CAPITOLO III: INDIVIDUI, FAMIGLIE E CETO DIRIGENTE NELLA NORCIA QUATTROCENTESCA
III 1. Nomenclatura sociale: le fonti su Norcia e le definizioni della società locale
Esaminare in che maniera le fonti definissero lo status sociale degli individui appartenenti ad una determinata comunità rappresenta il primo fondamentale passo per poter effettuare qualsiasi riflessione in merito alle distinzioni sociali che esistevano all’interno di quella stessa comunità. Per la Norcia quattrocentesca, così come per
78
qualunque altra realtà, risulta utile analizzare tutte le tipologie di fonti che riportano notizie interessanti sull’argomento. Non solo quelle prodotte dall’interno della stessa società nursina, ma anche quelle provenienti dall’esterno, con particolare riferimento alla documentazione vaticana, per avere un altro punto di vista oltre a quello locale.
Partendo dai registri delle riformanze le prime importanti nomenclature si
notano nella denominazione delle assemblee 309. Al consiglio generale prendevano parte
duecento uomini detti de populo e altri cento indicati quali iuratores 310. Nel consiglio
dei sedici non veniva definita alcuna distinzione sociale e i sedici partecipanti erano
semplicemente anticipati dalla formula prudentes et boni, oppure da un optimi 311.
All’interno della principale assemblea ristretta esecutiva, di contro, la nomenclatura sociale era molto ben presente. Tale consiglio, infatti, era denominato plurium bonorum
hominum nobilium et popularium terre Nursie 312. Al suo interno, coloro che prendevano la parola, nella verbalizzazione scritta, si vedevano anticipare da aggettivi fortemente variabili. Si andava dalla semplice formula unus de dicte cerne al vir
prudens, egregius, clarus, gravis, eloquens, sapiens, probus e altri ancora, fino ad arrivare al vir eximius, o addirittura ai miles e nobilis degli individui di più elevato
rango 313. Discorso a parte per il ser, riservato quasi esclusivamente ai notai 314.
Ancora nei registri delle riformanze, nelle occasioni in cui venivano nominati i cosiddetti capi d’Arte, è possibile incontrare un interessante elenco delle corporazioni della Norcia quattrocentesca. Come si vedrà in maniera un po’ più ampia nel corso del quarto capitolo del presente lavoro, queste erano le seguenti: macellorum, lignaminum
et lapidum, sutorum, fabrorum, lane, calzolaiorum, mercatorum e infine militum,
iudicum, medicorum et notariorum 315; in alcune altre registrazioni, poi, l’ultima veniva
raccolta nell’unica formula nobilium 316.
Proprio nel fondo notarile la situazione si presenta decisamente meno dettagliata. Si incontrano semplicemente il dominus e, per l’appunto, il ser, quest’ultimo ancora una volta connesso agli estensori degli atti. In entrambi i casi le comparse sono numericamente molto basse. Il primo dei due termini, inoltre, si lega a personaggi di più elevato livello sociale. Basti pensare ad un esempio: in una locatio dotis del marzo del
309 Per una più ampia descrizione delle assemblee di Norcia si rimanda al quarto capitolo del presente lavoro, in particolare alle pp. 140-144.
310 Per la denominazione dei partecipanti al consiglio generale un esempio è il seguente: ASCN, Riformanze, Reg. 1441-1442, cc. 54r-58v.
311 Per le formule prudens et boni e optimi si scorrano i vari consigli dei sedici all’interno dei registri delle riformanze, i quali sono i seguenti: ASCN, Riformanze, Regg. 1437-1438, 1438-1439, 1441-1442, 1471-
1472, 1476, 1478-1479, 1482 e 1491-1492.
312 Per la denominazione di tale principale assemblea ristretta esecutiva un esempio è il seguente: ASCN, Riformanze, Reg. 1478-1479, cc. 4v-5r.
313 Per i diversi aggettivi con i quali venivano indicati coloro che prendevano la parola all’interno di quest’assemblea si rimanda alle varie assemblee di ‘nobili e popolari’ di Norcia reperibili all’interno dei registri di riformanze già indicati alla nota numero 311.
314 Per il ser un esempio è il seguente: ASCN, Riformanze, Reg. 1441-1442, c. 1r.
315 ASCN, Riformanze, Reg. 1441-1442, c. 27v.
79
1460, donna Colutie appariva quale moglie di Marinus Vannutii domini Jacobi de
Ragineriis 317. La casata dei Ranieri, come si vedrà più avanti nel corso del presente capitolo, era una delle più importanti.
