentesche 729.

E su un argomento ancor più decisivo per comprendere appieno proprio le motivazioni che hanno portato, nella presente trattazione, a prendere quale riferimento l’edizione cinquecentesca degli statuti di Norcia, lo studioso affermava quel che segue: «Quanto invece sia passato del nucleo primitivo degli statuti nursini nell’editio del 1526 è impossibile dire a causa della scomparsa pressoché totale di ogni testimonianza scritta intermedia» 730.

È comunque possibile ipotizzare che nell’edizione del 1526 fossero confluite anche normative precedenti ed è proprio per questo motivo che tale edizione, essendo la prima effettivamente disponibile attualmente, si renda comunque fondamentale per la ricostruzione del quadro istituzionale-amministrativo della Norcia anche quattrocentesca. Tanto più se si considera quanto Cordella ha aggiunto più avanti rispetto al passo appena citato: «un’affinità di fondo, riscontrabile anche nel dettaglio, avvicina il testo nursino del 1526 agli statuti trecenteschi di Spoleto, a testimonianza di una matrice comune su cui si modellavano i singoli ordinamenti municipali anche a notevole distanza di tempo. Più concretamente ciò sta a dimostrare l’influenza o, meglio, il potere di controllo esercitato dal comune di Spoleto sugli assetti istituzionali

di Norcia nel corso dei secc. XIII-XIV» 731. Se gli statuti cinquecenteschi nursini si

avvicinavano a quelli trecenteschi spoletani, se Spoleto effettivamente era riuscita ad influenzare l’ordinamento delle istituzioni di Norcia nel Duecento e nel Trecento, per la proprietà transitiva è facile affermare che le normative dei secoli precedenti al XVI fossero in parte confluite nella statuizione del 1526.

Nel suo corposo lavoro Cordella è anche riuscito a individuare alcune fasi evolutive del testo inserito in questa edizione a stampa cinquecentesca: «sembra di riconoscere nel campione esaminato quattro momenti principali: uno facente capo alla ricordata statuizione del 1384-1386 (a); un altro, dai contorni più sfumati, collocabile nella prima metà del sec. XV (b); un altro ancora, legato ad una serie di aggiornamenti introdotti nella seconda metà del secolo XV, ivi compreso il volgarizzamento (c); da ultimo, la fase del rifacimento in vista della stampa […] di cui siamo sufficientemente informati anche per bocca dello stesso statuto (d). Oltre a queste quattro fasi se ne

possono individuare con certezza ancora un paio» 732.

729 Si rimanda a CORDELLA, Statuti di Norcia: testo volgare a stampa del 1526, pp. XVI-XXIV. 730 Ivi, p. XX.

731 Ivi, pp. XXII-XXIII. 732 Ivi, pp. XLIV-XLV.

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L’edizione a stampa del 1526, inoltre, si componeva di sei libri. Il primo, che comprendeva 228 rubriche più una semplicemente annunciata, era incentrato sulle normative riguardanti tutti gli organi elettivi, dunque i consoli, il podestà, il capitano, i diversi ufficiali, e su altre tematiche pubbliche quali le strade, i mercati, le acque, misure varie e via dicendo. Il secondo, costituito da 174 rubriche, trattava i malefici, ovvero la giustizia penale. Il terzo, che aveva al suo interno 137 rubriche, si occupava della giustizia civile. Il quarto, comprendente soltanto 13 rubriche, era dedicato ai massari e ai capi d’Arte. Il quinto, composto da 65 rubriche, si incentrava sui casi di risarcimento dei danni, cioè ai cosiddetti ‘danni dati’. Il sesto, costituito da 71 rubriche, trattava la spartizione dei monti, ossia l’assegnazione, ai nursini della terra e del

contado, di pascoli, boschi, terreni e prati comunali 733. Dall’analisi di questa redazione

cinquecentesca degli statuti di Norcia è possibile ricavare un quadro degli uffici locali di governo e dell’amministrazione abbastanza simile a quello che è stato ricostruito attraverso l’esame dei registri delle riformanze quattrocentesche, pur con la constatazione di alcune differenze. Prima di partire con tale descrizione si ritiene necessaria una specificazione: quando nel prosieguo si andranno a citare passi precisi delle rubriche della normativa statutaria in questione, o si rimanderà in nota alle rubriche stesse, lo si farà facendo riferimento proprio all’opera di edizione su tale testo svolta da Cordella.

