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Al 79° posto, con un ISU corrispondente a 0,744, il Brasile risulta in una scala sempre crescente, essendo passato dal gruppo di paesi con ISU molto basso ad uno alto in meno di venticinque anni. Il Rapporto sullo Sviluppo Umano del 2014 mette in evidenza come dagli anni „80 al 2000 il Brasile abbia avuto una crescita media dal 1,16 al 1,10 nell‟ISU, mentre dal 2000 al 2013 la media è stata di 0,67. Solamente dal 2010 al 2013 il suo ISU è passato da 0,739 al 0,744. Il fattore che più ha influenzato l‟ascesa del paese è stato quello dell‟istruzione.

Allo stesso tempo si osserva anche la forte incidenza del fenomeno della disuguaglianza, che ha contribuito alla discesa nella classifica dell‟ISU, in base all‟ISUD. Se nel 2012 l‟ISUD era di 0,531, il che rappresentava una discesa di 12 posizioni, nel 2013 l‟indice è cresciuto ancora di più, passando a 0,744, valore che ha portato alla perdita di 16 posizioni. La variabile che più ha inciso è stata quella del rendimento. Anche riguardo all‟Indice di Disuguaglianza di Genere (IDG), il Brasile ha un valore di 0,441, inferiore persino a quello del Ruanda (0,410), che appartiene al gruppo dei paesi con un ISU molto basso.

Da questi dati si può osservare che, pur essendo la crescita dell‟ISU una condizione necessaria per valutare il benessere della popolazione di un paese, essa, se analizzata isolatamente, non è una condizione sufficiente per conoscere più a fondo le diverse dimensioni di disuguaglianza (sia di reddito, sia di genere) presenti nello stesso contesto. Si potrebbe anche affermare che l‟ascesa degli indicatori di sviluppo umano può coesistere con la concentrazione di beni e ricchezze materiali e con situazioni di discriminazioni di genere.

Nonostante le persistenti disuguaglianze, non si possono negare i progressi e i miglioramenti delle condizioni di vita della popolazione brasiliana negli ultimi decenni. I rapporti internazionali indicano il Brasile come un paese con un‟economia in crescita, oggi appartenente al gruppo dei maggiori paesi con un‟economia emergente, il BRICS – Brasile, Russia, Cina, Sudafrica.

Il PIL nazionale tra il 2001 e il 2010 è aumentato del 3,6%, «risultato della congiuntura internazionale facilitata dalle esportazioni, rafforzamenti del mercato interno,

crescita del reddito medio della popolazione e incentivi al consumo delle famiglie ed espansioni del credito».169

I dati dimostrano anche la riduzione della disuguaglianza sia nazionale sia tra le regioni; il rapporto di sintesi sugli indicatori sociali dell‟Instituto Brasileiro de Geografia

e Estatistica (IBGE) rivela che dal 2004 al 2013 l‟indice del Gini170 nazionale si è mosso in una scala decrescente, passando da un valore di 0,555 nel 2004 a 0,501 nel 2013. Anche nelle cinque regioni brasiliane si osserva questo cambiamento. Si ponga attenzione sulle regioni Nord Est e Centro Ovest, che presentano ancora il valore del Gini lievemente superiore a quello nazionale, essendo rispettivamente di 0,509 e 0,519. Come nella realtà italiana, anche in Brasile si osserva il fenomeno della disuguaglianza tra le regioni.

La riduzione della disuguaglianza si giustifica in parte per la crescita economica e anche per un insieme di politiche e fattori congiunturali, come la valorizzazione del salario minimo (ridimensionato negli ultimi anni a livelli superiori all‟inflazione reale osservata), i programmi di trasferimento di reddito, e anche una evoluzione favorevole del rendimento del lavoro, a causa della crescente formalizzazione e maggiore capacità di negoziazione dei lavoratori per miglioramenti salariali, soprattutto fino alla crisi del 2008-2009.171

Nonostante il processo di ottimizzazione nella ridistribuzione del reddito nel paese, il suo storico divario tra la popolazione è ancora forte; i dati dell‟IBGE rivelano che negli anni 2004, 2008 e 2013 il gruppo rappresentato dal 10% dei più ricchi in Brasile aveva rispettivamente il 45,8, 43,6 e 41,7% del reddito nazionale, mentre il 50% di tutta la popolazione aveva negli stessi anni il 12,3%, 15,9 e 17,4%.

