• Non ci sono risultati.

In questo capitolo saranno analizzate le manifestazioni della povertà nei due paesi esaminando documenti e indagini nazionali italiani e brasiliani, dal momento che lo studio del fenomeno della povertà e delle sue forme di contrasto erogate dallo Stato e della società civile richiede uno sguardo più localizzato.

Appartenente al gruppo di paesi con unISU molto alto sin dagli anni „80, l‟Italia ha mantenuto dal 2011 il valore di 0,872 e, in scala crescente, nel 2013 ha raggiunto la 26a posizione, come indica il Rapporto sullo Sviluppo Umano del 2014.

In termini di disuguaglianza, il suo ISUD ha subìto una grande alterazione: nel 2013 ha raggiunto il valore di 0,768, rappresentando per il paese una perdita globale dell‟11,9% e la discesa di una posizione nella classifica dell‟ISU. Per ciò che riguarda l‟IDG, che nel 2013 aveva un valore di 0,067, l‟Italia è rimasta all'8a

posizione.

In confronto ai livelli internazionali, l‟Italia presenta i livelli di speranza di vita tra i più elevati, con i valori del tasso di mortalità infantile tra i più bassi d‟Europa;139

le condizioni di salute sono in continuo miglioramento. Si osservi anche l‟elevata percentuale di partecipazione dei bambini nella scuola dell‟infanzia o nella scuola primaria, che in Italia raggiunge il 96,8%, valore superiore alla media europea (93,2%). Secondo le stime diffuse da Eurostat, nel 2012, tra i paesi dell‟Unione Europea, l‟Italia era il secondo nella graduatoria della speranza di vita, in modo particolare per gli uomini (79,8 anni), mentre per le donne raggiungeva il terzo posto (84,8 anni).

Benché i dati statistici dei paesi dell‟Unione Europea rivelino che le donne vivono più a lungo rispetto agli uomini, almeno in Italia, le donne trascorrono più anni in peggiori condizioni di salute, essendo tendenzialmente più colpite da malattie meno letali, ma spesso più invalidanti; «in media trascorrono circa un terzo della loro vita in condizioni di salute non buone (32,1%), contro un quarto degli uomini (24,9%)».140 Il divario di genere si vede anche sia in termini di salute fisica sia di benessere psicologico.

D‟altro canto, tra le sue particolarità, in Italia si osserva la storica permanenza di

139 I dati del BES 2014 evidenziano che nel 2011 si registrava un valore pari a 30,9 morti ogni 10.000 nati vivi. I tassi di mortalità infantile sono più elevati in Francia, Germania, Stati Uniti, Canada, Regno Unito. 140

ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA, BES 2014, il benessere equo e sostenibile in Italia, Roma 2014, p.21.

disuguaglianze territoriali e sociali. Le macroregioni (del Settentrione, del Mezzogiorno e del Centro), oltre alla divisione geografica, presentano marcate differenze che si traducono nella qualità di vita della loro popolazione; tali disuguaglianze si riflettono nella concentrazione di disagi nel Mezzogiorno, dove ad esempio si rileva un alto tasso di disoccupazione, povertà, peggiori condizioni di salute (fisica e psicologica), disuguaglianza di reddito, basso livello di istruzione e formazione (quote di diplomati e laureati), elevati indici di ragazzi che non studiano, che non sono inseriti in alcun programma di formazione e che non lavorano (i Neet), ecc.

Risulta che, nel Mezzogiorno, oltre a una vita media più breve in confronto alle altre regioni italiane, si vive per più anni in peggiori condizioni di salute, oppure con limitazioni nelle attività quotidiane, ad esempio «la Campania è la regione in cui mediamente si vive meno a lungo, 78 anni per gli uomini e 82,8 anni per le donne; segue la Sicilia (78,8 anni per gli uomini e 83,2 per le donne)».141

Le donne che vivono nel Mezzogiorno sono quindi più svantaggiate rispetto a quelle del Centro e del Nord. I dati del BES 2014 rivelano che, se gli uomini in Italia possono mediamente vivere 59,8 anni in buona salute, le donne invece ne vivono 57,8. Nel Mezzogiorno tali dati scendono rispettivamente a 57,5 e 54,9 tra gli uomini e le donne.