Gli statuti del 1526, di cui si è già parlato per altri versi anche nel precedente capitolo, non forniscono molte informazioni rilevanti sulle distinzioni sociali. Si tratta di una normativa che, come nella consuetudine dei casi, descriveva il funzionamento delle attività istituzionali, amministrative e giurisprudenziali della comunità nursina. Si possono riscontrare le suddivisioni interne al consiglio generale, ovvero tra i duecento
uomini del popolo e i cento iurati 318. Si ritrova, inoltre, l’elencazione delle
corporazioni, sostanzialmente invariata rispetto a quanto emerso dalle riformanze 319. Si
respira, tuttavia, anche in tale fonte l’idea di una distinzione tra popolari e cavalieri (non si parla praticamente mai di nobili), come nel caso della figura degli ambasciatori, per i quali si affermava che «se serranno cavalieri o doctori et cavalieri o doctori tanto, non possano menare più che tre cavalli computato lo cavallo della persona sua in ciascuna ambasciaria | che facessero. Ma se serrà altra persona o populare, non possa menare più
che dui cavalli computato lo cavallo della sua persona» 320. Molto interessante appare
anche il concetto di ‘status popolare’ della comunità che traspare da alcune rubriche statutarie. Una in particolare stabiliva che «niuna persona de qualunqua conditione se sia presume de dire, tractare o iurare o inquisitione fare de alcuna gente, o alchuna cosa ordinare, che sia o che se possa dire contra lu bono stato populare del communo et homini della terra de Norsia o suo districto, et che sia o dire se possa contra lu officio delli signori consuli della dicta terra li quali mo sonno et seranno per li tempi, né dica le predicte cose né altri simili equipollenti che se possissero dire o concepire contra lu
bono stato del communo et populo della dicta terra o contra li dicti signori consuli» 321.
Sembra, da frasi come questa, che nel pensiero locale la comunità nursina si descrivesse come un comune dallo ‘status popolare’, il che tuttavia non è possibile affermare con certezza solo attraverso tali generiche attestazioni.
Non si riscontrano quasi mai notizie utili in tal senso nemmeno nella documentazione compresa all’interno del fondo diplomatico nursino. Si tratta di una serie di brevi o bolle papali diretti appunto alla comunità di Norcia e incentrati su questioni di varia natura, nei quali si trovano con vera rarità nomenclature sociali, pure in quei casi in cui vengono menzionati individui locali. Tuttavia, dal momento che le menzioni di costoro risultano decisamente scarse a livello quantitativo, è supponibile che quando appaiano riguardino personaggi di un certo rilievo sociale. Infatti è proprio
317 ASCN, Notarile, Reg. 1465-1470 di Petruspaulus Antonii Pauli de Nursia, cc. 70r-71r.
318Per queste informazioni si rimanda a CORDELLA, Statuti di Norcia: testo volgare a stampa del 1526, p. 668, ovvero ASCN, Statutorum Nursie, rubr. VI, LXXI.
319Per queste informazioni si rimanda nuovamente a CORDELLA, Statuti di Norcia: testo volgare a stampa del 1526, pp. 57-58, ovvero ASCN, Statutorum Nursie, rubr. I, LI.
320CORDELLA, Statuti di Norcia: testo volgare a stampa del 1526, p. 20, ovvero ASCN, Statutorum Nursie, rubr. I, XIIII.
321CORDELLA, Statuti di Norcia: testo volgare a stampa del 1526, p. 302, ovvero ASCN, Statutorum Nursie, rubr. II, LXXXV.
80
in tali occorrenze che, pochissime volte, compaiono appellativi interessanti. Per portare uno dei rari esempi, nel luglio del 1483 con un breve papa Sisto IV invitava i nursini alla nomina di quattro uomini per guaita e altrettanti per il contado, con l’obiettivo di occuparsi del ristabilimento della pace interna. In qualità di principale oratore figurava
Johannes Baptista de Barattanis miles322. Peraltro si potrà constatare, più avanti, come Giovanni Battista Barattani rappresentasse realmente un individuo di grande importanza.
Ancor più interessanti, di contro, sono quei registri conservati presso l’Archivio Segreto Vaticano di cui si tratterà nel corso del paragrafo immediatamente successivo, ovvero riguardanti le nomine da parte del governo pontificio degli ufficiali della propria macchina ‘statale’. Quando in queste fonti si incontrano uomini di Norcia, costoro sono quasi sempre definiti con terminologie che li pongono su un piano sociale elevato. Gli appellativi dominus, miles, nonché la qualifica di dottore in legge, risultavano decisamente frequenti. Qualcuno, inoltre, era indicato quale senatore di Roma, o Comes
Palatinus Sacri Lateranensis Palatii 323. Taluni, infine, raccoglievano insieme tutte queste denominazioni, anche se i casi sono davvero rari e lo si vedrà più esplicitamente ancora una volta nel paragrafo successivo.