Quando si pongono in relazione le variabili di “reddito” e colore o “razza”,172

emerge che, nel 2013 tra il 10% della popolazione con minor reddito del paese, il 75% si dichiarava di colore o “razza” nero o mulatto e appena il 23,9% si considerava

169 INSTITUTO BRASILEIRO DE GEOGRAFIA E ESTATISTICA. Síntese dos Indicadores Sociais. Uma

analise das condições de vida da população brasileira, Brasília 2013, p.151 (traduzione propria).

170

Il coefficiente di Gini è stato introdotto dallo statista italiano Corrado Gini; è una misura della disuguaglianza nella distribuzione del reddito, rappresentando perciò l‟indice della concentrazione di ricchezza all‟interno di un paese. Il Gini è un numero compreso tra 0 ed 1, ove il valore 0 corrisponde alla pura ed equa distribuzione, ossia la situazione in cui tutti percepiscono esattamente lo stesso reddito; e il valore 1 alla situazione di massima concentrazione.

171INSTITUTO BRASILEIRO DE GEOGRAFIA E ESTATISTICA. Síntese dos Indicadores Sociais. Uma

analise das condições de vida da população brasileira, Brasília 2013, p.151 (traduzione propria)

172 L‟IBGE utilizza nelle sue indagini e ricerche la terminologia “colore” o “razza” per riferirsi alla carnagione della pelle e/o discendenza etnica della popolazione brasiliana. Il criterio è quello dell‟auto- dichiarazione, ove la persona su cui si basa l‟indagine si autoafferma. L‟elenco di colore o “razza” è composto da: bianco, nero, “pardo”/mulatto, “amarelo”/giallo (persone di origini orientali – giapponese, cinese, coreana, ecc.) e indigena. Inoltre, l‟istituto considera la categoria “negra” o “persona di colore”, costituita dalla somma delle categorie nera e mulatta, da questa nozione l‟IBGE definisce la popolazione “negra” come di origine afro discendente.

bianco; nel 2004 tale proporzione riportava il 72,8% di neri o mulatti e il 26,9% di bianchi. Invece all‟opposto, cioè nel gruppo formato per l‟1% da una popolazione più abbiente, nel 2013 il 14,6% era costituito da neri o mulatti e l‟83,6% da bianchi; nel 2004 la proporzione era di 12,5% neri o mulatti.

In termini di colore e carnagione della popolazione brasiliana l‟IBGE dichiara che dal 2000 al 2010 (anni del penultimo e ultimo censimento) c‟è stato un grande cambiamento nella proporzione delle persone che si dichiaravano di colore o “razza” nero o mulatto. Tale gruppo è passato dal 44,7% della popolazione nel 2000 al 50,7% nel 2010. Tra le ipotesi elencate per spiegare il fenomeno, l‟IBGE ha considerato principalmente «la valorizzazione dell‟identità afro discendente».173

Nonostante in Brasile la nozione di povertà si riferisca più a quella assoluta, l‟IBGE cerca anche di valutare la manifestazione di tale fenomeno e il benessere della popolazione, considerando un‟impostazione relativa, essendo essa basata sulla media dei rendimenti, ove sono considerati sotto la soglia di povertà relativa coloro che hanno il rendimento inferiore al 60% della media totale.

Così, i dati del 2001 dimostravano che il 52,5% delle famiglie brasiliane rimaneva sotto la soglia di povertà relativa; già nel 2011 il numero si è ridotto al 25,8%, ossia, in dieci anni la povertà nazionale si è ridotta della metà. Se da una parte l‟incidenza della povertà relativa è diminuita, dall‟altra rimangono ancora i divari della sua fenomenologia nelle diverse regioni; infatti essa è maggiore tra le famiglie del Nord Est del Brasile, fino a un totale del 44,5% contro il 16,9% delle famiglie della regione Sud Est.