Nel periodo compreso tra il 2009 e il 2012 è stato osservato l‟aumento del numero di anni vissuti in buona salute in tutte le ripartizioni geografiche, essendo al livello nazionale di 2,1 anni per gli uomini e 2,2 per le donne; benché in questo aspetto le donne del Mezzogiorno non abbiano registrato miglioramenti statisticamente significativi, segnala il BES 2014:

Le stesse disuguaglianze di genere e territoriali si ripropongono se si considera un altro indicatore importante per misurare la qualità della sopravvivenza, la speranza di vita senza limitazioni nelle attività quotidiane a 65 anni. A 65 anni, una donna può aspettarsi di vivere in media altri 21,8 anni, dei quali 9,4 senza limitazioni di autonomia nelle attività quotidiane, per gli uomini il numero di anni da vivere senza limitazioni è simile (9,9 anni), a fronte di un minor numero complessivo di anni ancora da vivere (18,3).142

L‟attuale crisi economica e finanziaria mondiale dai primi anni del nuovo secolo dipende da quella finanziaria esplosa negli Stati Uniti. In Italia si fa risalire al secondo trimestre del 2008, con la verifica della prima caduta del Prodotto Interno Lordo (PIL),

141 Ibidem.

142

ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA, BES 2014, il benessere equo e sostenibile in Italia, Roma 2014, p.23.

anche se nell‟anno precedente già si osservavano i primi segnali di difficoltà delle famiglie:

Sebbene il tasso di occupazione mostri una crescita lieve fino al secondo trimestre 2008, il tasso di disoccupazione tocca il suo minimo del 5,2% già ad agosto 2007 (dato mensile grezzo) ed inizia la crescita che, seppur con alcune oscillazioni, condurrà fino al 12,7% del primo trimestre 2014. Il peggioramento è ancora più pronunciato se si considera l‟aumento degli scoraggiati: nel 2007 anche il tasso di mancata partecipazione al mercato del lavoro delle persone che vorrebbero lavorare ma non svolgono attività di ricerca cambia direzione ed inizia a peggiorare, segnando un +2,8% rispetto all‟anno precedente. Anche la qualità del lavoro mostra segni di cedimento precedenti allo scoppio della crisi: la stabilizzazione dei dipendenti con contratti precari rallenta sia nel 2006 sia nel 2007, e la quota degli occupati sovraistruiti passa dal 15,4% al 18% tra il 2004 e il 2007. Nel 2006 c‟è un lieve aumento del tasso di irregolarità che segue però una forte riduzione nei primi anni del secolo: nel complesso tra il 2001 e il 2007 la percentuale di lavoratori irregolari sul totale degli occupati scende dal 12,2% al 10,3%.143

In questa congiuntura di crisi, le famiglie in Italia hanno iniziato a intaccare i propri risparmi e a indebitarsi per sostenere i consumi, che nel 2012 sono caduti al 4,1% (dati Istat); nello stesso anno per la prima volta è stato necessario un restringimento del 2,9% della ricchezza netta delle famiglie, e la quota di quelle indebitate, che fino al 2008 era inferiore al 2%, ha superato il 7%.

Nonostante gli italiani siano la popolazione con una ricchezza reale netta tra le più alte in Europa, l‟intensità e la persistenza della crisi hanno sia ridotto il valore di questa ricchezza, sia ampliato la disuguaglianza economica, il numero di persone sotto la soglia di povertà e la deprivazione materiale. Contemporaneamente, l‟efficacia degli ammortizzatori sociali e della solidarietà familiare si è gradualmente indebolita. Un fenomeno che si è osservato negli anni 2010-2012 è un considerevole aumento dell’abusivismo, che in percentuale è cresciuto dall‟ 1,7% al 14,2%.