I consoli tenevano nelle proprie mani una somma di poteri decisamente notevole. Erano sei, tre della terra e tre del contado, e restavano in carica per un bimestre. I loro nominativi erano estratti dalla relativa bussola e così avveniva anche per gli altri ufficiali. Le liste presenti all’interno delle bussole erano essi stessi a formarle. Erano capeggiati dal priore e avevano una serie di importanti privilegi. Prestavano un giuramento in cui si impegnavano ad osservare gli statuti, a mettere da parte gli interessi personali e a mantenere e governare il pacifico stato del comune e del popolo. Avevano in mano, in pratica, il potere esecutivo: si dovevano occupare di convocare le assemblee e i consigli, della sicurezza dei confini, dell’invio di ambasciatori, della nomina di

alcuni altri ufficiali, della gestione dell’esercito locale 734. La situazione è praticamente

sovrapponibile a quella emersa dall’analisi delle riformanze.

Seguendo l’ordine che si incontra sfogliando i medesimi statuti cinquecenteschi la carica successiva che veniva tratta era quella dei regolatori delle spese. Subito si nota una divergenza con quanto è stato possibile ricostruire nel corso del primo paragrafo del presente capitolo: si parlava, infatti, di sedici regolatori della terra e sedici del contado, mentre i quattro visti attraverso le riformagioni sembravano rappresentare una sorta di

capi dell’intero ufficio. Restavano operativi, comunque, per quattro mesi 735. I

733 Ivi, pp. 679-714. È questo il riferimento all’indice finale delle rubriche dei diversi libri degli statuti del 1526 contenuto nell’opera di Cordella.

734 Ivi, pp. 6-8. È questo il riferimento alla prima rubrica del libro I che tratta dell’autorità e dei poteri dei consoli.

735 Ivi, pp. 8-11. È questo il riferimento alla terza rubrica del libro I che tratta della giurisdizione dei regolatori.

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conestabili di Guaita, dal canto loro, dovevano essere nominati dai consoli ogni anno il mese di marzo, immediatamente prima della festa del patrono san Benedetto. Dovevano inoltre far rispettare nella propria zona di competenza le disposizioni provenienti dal

consolato stesso 736. I capi d’Arte, invece, venivano eletti dal consiglio generale, anche

costoro nel medesimo periodo dell’anno, e si impegnavano a gestire la giurisdizione all’interno della propria corporazione, ovvero possedevano tutti quei poteri che si

vedranno, poco più avanti, in merito ai massari della terra e del contado 737. I custodi

delle porte della città erano anch’essi di nomina consolare ed erano in numero di due

per ciascuna porta 738. Non venivano menzionati massari ad ius reddendum , bensì

comparivano dei ‘rascionatori’, ovvero coloro che avevano il compito di far valere i diritti del comune nei confronti dei suoi debitori. Erano nominati nuovamente dai

consoli 739, dai quali erano eletti, nel corso del mese di maggio, anche i cosiddetti

grascieri, ossia coloro che erano deputati alle attività di approvvigionamento del grano e delle altre biade per il comune. Erano in numero di due, uno per la terra e uno per il contado 740.

Il cancelliere, o notaio alle riformagioni, doveva appunto verbalizzare queste ultime ma aveva anche altre mansioni: pubblicare i nominativi dei massari, dei capi d’Arte, dei giudici civili; registrare i ‘danni dati’; inventariare i libri della comunità; redigere lettere ufficiali. Più in generale era il gestore della cancelleria locale. Era

nominato dal consiglio generale 741, così come il camerlengo cittadino. Costui

rappresentava un vero e proprio tesoriere del comune, occupandosi di registrare tutto ciò che entrava e usciva, di incassare le pene di natura pecuniaria e via dicendo. Restava in carica per sei mesi 742. Sia il cancelliere, sia il camerlengo, erano poi sottoposti alla valutazione di un sindacato relativamente al proprio operato e ciò accadeva, ovviamente, alla conclusione del mandato. Esistevano due ufficiali similari anche per

ciascuna Arte 743. I vicari dei castelli e delle ville del comune dovevano custodirli e

assicurarne la fedeltà alle istituzioni nursine, facendo inoltre rispettare in quei luoghi le disposizioni consolari. Questo era il medesimo compito che avevano anche i podestà

736 Ivi, p. 22 e p. 51. Sono questi i riferimenti alla sedicesima e alla quarantaquattresima rubrica del libro I che trattano dei conestabili.