Il riferito risultato statistico si ottiene anche dall‟analisi della povertà e della diseguaglianza in una prospettiva multidimensionale, ricorrendo alla metodologia sviluppata per il Consejo Nacional de Evaluación della Política de Desarrollo Social - CONEVAL del Messico.

In questo senso, considerando la nozione di carenze sociali del CONEVAL, l‟IBGE ne elenca quattro: ritardo negli anni scolastici, caratteristiche fisiche del domicilio, accesso ai servizi basici e accesso all‟assicurazione sociale, inserendo anche la

173 INSTITUTO BRASILEIRO DE GEOGRAFIA E ESTATISTICA, Indicadores Sociais Municipais, Uma

análise dos resultados do universo do Censo Demográfico 2010, Rio de Janeiro 2011, p.46 (traduzione propria).

misura di povertà relativa, ossia la carenza di rendimenti. Incluso quello del rendimento medio inferiore al 60% della popolazione, gli indicatori sono:

 «Ritardo negli anni scolastici: bambini e adolescenti tra 6 e 14 anni che non andavano a scuola; persone oltre i 15 anni analfabete; persone oltre i 16 anni che non avevano concluso la scuola secondaria.

 Accesso all‟assicurazione sociale: le persone che in almeno 10 anni non avevano contribuito con l‟istituto pensionistico in qualsiasi lavoro o anziani che non erano ancora in pensione. Veniva considerato anche il numero di persone che partecipavano ai programmi di trasferimento di reddito, con un reddito pro-capite equivalente alla metà del salario minimo, ossia, le persone che partecipavano ai programmi sociali.

 Qualità delle residenze: sono stati considerati bisognosi i cittadini con abitazioni che presentavano alcune di queste caratteristiche: muri non in legno o muratura, densità di abitanti per stanza da letto superiore a 2,5 persone.

 Accesso ai servizi di base: sono stati considerati cittadini bisognosi i residenti in domicili in cui non esisteva erogazione d‟acqua, senza fognature, senza raccolta diretta o indiretta di rifiuti o senza illuminazione elettrica.

In questa lista la popolazione è stata divisa in quattro grandi gruppi mutuamente escludenti:

 I vulnerabili di reddito e di carenze sociali (le persone con rendimento a domicilio pro- capite inferiore al 60% della media e con almeno una delle carenze sociali suddette);  I vulnerabili per carenze sociali (la popolazione con almeno una delle carenze sociali

suddette, però con rendimento domiciliare pro-capite superiore al 60% della media);  I vulnerabili di reddito (la popolazione con rendimento domiciliare pro-capite inferiore

al 60% della media, però senza carenze sociali);

 I non vulnerabili (la popolazione con rendimento pro-capite superiore al 60% della media, senza carenze sociali) ».174

L‟analisi dei dati ha evidenziato che nel 2012 il 34,2% della popolazione brasiliana non aveva nessuna vulnerabilità/carenza: la più ricorrente riguardava il difficile accesso della popolazione ai servizi di base (32,2%), per carenza educativa (31,2%), poi quella riferita al rendimento (29,8%), l‟accesso all‟assicurazione sociale (21,3%) e, per ultimo, la qualità delle abitazioni (4,0).

174

IBGE, Síntese dos Indicadores Sociais. Uma analise das condições de vida da população brasileira, Brasília 2012, p.169 (traduzione propria).

Questo dato rivela anche che il 22,40% della popolazione non presentava alcun tipo di vulnerabilità/carenza. Tuttavia, l‟incidenza sul territorio nazionale si rifletteva in maniera differenziata. Se nella regione Sud, Sud Est e Centro Est arrivava a 11,3%, 11,9% e 16,2%, nelle regioni Nord e Nord Est le percentuali erano rispettivamente di 40% e 40,1%.