Dati del BES 2014 rilevano come nel 2013 il reddito disponibile aggiustato144 fosse pari a 20.678 euro pro capite, inferiore di circa 50 euro a quello del 2012 e oltre 400 euro a quello del 2011. Comparando anche l‟aumento dei prezzi al consumo, pari al 3% e all‟1,2% negli anni 2012 -2013, è evidente come le famiglie abbiano sofferto una contrazione del loro potere d‟acquisto pro-capite del 12,7% dal 2007 al 2013, a fronte di un aumento dei prezzi al consumo del 13,4%. Ciò si è riscontrato nel crescente ricorso

143 Ivi, p.10. 144

«Comprensivo dei redditi da lavoro dipendente e autonomo, dei redditi da capitale, delle prestazioni sociali - cioè pensioni, cassa integrazione guadagni e assegni familiari - e dei trasferimenti correnti in moneta, al netto delle imposte dirette e dei contributi sociali pagati) degli affitti figurativi e, a differenza del reddito disponibile, delle prestazioni sociali in natura fornite a titolo gratuito dalle Amministrazioni Pubbliche (servizi di istruzione, sanità e di assistenza sociale ricevuti dagli individui e dalle famiglie)». Istituto Nazionale di Statistica, BES 2014, il benessere equo e sostenibile in Italia, Roma, 2014, p. 103.

all‟indebitamento e contenimento nei consumi come calzature, abbigliamento, elettrodomestici e servizi per la casa, nelle spese per il tempo libero e la cultura, e persino nella qualità e/o quantità dei generi alimentari acquistati. «Sono diminuite anche le spese per medicinali, visite specialistiche e dentistiche, segnalando un possibile rischio di abbandono di comportamenti di prevenzione e tempestività nel campo della salute».145

Nel 2013 invece ci sono stati segnali positivi:

È aumentata la propensione al risparmio e, a seguito della diminuzione della quota di persone in famiglie che dichiarano di non poter sostenere spese impreviste, di non potersi permettere un pasto proteico adeguato ogni due giorni o di riscaldare adeguatamente l‟abitazione (risultati legati anche una dinamica inflazionistica più favorevole rispetto a quella del 2012), anche la grave deprivazione mostra una lieve riduzione.146

Oltre a questa realtà, in Italia come in altri paesi dell‟Unione Europea (ad esempio in Spagna, in Grecia, in Lettonia e in Estonia) sono cresciuti gli indici di disuguaglianza di reddito: mentre la media europea raggiunta nel rapporto tra il 20% della popolazione con il reddito più alto e il 20% con il reddito più basso era di 5; in Italia questo valore arrivava a 5,5. Invece l‟indice di concentrazione di Gini, in accordo ai dati del BES 2014, dal 2008 al 2012 è salito al 64% rispetto al 60,7% del 2008.

Seguendo la tradizione dei paesi considerati sviluppati, in Italia la linea di povertà riflette un‟impostazione relativa. Essa è annualmente calcolata dall‟Istat, secondo una soglia convenzionale (linea di povertà) che individua il valore di spesa al di sotto del quale una famiglia è definita povera in termini relativi e assoluti. L‟Istat definisce la spesa familiare dal calcolo netto delle cifre impiegate in «manutenzione straordinaria delle abitazioni, premi pagati per assicurazioni vita e rendite vitalizie, rate di mutui e restituzione di prestiti».147 Essa si sposta di anno in anno a causa della variazione tanto della spesa per consumi delle famiglie, quanto dei loro comportamenti di consumo.

Tale stima diffusa nei report dell‟Istat ha sostituito la precedente indagine sui consumi; così gli attuali indicatori di povertà differiscono da quelli pubblicati fino al 2013 e hanno concesso di estendere l‟analisi del fenomeno sia all‟ampiezza del comune di residenza, sia alla presenza di membri stranieri in famiglia.

L‟Istat ritiene che la soglia di povertà relativa per una famiglia di due membri sia pari alla spesa media mensile per persona nel paese, cioè, alla spesa pro capite, che si

145 ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA, BES 2014, il benessere equo e sostenibile in Italia, Roma 2014, p.97.

