A partire dalla seconda metà degli anni ’90 l’Italia, come altri Paesi europei, è stata inte-ressata da una progressiva deregolamentazione del mercato del lavoro, emersa come reazione alla persistenza di tassi di disoccupazione elevati ed alla crescente pressione competitiva internazionale. Nel nostro paese il processo di deregolamentazione è stato parziale e realizzato essenzialmente attraverso l’introduzione di forme contrattuali atipiche a tempo determinato (si veda la tabella 1).
Tab. 1 - Riforme della normativa sui contratti a termine
Descrizione delle riforme 1983-1984 Introduzione dei contratti part-time e di formazione (1983-84)
1994-1995 Estensione dei contratti di formazione da una gamma più ampia di situazione e introduzione dei contratti di collaborazione 1997-1998 “Pacchetto Treu”: introduzione di nuove tipologia di contratti atipici; nuova disciplina del lavoro interinale 2003 Legge 30: introduce nuove forme di contratti a termine, estende l’utilizzo di forme di lavoro interinale Tale processo duale di “flessibilizzazione” del mercato del lavoro emerge chiaramente dall’andamento degli indicatori di regolamentazione del mercato del lavoro (EPL) ela-borati dall’OCSE e riportati nella tabella 2, che mostrano un decremento sostanziale dell’indicatore associato alla regolamentazione dell’utilizzo di forme di lavoro a termine a partire da metà degli anni 90 (colonna 1), mentre l’indicatore di regolamentazione dei contratti a tempo indeterminato è rimasto sostanzialmente inalterato (colonna 2 per la regolamentazione dei licenziamenti individuali e colonna 3 per quanto riguarda i licenziamenti collettivi).
67 capitolo 2 › nuovi paradigmi economici
Tab. 2 - Evoluzione degli indicatori di regolamentazione del mercato del lavoro in Italia (1980-2010) e quota dei contratti a termine (sul totale occupazione)
EPL licenziamenti individuali(a) EPL licenziamenti collettivi (b) EPL contratti a termine(c) Quota contratti a termine(d) 1980-1986 1.77 - 5.38 5.24 1987-1992 1.77 - 5.38 5.93 1993-2000 1.77 4.88 4.60 8.07 2001-2008 1.77 4.88 1.99 11.63
Fonte: OCSE; Indicators of Employment Protection database, 2008
Nota: (a) EPL licenziamenti individuali: misura il costo economico dei licenziamenti individuali e include le restrizioni legali al licenziamento (scala: 0-6). (b) EPL sui licenziamenti collettivi: misura i costi e le procedure da sostenere nel caso di licenziamenti collettivi in aggiunta ai costi sui licenziamenti individuali (scale: 0-6). (c) EPL contratti a termine: misura le restrizioni nell’utilizzo dei contratti a termine da parte delle imprese, in relazione alla tipologia di utilizzo e alla possibilità di rinnovo (scala: 0-6). (d) Quota dei contratti a termine sull’occupazione complessiva. I contratti termine includono contratti a tempo determinato, contratti di agenzia e alte forme di lavoro a termine subordinato. L’effetto di tali riforme è stato un aumento sostanziale nell’utilizzo dei contratti a termine (tabella 2, colonna 4), la cui quota sul totale dell’occupazione è passata dal 5.24% del periodo pre-riforme al 12% nel periodo 2001- 20084. L’utilizzo sempre maggiore di forme contrattuali a termine è stato la risposta del sistema produttivo italiano ad un eccessiva rigidità delle forme contrattuali regolari a tempo indeterminato. Tuttavia il ricorso a forme di lavoro flessibili viene considerato come una delle cause del declino della produttività che ha interessato l’economia italiana negli ultimi 10 anni5. L’utilizzo massiccio di contratti a termine ha creato incertezza e scarso attaccamento al lavoro da parte dei dipendenti da un lato e una minor impegno da parte delle imprese in termini di qualificazione della manodopera e di offerta di formazione. Inoltre i relativi vantaggi in termini di costo dei lavoratori a termine, hanno fatto sì che la creazione di posti di lavoro fosse confinata ad occupazioni a bassa produttività con effetti negativi sulla produttività aggregata. Se quindi le imprese hanno avuto temporanei benefici dalla disponibilità di forme contrattuali più flessibili e meno costose, nel medio periodo ciò ha comportato perdite in termini di profittabilità e produttività nonché una relativa dequalificazione del capitale umano, soprattutto in certi segmenti della popolazione.