Fonte: IBGE – Sintesi degli Indicatori Sociali (2012).

Come in Italia, anche la realtà brasiliana, per quanto riguarda l‟erogazione dei servizi, l‟offerta di lavoro e la struttura del welfare, cambia a seconda delle regioni. Quelle del Nord e Nord Est storicamente tendono a concentrare un maggiore numero di persone considerate povere e in situazione di disagio sociale. Tale fenomeno potrebbe essere spiegato sia da fattori storici, del processo di costituzione del paese, che geografici, giacché nelle due regioni si concentra gran parte degli stati, dove incidono la siccità del paese e la presenza della foresta amazzonica, e anche economici, essendo regioni con poche industrie.

Contemporaneamente, la nozione di povertà più utilizzata tanto per gli istituti di statistica quanto per le politiche e azioni erogate dallo Stato brasiliano è quella della povertà assoluta, calcolata tenendo conto del valore monetario raggiunto con la metà del

salario minimo.175 Inoltre, il Brasile calcola la povertà estrema, mantenendo il valore raggiunto con un quarto del salario minimo.

Basandosi su questa nozione e considerando che nel 2012 il salario minimo era di R$ 622,00, i dati dell‟Atlas do Desenvolvimento Humano dell‟Instituto di Pesquisa e

Estatistica Aplicadas (IPEA) rivelano che il numero di persone povere arrivava a un

totale di 28.994.88.

Riguardo a tale valore, tenendo conto della percentuale per abitanti di ogni regione, si nota che nel Nord Est si concentrava il 55,63% dei poveri (16.131.216), al Nord il 15,72% (4.558.308 persone), nel Centro-Est il 3,95% (1.144.634 persone), nel Sud-Est il 19,19% (5.563.692 persone) e a Sud il 5,46% dei poveri (1.583.988 persone).

Tabella 2 – Numeri di poveri per regione. Anno 2012.

Numeri di poveri Percentuali per regione Brasile 28.994.881 Nord 4.558.308 15,72% Nord Est 16.131.216 55,63% Centro-Est 1.144.634 3,95% Sud- Est 5.563.692 19,19% Sud 1.583.988 5,46% Fonte: IPEA, 2013. Fonte: IPEA, 2013. 175

Il salario minimo in Brasile è considerato per la Costituzione Nazionale come quello in grado di soddisfare i bisogni vitali di base delle famiglie, che sono: abitazione, alimentazione, istruzione, salute, svago, abbigliamento, igiene, trasporti e assicurazione sociale, Constituição Federal, Art.7, 1988. Però le indagini del Departamento Intersindical de Estatística e Estudos Socioeconômicos (DIEESE) rivelano che, per rispettare la legislazione, il valore del salario minimo nel 2014 dovrebbe essere di R$2.975,55, ossia quattro volte in più del valore assunto – R$724,00.

Tuttavia la dinamica della distribuzione del rendimento può essere meglio analizzata tenendo conto delle caratteristiche delle famiglie. In Brasile nel 2013, il 43,9% delle famiglie era formato da coppie con figli, il 19,4% da coppie senza figli, il 16,5% da famiglie monoparentali composte da madri e figli e il 13,5% da famiglie unipersonali.

Rispetto al reddito delle diverse tipologie di famiglie, i dati dell‟IBGE segnalano che, delle famiglie composte soltanto da una persona, il 32,9% aveva un reddito pro-

capite superiore a 2 salari minimi e solo per il 3,8% era uguale o inferiore a mezzo salario

minimo.176

Dall‟altra parte, tra le famiglie monoparentali solamente l‟11,9% aveva un reddito superiore a 2 salari minimi, e il 28,0% aveva un reddito fino a metà salario minimo. Per questo stesso sottogruppo, dove tutti i figli avevano meno di 16 anni, la percentuale di coloro con mezzo reddito minimo raggiungeva il 42,7%; ciò significa che quasi metà delle famiglie composte solo da madri e figli minori vivevano in una situazione di povertà in Brasile.