146 Ivi, p.94. 147

ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA, Statistiche report, Anno 2014, La povertà in Italia, 15 luglio 2015, Roma 2015, p.14.

raggiunge dividendo la spesa totale per consumi delle famiglie per il numero totale dei membri. Nel 2014 ha assunto un valore di 1.041,91 euro mensili, circa 10 euro superiore in confronto all‟anno precedente. Le famiglie composte da due persone con spese mensili pari o inferiori a tale valore sono classificate come povere.

Per le famiglie composte da più membri è necessario applicare un'opportuna scala di equivalenza, rappresentata da un insieme dei coefficienti di correzione che tiene conto delle economie di scala realizzabili all'aumentare del numero di componenti. Così «la soglia di povertà per una famiglia di quattro persone è pari a 1,63 volte quella di due elementi (1.698,31 euro), la soglia per una famiglia di sei persone è di 2,16 volte (2.250,53 euro)».148

E dopo due anni di aumento - ritiene il Report Statistiche Istat 2014 - l‟indice di povertà relativa in Italia risultava stabile, con una frequenza passata dal 23% al 23,3%. Il fenomeno colpiva il 10,3% delle famiglie e il 12,9,% delle persone residenti, per un totale di 2 milioni 654 mila famiglie e 7 milioni 815 mila persone, tra questi, quasi la metà sono donne (valore di 3 milioni 872 mila), 1 milione 281 mila anziani e 1 milione 986 minori di 18 anni.

Tale dato è dipeso dal leggero miglioramento della condizione delle famiglie con a capo una persona in cerca di occupazione, ove la frequenza con cui la riferita povertà si manifestava. Nonostante ciò, tra i residenti nei piccoli comuni del Mezzogiorno, l‟indice di povertà è passato dal 25,8% al 23,7%, mentre è stato registrato un leggero peggioramento, dal 16,3% al 19,8%, nei grandi comuni riguardo all‟anno precedente.

Fonte: ISTAT, 2014.

L‟intensità della povertà – intesa come indicatore che misura la percentuale di spesa media delle famiglie considerate povere sotto la soglia di povertà, ossia «quanto i poveri sono poveri»149 – nell‟anno 2014, è risultata pari al 22,1%; ciò corrisponde a una spesa media equivalente a 811,31 euro mensili; invece nell‟anno antecedente era di 801,10 euro mensili. Però è necessario considerare anche che il riferito valore cambia in confronto alle regioni italiane; ha assunto, dunque, un valore di 804,03 euro nel Mezzogiorno, caratterizzato come quello di maggiore gravità del fenomeno della povertà nel paese; mentre nel Nord e nel Centro, la media mensile delle famiglie povere è un po‟ più elevata, essendo rispettivamente di 818,28 e 835,71 euro.

Infatti, l‟Italia presenta una marcata differenza territoriale anche riguardo alle offerte di servizi, occupazioni e strutture e, come detto precedentemente, ciò tende a riflettersi nella manifestazione della povertà nelle sue regioni.

Se in quelle del Nord l‟incidenza di questo fenomeno assume i valori più bassi, tanto riguardo alla macroregione in sé, che arriva ad una percentuale di 4,9%, quanto alle specifiche regioni ad esempio in Trentino Alto Adige, in Lombardia e in Emilia- Romagna con percentuali di 3,3%, 4% e 4,2% rispettivamente; nelle regioni del Mezzogiorno l‟incidenza può raddoppiare in confronto a quella nazionale (10,3%), essendo del 21,1%, 25,2% in Sicilia, 25,5% in Basilicata e 26,9% in Calabria.