737 Ivi, pp. 51-52 e pp. 541-545. Sono questi i riferimenti alla quarantacinquesima rubrica del libro I e alla prima rubrica del libro IV che trattano dei capi d’Arte.

738 Ivi, pp. 24-25. È questo il riferimento alla ventiduesima rubrica del libro I che tratta dei custodi delle porte cittadine.

739 Ivi, pp. 30-31. È questo il riferimento alla trentesima rubrica del libro I che tratta dei ‘rascionatori’.

740 Ivi, pp. 105-106 e p. 110. Sono questi i riferimenti alla centoventiquattresima, alla

centoventicinquesima, alla centoventisettesima e alla centotrentasettesima rubrica che trattano dei grascieri e delle loro mansioni.

741 Ivi, pp. 44-48. È questo il riferimento alla trentottesima e alla trentanovesima rubrica del libro I che trattano del cancelliere.

742 Ivi, pp. 48-49. È questo il riferimento alla quarantesima e alla quarantunesima rubrica del libro I che trattano del camerlengo cittadino.

743 Ivi, pp. 458-459. È questo il riferimento alla sessantasettesima rubrica del libro III che tratta del cancelliere e del camerlengo delle diverse Arti.

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inviati direttamente da Norcia in determinati centri, come ad esempio nel caso di Arquata, e, in parte, i castellani posti alla custodia delle rocche del comune. Erano tutti eletti dai consoli stessi 744.

Il consiglio generale, invece, pubblicava i nomi dei nuovi notai alle farine e dei nuovi massari, o conservatori, del comune. In questi statuti a proposito del massario comunale, o conservatore, si diceva decisamente poco, sia livello di durata della carica, sia per ciò che concerneva le mansioni svolte. Per i notai alle farine, invece, si fornivano maggiori informazioni: dovevano, fondamentalmente, badare alla pesa di grano, biada e farina e far rispettare quella pesa nelle relative operazioni di compravendita. Restavano attivi per un bimestre ed erano in numero di sei, diversamente dall’unico che risultava

all’interno dei registri delle riformanze 745. Sempre in merito ai massari, esistevano

anche quelli della terra e quelli del contado. I primi erano tre, venivano nominati ogni quattro mesi di nuovo per pubblicazione del consiglio generale. Fondamentalmente si occupavano di conservare i vari atti del podestà e del capitano, di vigilare su mercati e appalti, di redigere gli inventari delle masserizie del comune, di emettere bollette di pagamenti. I secondi espletavano in pratica le stesse funzioni nell’ambito del castello, o comunque dell’area del contado di propria competenza, oltre ad avere il compito di assegnare le diverse parti dei monti comunali sempre all’interno di quella determinata area 746.

Esistevano poi diversi sindaci. Quelli di castelli e ville del contado nursino dovevano riscuotere le imposte nei luoghi in cui erano in carica e denunciare al comune

i malefici ivi commessi 747. Quelli deputati alla valutazione dell’operato del podestà e

del capitano dovevano occuparsi di ciò solo dopo la conclusione del mandato di tali

ufficiali 748. In merito invece a quello del comune negli statuti non è ben ricostruibile la

sua attività, nonostante Cordella nell’introduzione della sua edizione lo descriva in tal maniera: «Il comune aveva nel ‘sindaco’ il suo legale rappresentante. Egli vigilava sulla polizia urbana e sull’esecuzione delle leggi di ordine pubblico; era soprattutto il

procuratore dei consoli nei negozi da trattare fuori della terra» 749.

Di grande interesse risulta la spiegazione di come si dovessero rinnovare, ogni tre anni, le bussole relative al consolato, al massario, o conservatore, del comune e ai notai alle farine. Una delle ultimissime rubriche degli statuti, infatti, era dedicata a tale

744 Ivi, pp. 50-51 e pp. 164-165. Sono questi i riferimenti alla quarantaduesima, alla quarantatreesima e alla duecentosedicesima rubrica del libro I che trattano, rispettivamente, dei vicari, dei castellani e del podestà di Arquata.

