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Studi sull’amministrazione finanziaria della Santa Sede nel secolo

È proprio sulle analisi relative ai bilanci cui si è accennato in conclusione della precedente sezione che si intende incentrare questa. Non tanto sullo studio del Bauer, poiché maggiormente datato, quanto soprattutto su quelli del Caravale. Costui, oltre al

contributo già citato poco sopra 89, ha scritto in merito anche un altro saggio, più recente

e più completo sull’argomento 90. È quest’ultimo che cercherò di analizzare qui, per

fornire un quadro sulle conoscenze più aggiornate a proposito dell’amministrazione finanziaria della Santa Sede nei propri territori soggetti e nel corso del Quattrocento.

Nel periodo compreso tra i due Concili di Costanza e Trento la storiografia, in

maniera abbastanza concorde secondo quanto afferma Caravale 91, la finanza pontificia

fu protagonista di un’evoluzione importante. Il sistema si basava sulla distinzione tra terre di dominio mediato e terre di dominio diretto. Le prime erano rappresentate dai vicariati apostolici e dalle signorie territoriali e vi era riconosciuta la superiore autorità temporale del pontefice, ma l’intera giurisdizione era esercitata dal vicario o dal signore. Sul piano tributario ciò determinava pieni poteri da parte del medesimo vicario o signore sul fisco. La Santa Sede manteneva il diritto alla sola riscossione di un censo a titolo di riconoscimento della sua superiorità. Nelle aree di dominio diretto, di contro, il potere temporale della Chiesa di Roma si mostrava molto più forte. È vero che alcuni grandi comuni interni a tali aree, come Roma, Bologna, Perugia, Viterbo e altri, godevano di una certa autonomia; è altrettanto vero, tuttavia, che nel resto dei territori

immediate subiecti il sistema fiscale della Santa sede si fece decisamente sentire: le città, solitamente, continuarono ad esercitare la loro tradizionale autorità fiscale, con l’imposizione, però, di una somma annua da versare alla Camera apostolica; ma in alcuni casi, quelli di alcuni grandi comuni, la stessa Camera apostolica riscuoteva direttamente anche una parte delle entrate comunali. Caravale cita gli esempi di Roma e di Perugia. In generale l’amministrazione delle entrate pontificie era affidata ad alcuni uffici: le tesorerie provinciali riscuotevano le entrate dovute alla Chiesa dalle comunità di una determinata circoscrizione; accanto operavano gli uffici delle salare, incaricati di vendere il sale alle comunità di un distretto, quelli delle dogane dei pascoli, che si occupavano della locazione dei terreni demaniali adibiti al pascolo delle greggi, riscuotendo sia il corrispettivo della licenza, sia il corrispettivo per la locazione dei terreni a pascolo, quelli infine delle dogane delle tratte, che ricevevano dai privati i versamenti corrispondenti alle licenze di esportazione del grano e di altri cereali

89 Si rimanda alla precedente nota numero 86. 90 CARAVALE, Le entrate pontificie, pp. 73-106.

91 Ivi, p. 73. Qui l’autore, peraltro, fa riferimento ad un’altra opera del Bauer, cioè la seguente: BAUER, Die Epochen der Papstfinanz, pp. 457-503.

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concesse dalla Camera apostolica. Il sistema fiscale pontificio ricostruito dalla storiografia sembra allora a Caravale semplice, snello e caratterizzato da una visione unitaria 92.

Per verificare questo quadro lo studioso analizza alcune fonti 93: il già citato

bilancio risalente agli anni 1454-1458 94; il già citato bilancio del 1480-1481 95; il conto

parziale delle entrate temporali datato ai primi anni del secolo XVI e conservato inedito,

in copia seicentesca, presso la Biblioteca Apostolica Vaticana 96; il bilancio del 1525 97;

infine il cosiddetto Libro mastro del 1477 98, un conto delle entrate del sale, completato

con annotazioni sulle entrate delle tesorerie, delle dogane, delle salare, sulle riscossioni di censi e affitti e con inoltre alcune annotazioni relative all’entrata di qualche collettoria, ufficio incaricato delle entrate spirituali. Caravale inizia tale verifica dal periodo di papa Martino V, che definisce così: «una sovrapposizione della potestà tributaria della Chiesa a quella degli ordinamenti territoriali particolari, ma i termini in cui questa idea venne realizzata risultano diversi da zona a zona. Sembra legittimo ritenere che le autorità pontificie si comportarono con estremo realismo, esercitando le competenze comprese nella superiore giurisdizione unitaria della Chiesa nei modi in cui tale esercizio era di fatto reso possibile dagli ordinamenti particolari affermatisi nelle varie regioni, ordinamenti che la Chiesa stessa si impegnava a difendere e proteggere e

con i quali cercava di stabilire rapporti di amicizia al fine di garantirsi la loro fedeltà» 99.

Eppure poco dopo lo stesso autore aggiunge che ancora in quella fase spesso le uscite

risultassero maggiori delle entrate 100. Per la fase di metà Quattrocento, invece, Caravale

afferma: «l’ordinamento tributario pontificio presenta un’articolazione di maggior respiro rispetto agli anni di Martino V. La capacità esattiva delle tesorerie e degli altri uffici provinciali risulta accresciuta, tanto da garantire una consistente entrata alla Camera apostolica […] I progressi del sistema fiscale pontificio, comunque, non devono far dimenticare che esso conservava la medesima natura che aveva all’inizio del secolo; mancava, cioè, di omogeneità ed era composto da elementi diversi a seconda delle

singole terre cui si riferiva» 101. Per la fase di fine Quattrocento, inoltre, Caravale nota

come l’ordinamento tributario pontificio avesse conservato inalterate le forme di metà secolo e conclude: «Il libro mastro, il bilancio generale e i rendiconti delle tesorerie e degli altri uffici provinciali confermano, dunque, la complessa articolazione dell’ordinamento tributario pontificio e la sua natura duttile e concreta, espressione

92 Per le informazioni appena riportate si veda ancora CARAVALE, Le entrate pontificie, pp. 73-75. 93 Ivi, p. 75 per un elenco e per una breve descrizione di tali fonti.

94 Si rimanda alla precedente nota numero 86. 95 Si rimanda alla precedente nota numero 87. 96 BAV, cod. Barb. Lat. 1652, ff. 6r-23r.

97 Bilancio pubblicato interamente in MONACO, La situazione della Reverenda Camera apostolica nell’anno 1525. Ricerche d’archivio.

98 ASR, Camerale I, Libro mastro I. 99 CARAVALE, Le entrate pontificie, p. 87. 100 Ivi, p. 88.

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immediata dei termini in cui l’autorità pontificia si poneva nei riguardi di ciascuno degli ordinamenti territoriali del suo dominio temporale. Confermano, altresì, che nonostante la cautela con cui operavano i funzionari pontifici provinciali, le entrate da loro percepite continuavano ad essere significative. Dal bilancio generale si ricava, infatti, che l’entrata superava l’uscita di oltre 89.000 ducati di Camera: una cifra consistente, anche se sensibilmente inferiore a quella denunciata dal bilancio degli anni ’50, cifra che forse potrebbe essere corretta dal calcolo delle entrate di tesoreria che l’autore del

bilancio aveva omesso» 102.

I 5. Studi su alcuni casi di rapporti centro-periferia nello Stato pontificio del secolo