Alla dimensione geografica della manifestazione della povertà nel paese si aggiunga l‟elemento dell‟ampiezza della famiglia e persino la componente dell‟età, per cui quanto maggiore è il suo numero di componenti e/o la presenza di figli minori di 18 anni e di anziani, tendenzialmente sarà maggiore l‟incidenza della povertà. Infatti, nel 2014, il 28% delle famiglie italiane con cinque o più membri, rivela il riferito Report Istat, risultava in condizione di povertà relativa; la percettuale saliva a 36,8% fra quelle che vivono nelle regioni del Mezzogiorno:

Si tratta per lo più di coppie con tre o più figli e di famiglie con membri aggregati, tipologie familiari tra le quali l‟incidenza di povertà a livello nazionale è pari, rispettivamente, al 27,7% e al 19,2% (35,5% e 31% nel Mezzogiorno). Il disagio economico si fa più diffuso se all‟interno della famiglia sono presenti figli minori: l‟incidenza di povertà, pari al 14% tra le coppie con due figli e al 27,7% tra quelle che ne hanno almeno tre, sale, rispettivamente, al 18,5% e al 31,2% se i figli hanno meno di 18 anni. Il fenomeno, ancora una volta, è particolarmente evidente nel Mezzogiorno, dove è povero oltre il 40% delle famiglie con tre o più figli minori.150

Riguardo alle persone di riferimento, le famiglie in Italia che hanno a capo una

149 ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA, Statistiche report, Anno 2014, La povertà in Italia, 15 luglio 2015, Roma 2015, p.3.

persona più giovane, con età fino a 35 anni, un tasso d‟incidenza della povertà di 14,3% e un livello di istruzione più basso (15,4%), sono più povere in confronto a quelle con a capo un individuo più anziano (tasso d‟incidenza della povertà di 8% tra quelle con capo una persona tra 55 a 64 anni) e almeno diplomato (6,2% tra le famiglie con persone di riferimento con licenza media superiore e oltre).

L‟incidenza della povertà relativa cambia anche in rapporto alla condizione e alla posizione professionale delle persone di riferimento, essendo così meno diffusa tra quelle di imprenditori e liberi professionisti (tasso di 3,7%) e decisamente superiore tra le famiglie con a capo un operaio o simili (15,5%); tuttavia essa arriva al 23,9% tra quelle con a capo un individuo in cerca di occupazione. Nel Mezzogiorno il riferito tasso è del 29,5%.

Oltre alla ripartizione geografica, la rilevanza della povertà relativa cambia anche in base alla tipologia del comune di appartenenza, essendo maggiore in quelli piccoli (11,7%) e minore nelle aree metropolitane (6,9%). «Se nel Mezzogiorno si ripropone quanto osservato per l‟Italia nel suo complesso (23,7% contro 12,3%), nel Nord l‟incidenza nelle aree metropolitane (7,6%) è leggermente superiore a quella dei piccoli comuni (4,9%)».151

I dati statistici dimostrano anche che le famiglie con stranieri sono più povere in termini relativi rispetto a quelle composte da soli italiani; l‟incidenza è dell‟8,9%, arriva al 19,1% tra le miste e 28,6% tra famiglie composte da soli stranieri. Nonostante il manifestarsi del fenomeno della povertà relativa tra le famiglie di soli stranieri sia più forte nelle regioni del Mezzogiorno (46,7%), le disuguaglianze tra italiani e stranieri sono molto più evidenti nel Centro-nord: «Nel Nord e nel Centro l‟incidenza di povertà tra le famiglie di soli stranieri è di oltre 6 volte superiore a quella delle famiglie di soli italiani, nel Mezzogiorno è circa il doppio».152

Riguardo alla misurazione della soglia di povertà assoluta l‟Istat considera come principale indicatore la spesa familiare con un paniere relativo ad alcuni bisogni primari, rappresentato dall‟«insieme dei beni e servizi che, nel contesto italiano, vengono considerati essenziali per una determinata famiglia per conseguire uno standard di vita minimamente accettabile».153 È, dunque, formato da:

151 ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA, Statistiche report, Anno 2014, La povertà in Italia, 15 luglio 2015, Roma 2015, p.11.

152

Ivi, p.12. 153 Ivi, p.9.