745 Ivi, pp. 64-66. È questo il riferimento alla sessantacinquesima rubrica del libro I che tratta dei notai alle farine e del massario, o conservatore, del comune.

746 Ivi, pp. 541-547. È questo il riferimento alla prima e alla seconda rubrica del libro IV che trattano dei massari della terra e del contado di Norcia.

747 Ivi, pp. 297-299. È questo il riferimento all’ottantesima rubrica del libro II che tratta delle mansioni dei sindaci di castelli e ville del contado nursino.

748 Ivi, pp. 39-44. È questo il riferimento alla trentasettesima rubrica del libro I che tratta dei sindaci del podestà e del capitano.

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questione. È il caso, a tal proposito, di riportare qui, quale esempio principale, il passo preciso relativo alle procedure di imbussulatio per i consoli, definiti costoro quasi sempre all’interno di questo testo a stampa cinquecentesco ‘Magnifici Signori’, o più semplicemente ‘Signori’ (da ciò deriva il fatto che vi si riscontrino le abbreviazioni ‘m.s.c.’ o ‘s.c.’): «li m.s.c. che se retroveranno in lo officio consolare delli misci de novembre et decembre in la fine della bussola del consulare officio siano tenuti et debiano convocare et cohadunare lo numero delli cento iurati et in quello preponere le listre da guagita per guagita de tutti homini et persone che degono essere palloctate allo officio consolare incomenzando dalla prima guagita lo palloctare et poi sequitando per ordine in quisto modo et forma. Prima per ipsi m.s.c. se facciano le listre delli homini da essere palloctati overo per li homini delle loro guagite secundo ad ipsi s.c. parerà più expediente; in le quali listre sempre per ipsi s.c. et etiam per li homini delle loro guagite et ciascuno de ipsi se possa maiore numero adiongere infino che la listra non serrà finita de palloctare. Et facte le dicte listre et dato lo iuramento in la ymagine del crucifixo de rendere la faba alli più acti et ydonei allo officio consulare et beneficio della communità, le dicte listre dui volte se debiano lègere guagita per guagita per lo massaro et conservatore del commune di Norsia o altra persona delli prefati s.c. deputata, incomenzando dalla prima guagita como è dicto. Et poi distintamente da homo per homo in dicto numero se debiano li descripti in dicte listre palloctare ad fabe bianche et negre con lo polisicto tagliato de dicte listre et messo dentro in le busule dove per li tre anni da venire, et similmente per maiore o menore tempo che accadesse decretarse dicta

bussula fare per lo consiglio de epsa terra de Norsia» 750.

Riguardo agli uffici, diversi, che andavano a comporre il quadro legato all’amministrazione della giustizia nel corso del presente paragrafo si fornirà esclusivamente un’elencazione di quelli che comparivano negli statuti cinquecenteschi. Come già anticipato in precedenza, infatti, l’ultimo paragrafo di questo capitolo sarà interamente dedicato al tema degli ordinamenti giuridici della Norcia quattrocentesca. Al vertice si ponevano il podestà e il capitano. Entrambi avevano la giurisdizione penale e civile locale ed erano eletti attraverso una consulta composta dai consoli e da «quattro boni homini populari de ciascuno capo de guagita et altretanti del contado della terra de

Norsia» 751. Entrambi restavano in carica per un semestre. Il giudice dei malefici, o

vicario del podestà, doveva essere esperto, per l’appunto, sia dei malefici, sia dei ‘danni dati’. Coadiuvava il podestà medesimo, dunque, nel suo operato ed era portato con sé

direttamente da quest’ultimo al momento dell’insediamento 752. Il giudice delle cause

civili, eletto nel consiglio generale e operativo per tre mesi, si occupava di una parte di

750 Ivi, p. 668.

751 Ivi, p. 31. Ci si trova all’interno della trentunesima rubrica del libro I che tratta dell’elezione del podestà, mentre la successiva tratta dell’elezione del capitano. In entrambe le rubriche, peraltro, sono presenti i capitoli ai quali le due figure erano obbligate ad attenersi.