Tra le coppie con figli, il 26,6% godeva di un reddito pro-capite fino a mezzo salario minimo e il 14,5% oltre 2 salari minimi. Per le coppie senza figli le proporzioni erano rispettivamente di 10,6% e 26,5%.

Anche in questo caso, come in Italia, l‟incidenza della povertà nelle famiglie brasiliane è più forte in quelle con più figli; cresce ancora di più nelle famiglie monoparentali che dipendono solo dal reddito delle madri. Ciò vuole dire che il reddito della donna è decisivo per la caratterizzazione della situazione di povertà nel paese.

I dati dell‟IBGE dimostrano che, dal 2004 al 2013, è aumentato il divario del reddito tra donne e uomini. Esaminando il reddito del lavoro femminile nelle famiglie composte da donne e uomini, si osserverà un ridotto numero di uomini con un reddito inferiore o uguale al 50% rispetto a quello delle donne, contro uno molto elevato di uomini che guadagnano un reddito uguale o maggiore al 100% di quello delle donne. Se nel 2004, nel 70,6% delle famiglie, gli uomini avevano un reddito uguale o superiore a quello delle donne, nel 2013 la percentuale è salita del 6%, arrivando al 76,3%. Ciò significa che, in meno di dieci anni, il reddito degli uomini è salito, mentre quello delle donne si è ridotto.

Riguardo ai dati su occupazione e situazione lavorativa delle donne, si osservi che, nel 2013, più della metà (3,7) dei 6,5 milioni di disoccupati del paese era costituita da donne, l‟8,3% rispetto al 4,9% degli uomini. Anche il reddito medio delle donne era inferiore a quello degli uomini: nel mercato formale era di R$1.614,00 contro R$2.146,00, mentre nel mercato informale era di R$ 833,00 contro R$ 1.272.

Pur con gli stessi anni di studi, le donne ricevevano meno in confronto agli uomini; i dati dell‟IBGE indicano che, nel 2013, il reddito medio tra le donne con un lavoro formale e con più di 8 anni di studi era pari al 71% di quello degli uomini con gli stessi anni di studi; nel caso di studi inferiori tale divario era ancora maggiore – 79%. Nel mercato informale le donne con 4 anni di studi avevano il 53% di reddito rispetto a quello degli uomini, mentre nel caso di livello di istruzione maggiore, il divario era del 61%.

Inoltre, la proporzione delle donne nei posti di coordinamento e in direzione si è ridotta rispetto agli uomini; nel 2013 arrivava solo al 5,1% tra le donne con 25 anni o più, mentre tra gli uomini era 6,4%. Tale proporzione è salita solo nei posti di coordinamento nei settori legati all‟istruzione, alla salute e ai servizi sociali, dove le donne erano 154.000 rispetto agli 87.000 uomini; tuttavia il reddito medio delle donne corrispondeva addirittura al 58% di quello degli uomini.

Con l‟intenzione di analizzare in maniera più precisa le manifestazioni della povertà in Brasile, tenendo conto che i dati statistici già presentati indicano una più evidente presenza del fenomeno tra le persone di colore nero o mulatto e di sesso femminile, è necessario conoscere i dati specifici sulle condizioni di vita delle donne nere in Brasile.

Al contempo, ci si soffermerà sul Dossiê Mulheres Negras: retrato das condições

de vida das mulheres negras no Brasil,177 elaborato nel 2013 per l‟Instituto de Pesquisa

Econômica Aplicada (IPEA). Le analisi di tale documento sono state condotte

considerando un approccio multidimensionale, ossia in relazione a diverse dimensioni sociali, specialmente quella di genere ed etnia/ “razza”.