Che riflessioni si possono compiere, quindi, alla luce di questi concisi ma significativi dati? In primo luogo sembra possibile sostenere che apparisse evidente, nella mente dei nursini di quei tempi, la distinzione tra un categoria nobiliare e una più popolare. Membri di entrambe partecipavano alla gestione politico-amministrativa della comunità. Se poi per quanto concerne la categoria popolare non sono state riscontrate ulteriori particolari specificazioni in termini di nomenclatura sociale, al di là del
prudens, del boni, dell’optimi e dei mestieri nei quali si suddividevano le Arti, relativamente a quella nobiliare gli appellativi risultano diversi. Le qualifiche di nobile,
miles e dominus potrebbero lasciare appunto pensare che si trattasse di individui appartenenti ad una vera e propria nobiltà locale, anche datata. Ad elevare ancor di più questo gruppo di personaggi concorrevano le nomine ad ufficiali della macchina ‘statale’ pontificia, quelle più sporadiche a senatori di Roma o a Comes Palatinus Sacri
Lateranensis Palatii.
Ma nei fatti di che tipo di nobiltà si trattava? Se in una nomina di capi d’Arte un’unica corporazione era composta da milites, iudices, medici e notarii e la medesima, in un’altra registrazione della stessa natura, si racchiudeva nella semplice formula dei
nobilium cosa stava a significare tutto ciò? Un primo punto da tenere in forte considerazione è la fluidità dell’idea nobiliare medievale. Renato Bordone, in un saggio compreso nel primo dei due volumi sul Medioevo della storia d’Italia UTET, affermava quanto segue: «Per tutto il medioevo concetto e classe nobiliari sono contenitori fluidi, aperti alla penetrazione di elementi economicamente e socialmente prestigiosi, non ancora rigidamente ereditari perché individuabili prevalentemente sulla base dell’auto
322 ASCN, Diplomatico, Cassetto A, Fascicolo II, n. 31.
323 Risulta inutile in questa sede rimandare ad esempi relativi alle qualifiche e agli appellativi appena menzionati. Come detto tutti gli esempi saranno portati nel corso del paragrafo successivo.
81
ed eterovalutazione. Anche per oggettive necessità di rinnovamento provocate dalle stesse consuetudini nobiliari ancora nel XIV secolo in gran parte d’Europa la nobiltà si
presenta come una classe notevolmente aperta» 324. Relativamente, poi, alla
nomenclatura riscontrata nelle fonti prodotte dalla Santa Sede deve essere sottolineato un fatto fondamentale: la bipartizione della nobiltà romana tra baroni, i veri magnates, e
milites e/o nobiles viri, i «soggetti implicati nel governo del comune popolare» 325, come li definiva Ennio Igor Mineo in un recente contributo, che per il tardo-medioevo è sempre ben presente. Un fenomeno, questo, che poteva influenzare anche le denominazioni sociali che Roma utilizzava per altre realtà. Pertanto non è possibile affermare con certezza che quando nella documentazione pontificia, con particolare riferimento alle nomine di ufficiali della macchina ‘statale’ papale, individui provenienti da Norcia fossero definiti, per l’appunto, milites e/o nobiles viri ci si riferisse a costoro come veri e propri nobili sanciti tali da una qualche attestazione giuridica. Pare più probabile, anzi, che si pensassero quale gruppo di maggiorenti locali, come quella fascia aristocratica della comunità in questo caso nursina, per eminenza e ruolo sociale in loco, nonché per cursus professionale, dalla quale poter attingere uomini validi per il funzionamento del proprio apparato governativo-amministrativo.