 “componente alimentare e abitazione”: il valore monetario attribuito alla quantità nutrizionale riguardo a un modello alimentare di riferimento di cui gli individui hanno bisogno per condurre una vita “normale”. Per la “componente abitazione” è stata considerata la stima della spesa per affitto, incluso energia elettrica, riscaldamento, acqua calda e telefono.

 “componente residuale”: la spesa necessaria a vestirsi, sportarsi sul territorio, svagarsi, espressa come “spesa residuale”, oltre alle spese di base per la salute e per l‟istruzione.154

In questa forma la composizione lineare dei tre segmenti fornisce un paniere di riferimento per ogni tipologia familiare; ciò significa che le famiglie povere in termini assoluti sono quelle il cui livello di spese mensili è minorerispetto alla soglia definita per la loro ampiezza.

Il valore della soglia di povertà varia in base alla dimensione della famiglia, alla sua composizione per età dei suoi membri, alla ripartizione geografica e all‟ampiezza demografica del comune di residenza. Questo indirizzo tende a rendere la misurazione della povertà assoluta fatta dall‟Istat più vicina ai fabbisogni essenziali delle famiglie italiane.

Nel 2014 la soglia mensile di povertà assoluta di una famiglia di due persone con un‟età compresa tra i 18 e i 59 anni, residente in un‟area metropolitana del Nord, corrispondeva a 1078,82 euro; tale valore sarebbe stato ridotto a 1066,30 e 862,60 euro nel caso in cui la stessa famiglia avesse vissuto rispettivamente nell‟area metropolitana del Centro o del Mezzogiorno.

Il Report dell‟Istat dimostra che, nel 2014, vivevano in condizione di povertà assoluta in Italia 1 milione 470 mila famiglie, circa il 5,7% delle famiglie residenti, 4 milioni e 102 mila individui, e cioè il 6,8% dell‟intera popolazione.

Fonte: ISTAT, 2014.

Come la povertà relativa, anche quella assoluta assume più incidenza nel Mezzogiorno (1 milione 866 mila persone residenti, rappresentanti il 9%); tra le donne arriva a un totale di 2 milioni 44 mila (circa il 50%) con un‟incidenza di 6,6%, di cui 1 milione 45 mila sono minori di 18 anni (tasso d‟incidenza di 10%); 857 mila persone con età compresa tra 18 e 34 anni (8,1%) e 590 mila gli anziani (4,5%):

Dopo due anni di crescita, nel 2014 l‟incidenza di povertà assoluta è rimasta stabile; se infatti si tiene conto dell‟errore campionario (3,8%), tale incidenza è compresa tra il 5,3% e il 6,1%, con una probabilità del 95%. Nei confronti spazio-temporali è necessario tenere conto dell‟errore campionario, poiché limitate differenze tra i valori osservati nel campione possono non essere statisticamente significative (ovvero non diverse da zero nella popolazione) proprio in ragione di tale errore.155

L‟intensità nazionale della povertà assoluta si mantiene stabile: era del 18,8% nel 2013 ed è arrivata al 19,1% nell‟anno successivo. Per quanto riguarda l‟incidenza degli individui per sesso ed età nel 2014, la povertà assoluta colpisce in maniera pressoché uguale sia uomini che donne, assumendo rispettivamente un valore del 7,0 e 6,6; invece risulta più frequente tra i giovani con meno di 18 anni (10,0).

Nonostante i miglioramenti in confronto al 2013, la povertà assoluta nel 2014 incide più tra le famiglie composte da 5 o più componenti (16,4%), con 3 o più figli (16%), minori o non (18,6%). L‟incidenza diminuisce all‟aumentare dell‟età della persona di riferimento (assume un valore di 8,3 nelle famiglie con a capo un individuo che abbia fino a 34 anni; mentre in quelle con a capo un soggetto tra i 55 e i 64 anni, il riferito valore è 4,5) e anche del suo titolo di studio (8,4 per quelle con a capo una

155

ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA, Statistiche report, Anno 2014, La povertà in Italia, 15 luglio 2015, Roma 2014, p.2.

persona con nessun titolo o licenza elementare, e 3,2 per le famiglie che hanno a capo una