Le donne “negre”178 in Brasile rappresentavano, secondo gli ultimi dati del censimento del 2010 – IBGE, un quarto della popolazione, cioè quasi 50 milioni dei

177Nonostante si sia consapevoli che l‟espressione “negra” nella lingua italiana sia stigmatizzante, si è

scelto di mantenerla secondo il criterio di fedeltà. Inoltre, per considerare la lingua come una concezione di mondo, come osservava Gramsci, in tal modo, si utilizza in questa Tesi l'espressione "negra" nel rispetto dei documenti e degli studi dell‟IBGE e dell‟IPEA e per dare voce alla storica lotta dei movimenti dei “negri” brasiliani che utilizzano la detta espressione come concetto che aiuta sia ad analizzare storicamente la costruzione della società brasiliana, sia il processo di empowerment della popolazione di colore.

191,7 milioni totali, essendo le donne brasiliane il 50% contro il 49,3% di donne dichiaratesi bianche. Tuttavia, segnala il dossiê, è stato solamente nel 2008 che il numero delle donne nere è cresciuto rispetto a quello delle bianche. Già nel 2008 si contavano quasi 70.000 nere in più delle bianche, numero che è poi salito a quasi 600.000 nel 2009:

Ciò non significa che sia avvenuto un cambiamento nel tasso di fecondità o di natalità di questi due sottogruppi della popolazione, ma sembra che ci siano una maggiore identità, una valorizzazione e un riconoscimento della popolazione nera come tale. Ossia, c‟è stato un cambiamento nella forma in cui le persone percepiscono e dichiarano la propria “razza” o colore, e ciò certamente ha influenzato l‟inserimento ogni volta più forte nell‟agenda pubblica – sia tramite movimenti sociali, sia tramite interventi dello Stato – degli argomenti di “razza”, etnia, discriminazioni e disuguaglianze. In questo senso, si osserva che l‟approssimazione tra la popolazione negra e bianca, tanto degli uomini quanto delle donne, si verifica, in forma leggera, a partire dal 2001 e, più fortemente, a partire dal 2003 – non per coincidenza, l‟anno dove l‟agenda per la promozione dell‟uguaglianza “razziale” è stata istituzionalizzata nella sfera del governo per la prima volta nella storia del paese.179

Se nelle regioni Nord e Nord Est si osserva la maggiore concentrazione delle donne negre, con una percentuale che arriva rispettivamente al 74,7% e 69,6%, nel Sud e Sud Est si ha la maggioranza di donne bianche, con una percentuale rispettivamente di 79,4% e 57,7%.

Con riferimento alla popolazione nera in Brasile, tale documento segnala che essa tende leggermente a concentrarsi nei gruppi di età più giovani in confronto alla popolazione bianca. Tale realtà è stata riscontrata anche tra le donne “negre”. Mentre il 42,6% delle “negre” aveva 24 anni, le donne bianche con la stessa età erano il 37,1%; esaminando la popolazione dai 60 anni di età in su, si osserva che appena il 10,3% erano donne “negre” e il 14% bianche. «Nonostante sia una piccola differenza, è possibile supporre alcune ipotesi in relazione ai maggiori indici di violenza subìti dai/dalle giovani neri/e e per la maggiore difficoltà di accesso ai servizi sanitari e sociali da parte della popolazioni “negre”. Ciò significa, pertanto, una minore speranza di vita per questa popolazione rispetto a quella bianca».180

quest‟ultima sorge dall‟aggregazione delle categorie nero e mulatto. L‟IPEA afferma che «tale giunzione

non è casuale e ha origine nell‟analisi comparativa degli indicatori sociali per ognuno dei gruppi individualmente. Essi si comportano sempre in maniera simile quando si osservano i dati per neri e mulatti, e radicalmente distinti quando si considerano due gruppi in comparazione a quello dei bianchi. È da quest‟analisi che l‟IPEA (..) ha scelto di lavorare nella contrapposizione delle realtà socio economiche di negri e bianchi». INSTITUTO DE PESQUISA ECONÔMICA APLICADA, Dossiê Mulheres Negras: retrato das condições de vida das mulheres negras no Brasil, Brasília 2013, p.19 (traduzione propria).

179 INSTITUTO DE PESQUISA ECONÔMICA APLICADA, Dossiê Mulheres Negras: retrato das