752 Ivi, p. 32 e pp. 224-226. Sono questi i riferimenti alla trentunesima rubrica del libro I e alla trentacinquesima rubrica del libro II che trattano, tra le altre materie, del giudice dei malefici.

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quella tipologia di cause 753. Cordella in proposito ha affermato quanto segue: «Era

titolare di una delle tre ‘curie’ secolari del comune (le altre due facevano capo al podestà e al capitano), cui si affiancavano le giurisdizioni minori, già in parte ricordate,

dei massari, capi d’arte, vicari dei castelli» 754. I balivi, invece, erano nominati dai

consoli e dovevano più semplicemente notificare le citazioni in giudizio nelle stesse

cause civili 755. Gli ufficiali addetti ai ‘danni dati’ dovevano occuparsi di amministrare

quella tipologia di controversie, ovvero quella del danno ricevuto in svariati ambiti. Non erano meglio specificate, nella normativa statutaria, la durata della carica e la

competenza dell’elezione 756.

L’amministrazione della giustizia necessitava, infine, dell’occupazione di vari notai per diverse mansioni. Su tutti vanno indicati i notai delle excusationi e degli

examini, che avevano il compito di redigere per iscritto i verbali delle due presenti

materie 757. Erano operativi per sei mesi e venivano nominati dai consoli, ma dovevano

provenire da una delle «ciptadi bone amiche della terra de Norsia et dove se observa

rasciune et iustitia» 758. I due notai alle cause civili coadiuvavano il suddetto giudice che

si occupava di tali questioni. Come costui erano eletti durante il consiglio generale e

restavano in carica per tre mesi 759. Inoltre il podestà doveva portare con sé, al momento

dell’insediamento, cinque notai, di cui due per i malefici, due per i ‘danni dati’ e uno per i cosiddetti extraordinari. Allo stesso modo il capitano doveva portare con sé, quando si insediava, altri due notai, uno ancora per gli extraordinari, l’altro per malefici e ‘danni dati’ 760.

A proposito delle forme assembleari gli statuti non erano così espliciti. Della maggior parte delle assemblee di cui si è potuto trattare in precedenza attraverso l’analisi dei registri delle riformanze non si davano informazioni. Con l’esclusione del consiglio generale, al quale era dedicata un’intera rubrica. Più precisamente questa era incentrata sul consiglio dei duecento uomini del popolo, ovvero venticinque per ciascuno degli otto rioni nursini. Tale riunione doveva espletare numerose funzioni, in particolar modo quella legislativa, quella relativa alla gestione delle spese comunali,

quella di muovere e fare le guerre e quella di fare e concedere rappresaglie 761. Più

semplicemente il consiglio generale aveva «piena potestà provedere, ordinare, statuire et

753 Ivi, p. 435-438. È questo il riferimento alla trentasettesima e alla trentottesima rubrica del libro III che trattano del giudice alle cause civili.

754 Ivi, p. XXXIII.

755 Ivi, p. 421-422. È questo il riferimento alla ventiseiesima rubrica del libro III che tratta dei balivi. 756 Ivi, p. 593. È questo il riferimento alla quarantaquattresima rubrica del libro V che tratta degli ufficiali ai ‘danni dati’.

757 Ivi, pp. 167-168. È questo il riferimento alla duecentodiciottesima rubrica del libro I che tratta dei notai delle excusationi e degli examini.

758 Ivi, p. 167.

759 Si rimanda alla nota numero 753. 760 Si rimanda alla nota numero 751.

761 Ivi, pp. 11-13. È questo il riferimento alla quarta rubrica del libro I che tratta delle mansioni e della composizione del consiglio generale dei ‘duecento uomini della terra e del contado’ di Norcia.

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reformare sopre tutti et singuli casi occurrenti nello dicto commune et populo» 762.

Negli statuti, inoltre, si dava notizia di un cosiddetto parlamento generale, composto da un uomo per ogni fuoco della terra e del contado di Norcia, dunque con tutta probabilità da costoro che potrebbero essere definiti i capifamiglia. Si diceva, peraltro, che qualunque decisione fosse stata votata all’interno di quella riunione doveva essere poi osservata nonostante altre assemblee potessero aver stabilito il contrario, avendo quindi

essa un potere superiore 763.

Facendo una rapida comparazione, dunque, tra il quadro istituzionale-