Tuttavia, internamente a Norcia, come si è già accennato, il concetto di una separazione tra categoria nobiliare e popolare, attraverso l’analisi delle fonti, appariva evidente. Anche in tal caso, però, andrebbe compreso appieno se con gli appellativi vir
sapientissimus, eximius, miles e nobilis si intendesse realmente un ceto di più antico e nobile rango, legato peraltro all’attività cavalleresca e militare, oppure una più semplice aristocrazia locale individuata come tale per una più evidente preminenza sociale. Ancora una volta Mineo, per la situazione romana, in parte anche più in generale italiana della fine del Trecento, sosteneva che «“nobiltà” e “popolo” divengono, forse
più che altrove, etichette sempre più funzionali al gioco politico comunale» 326. Ciò
risulta certamente più vero per la realtà di Roma, ma si tratta di un elemento che non deve essere trascurato nemmeno per le altre situazioni. Quegli uomini accompagnati dalla terminologia di cui sopra nelle fonti nursine quattrocentesche, con le riformanze in primo piano, mostravano comunque in maniera chiara, per l’appunto, la loro preminenza sociale. Alcuni ebbero davvero a che fare con l’attività militare, e lo si vedrà meglio più avanti nel corso del presente capitolo, quando si tratterà degli individui che maggiormente compaiono nelle storie su Norcia scritte da certi eruditi. Lo fa pensare, inoltre, anche la menzione frequente, negli statuti del 1526, del termine cavaliere. Alcuni, come si è già notato, intrapresero poi una carriera di professionisti della politica, nei dominii pontifici, di tutto rispetto. Ma quel significativo dato emerso dalle nomine dei capi d’Arte, attraverso le quali è possibile notare come quella dei
milites, degli iudices, dei medici e dei notarii rappresentasse un’unica corporazione, in
324 BORDONE, L’aristocrazia: ricambi e convergenze ai vertici della scala sociale, pp. 170-171.
325 MINEO, Nobiltà romana e nobiltà italiana (1300-1500), p. 54. Per la questione della bipartizione della nobiltà romana si rimanda inoltre a CAROCCI, Una nobiltà bipartita, pp. 1-52.
82
altre occasioni definita addirittura semplicemente dei nobilium, non può che lasciar intendere un’idea, ovvero che nel pensiero comune dei nursini di quei tempi, per lo meno a livello terminologico, la nobilitas fosse un concetto veramente fluido, aperto alla concorrenza di gruppi sociali e professionali diversa natura.
Un ceto nobiliare, non giuridicamente sancito ma probabilmente reale da un punto di vista sociale, forse effettivamente esisteva, ed era proprio quello dei vari
milites e nobiles che sia nelle fonti locali, sia in quelle esterne, comparivano con tali appellativi. Non a caso. Poiché appartenevano a casate di più remota data (anche questo dato emergerà più chiaramente nei paragrafi seguenti) e avevano a che fare con le carriere politico-militari. Tale distacco, tuttavia, non sembrava essere totalmente recepito dalla comunità, come detto per ciò che risulta dalle descrizioni verbali, e quel ceto veniva accostato anche a gruppi sociali di professionisti di altro ambito. Ecco perché, ai nostri occhi, parrebbe più corretto chiamare la nobiltà della documentazione nursina ‘alta’ aristocrazia, o gruppo magnatizio. Una terminologia che non compare nelle stesse fonti e che, tuttavia, appare più adatta a descrivere la situazione riscontrata.
Il popolo, dal canto suo, era altrettanto variegato. Non si incontrano nelle riformanze, negli atti notarili o nelle altre tipologie di fonti indagate maggiori precisazioni terminologiche, al di là di quei pochi e molto comuni appellativi elencati in precedenza, come prudens, bonus, optimus e a volte egregius. Se però per la definizione dei partecipanti alle assemblee si utilizzava la distinzione tra nobili e popolari è abbastanza facile affermare che tutti coloro che non facevano parte della suddetta
nobilitas fossero considerati compresi nella seconda categoria. Lo erano ritenuti, dunque, tutti coloro che provenivano dalle altre Arti, ovvero macellai, mercanti, calzolai, falegnami, fabbri, lanaioli e via dicendo. Lo erano ritenuti, inoltre, tutti coloro, ed erano la nettissima maggioranza, che venivano nominati quali ufficiali governativo- amministrativi del comune e che non erano accompagnati da termini quali nobilis,
miles, dominus e quant’altro di simile. Un popolo, in definitiva, che accorpava in sé elementi di più basso livello, ad esempio gli ultimi membri della ruota del carro delle Arti, ed elementi di livello decisamente più elevato, come chi raggiungeva il consolato, la carica locale più importante, i quali concorrevano a pieno titolo alla composizione del ceto dirigente nursino.
Una fluidità, in tutti i settori della società, che permetteva ascese e mutamenti. Quella fluidità che, poco più avanti, porterà alla creazione, non solo nel caso di Norcia, ma più in generale nei centri inseriti nel contesto dei dominii pontifici, di gruppi dirigenti misti, i quali diverranno sempre più eminenti in ambito locale e che, con il supporto del potere papale, giungeranno ad una vera e propria chiusura a cavallo tra Quattrocento e Cinquecento, nel senso della genesi di quei patriziati cittadini tanto cari
alle riflessioni di Bandino Giacomo Zenobi 327. Tutto questo, ovviamente, solo ed
esclusivamente considerando la breve analisi delle nomenclature sociali trovate nelle fonti compiuta sin qui.
83