4. La definizione Eurostat/OCSE in base alla quale vengono calcolate le statistiche riportate in tabella 2, indica come temporanei quegli impieghi che hanno una durata contrattualmente determinata (una data o il completamento di un incarico assegnato), restringendo l’analisi alla sola occupazione dipendente. Se a questi si sommano i lavoratori parasubordinati: i cosiddetti co.co.co., ma anche i prestatori d’opera occasionale e i lavoratori autonomi con partite Iva ma in condizione di subordi-nazione, si ottiene che il lavoro atipico, accomuna nel 2006 circa 3 milioni degli occupati, il 13,3 per cento dell’occupazione totale (Dell’Aringa, 2009). La percentuale di lavoro atipico tra i giovani sale al 25%.
Come si colloca l’Italia rispetto agli altri Paesi europei in termini di tutela dei lavoratori? La figura 4 riporta l’indicatore OCSE di regolamentazione del mercato del lavoro per i Paesi EU 156. Sulla base di tale indicatore l’Italia si colloca in una posizione intermedia rispetto ai Paesi appartenenti all’area EU 15 non discostandosi significantemente dalla media europea (l’indicatore complessivo assume valore 2.58 per l’Italia e 2.46 è il valore medio per i Paesi EU 15), tuttavia ponendosi in termini di rigidità ben al di sopra dei Paesi anglosassoni (+1.20 punti) e dei Paesi nordici quali Finlandia e Danimarca (+0.60 punti). 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3 3,5 4
LUX SPA FRA GRE POR GER BEL ITA EU_15 AUS FIN NET SWE DEN IRE UK
EPL_indeterminato EPL_collettivi EPL_determinato
media OCSE
Fig. 4 - Indicatore di regolamentazione del mercato (EPL) media 2001-2008
Fonte: OCSE; Indicators of Employment Protection database, 2008
Se si considerano nello specifico gli indicatori di regolamentazione dei contratti a tempo indeterminato (figura 5), il gap tra l’Italia e i Paesi nordici e anglosassoni rimane immu-tato (+0.61 e +0.94 punti rispettivamente). Le norme a protezione del lavoro contro
6. L’indicatore EPL di regolamentazione del mercato del lavoro elaborato dall’OCSE, varia da 0 (mini-mo grado di regolamentazione) a 6 (massi(mini-mo grado di regolamentazione) e tiene conto dei costi economici e amministrativi dei licenziamenti individuali, collettivi e le limitazioni legali nell’utilizzo dei contratti a termine. Ciascuna delle tre componenti concorre nella determinazione di un indi-catore di regolamentazione complessivo sulla base dei seguenti pesi: 5/12 (EPL licenziamenti individuali), 2/12 (licenziamenti collettivi) e 5/12 (regolamentazione contratti a termine). Per una descrizione dettagliata dell’indicatore OCSE vedi Venn (2009).
69 capitolo 2 › nuovi paradigmi economici
i licenziamenti collettivi sono particolarmente stringenti in Italia relativamente agli altri Paesi europei, e a tal riguardo l’Italia si colloca in cima alla graduatoria europea, con un valore dell’indicatore pari a 4.88 (+2 rispetto ai Paesi anglosassoni e +1.50 rispetto ai Paesi nordici). Per quanto riguarda la regolamentazione di licenziamenti individuali il gap di flessibilità dell’Italia appare essere meno accentuato, anche se l’indicatore EPL tende a sottostimare il costo derivante dall’incertezza in termini sia di esito che di lun-ghezza del procedimento in caso di ricorso al tribunale (Venn, 2009). Sulla base dei dati OCSE, in Italia il tempo medio necessario per concludere un processo in materia di lavoro è di 2 anni, contro circa 12 mesi in Francia e 4 mesi in Germania.
0,00 0,50 1,00 1,50 2,00 2,50 3,00 3,50
GER POR LUX SWE NET ITA SPA BEL GRE EU_15 AUS FRA FIN DEN IRE UK
EPL_indeterminato EPL_collettivi
Media OCSE
Fig. 5 - Indicatore di regolamentazione del mercato (EPL) per i contratti a tempo indeterminato, media 2001-2008
Fonte: OCSE; Indicators of Employment Protection database, 2008