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Una rappresentanza politica eccentrica

Nel documento Stampa: Rubbettino Print (pagine 39-42)

Se si guarda al sistema complessivo della rappresentanza italiana dal punto di vista della nuova governance europea, non si può non rimanere stupiti dalla sua eccentricità.

Cominciamo dai partiti e più generalmente dalla rappresentanza politica. Negli ultimi vent’anni, nonostante i cambiamenti colossali intervenuti con la fine della Guerra Fredda, la democrazia italiana non è riuscita a dotarsi di strumenti partitici capaci di organizzare la competizione politica all’interno dello spazio (di per sé grande) definito dalle necessità di quella governance europea. Il precedente sistema di partito, crollato drammaticamente

all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso (Fabbrini 2000), non è stato sostituito da un nuovo sistema di partito coerentemente europeo. Il vuoto lasciato dai partiti ideolo-gici del passato è stato riempito da partiti personali, o meglio da gruppi di politici alleati per conseguire il controllo dell’una o dell’altra spoglia pubblica. Privi di referenti europei, motivati da rivalità personali, portavoce di lobbies funzionali e territoriali, i politici dell’Italia post-Guerra Fredda, con le dovute eccezioni, si sono dimostrati preoccupati di promuove-re il loro controllo del sistema pubblico piuttosto che di cpromuove-reapromuove-re l’infrastruttura istituzionale per far crescere il Paese. Se nel passato i grandi partiti di massa avevano aggregato gli interessi particolari in una prospettiva politica giustificata ideologicamente, a partire dagli anni Novanta del secolo scorso sono stati gli interessi particolari ad usare i partiti perso-nali per raggiungere i loro obiettivi. La legge elettorale approvata dal centro-destra nel 2005, e nota come porcellum, ha portato alle estreme conseguenze questo processo

di personalizzazione e parcellizzazione della politica, ma non lo ha creato in quanto tale. È un’opinione unanime tra gli osservatori che, quello eletto nel 2008, sia un Parlamen-to inadeguaParlamen-to rispetParlamen-to ai compiti che dovrebbe assolvere. Le decisioni sono monopoliz-zate dai leader di partito, non pochi parlamentari hanno una scorsa o nulla conoscenza dei problemi delle principali politiche pubbliche, il dibattito che si svolge al suo interno è caratterizzato più dalle acrimonie personali che dai confronti ideali o programmatici. Il Parlamento, che era centrale nel sistema di governo del periodo della Guerra Fredda, è stato di fatto sospeso. I veti reciproci tra i gruppi parlamentari hanno impedito di indi-viduare linee d’azione condivise per affrontare le grandi questioni istituzionali e sociali del Paese. Anche se il consenso non fatica a formarsi quando si tratta di preservare i vantaggi individuali e di gruppo derivanti dal seggio parlamentare (in termini di inden-nità, pensioni, contributi, fringe benefits, rimborsi elettorali), vantaggi che non hanno

equivalenti nelle altre democrazie europee. Anche in questo, perché la condizione dei nostri parlamentari non è stata equiparata a quella dei parlamentari dei paesi con noi comparabili? Insomma, pur all’interno di un’Europa integrata, la nostra classe politica parlamentare ha continuato a pensare a sé stessa come un gruppo sociale isolato dal resto del continente.

Certamente, al declino decisionale del Parlamento è seguita la crescita istituzionale del governo (ed in particolare della Presidenza del Consiglio). Si potrebbe dire che finalmente anche l’Italia è entrata nella famiglia delle democrazie a centralità gover-nativa (che sono poi tutte le maggiori democrazie occidentali), dopo aver frequentato

per decenni la famiglia delle democrazie a centralità parlamentare (che sono poche, generalmente di piccole dimensioni, sicuramente divise). Peraltro, le democrazie a centralità governativa sono generalmente democrazie responsabili, mentre quelle a centralità parlamentare sono necessariamente irresponsabili (in quanto le decisioni più importanti che le concernano, come quelle di politica estera e militare, sono prese da altri, all’interno di un sistema di alleanze oppure in una relazione di protezione). Tuttavia, nel nostro Paese, l’ascesa istituzionale del governo ha continuato a poggiare su fragili basi politiche.

La competizione bipolare finalmente acquisita (e che ci ha reso simili alle grandi democrazie europee) è stata costantemente ipotecata da una strutturazione incoeren-te e frazionata delle due principali coalizioni. Ciò ha dato vita non solamenincoeren-te ad un bipolarismo litigioso, ma soprattutto ad un bipolarismo frammentato4. Ciò che è risul-tato necessario per vincere le elezioni (mettere insieme il maggior numero di gruppi e gruppetti, di interessi funzionali e particolari), si è rivelato un handicap drammatico

dopo le elezioni. In particolare sul versante del centro-sinistra ma anche su quello del centro-destra (nonostante il secondo, al contrario del primo, disponesse di un leader unificante, anche per l’imponenza delle risorse personali di cui ha potuto disporre), i governi si sono rivelati incapaci di governare. La persistenza del precedente sistema isti-tuzionale (bicameralismo simmetrico, indipendenza dei ministri dal capo del governo, farraginosità delle procedure parlamentari, inesistenza di regole severe per disciplinare il riconoscimento o la formazione dei gruppi parlamentari) coniugata con un sistema di partito semi-strutturato ha inevitabilmente condotto a ricorrenti conflitti interni alla maggioranza (tra il capo del governo e l’uno e l’altro ministro, tra il capo del governo e il presidente della Camera espresso dalla sua stessa maggioranza, tra i vari leader dei gruppuscoli o fazioni di quest’ultima), più che tra governo e opposizione. Per di più, l’esistenza di un terzo polo ha inevitabilmente complicato il confronto tra governo ed opposizione, con l’esito che si sono indeboliti sia l’uno che l’altra.

Insomma, in vent’anni, e nonostante gli incentivi (seppure contradditori) della prima riforma elettorale maggioritaria (plurality) basata su collegi uninominali (utilizzata tra

le elezioni del 1994 e quelle del 2001), il nostro sistema di partito ha continuato a rimanere incredibilmente italo-centrico. I leader politici e le loro organizzazioni hanno continuato a guardare a sé stessi sulla base di una prospettiva parrocchiale (più che nazionale), si sono preoccupati di massimizzare le loro posizioni all’interno del sistema pubblico, si sono trasformati in veri imprenditori politici per acquisire risorse sia cen-tralmente che localmente, ma non hanno fatto l’unica cosa che avrebbero dovuto fare: creare un sistema di partito nazionale coerente con quello europeo. Così, sul centro-destra, abbiamo avuto partiti in feroce contrapposizione a Roma ma membri dello stesso Partito popolare europeo a Strasburgo (dove risiede il Parlamento Europeo). Oppure, sul centro-sinistra, si sono formati partiti che tenevano insieme componenti

41 capitolo 1 › nuovi paradigmi politici

che a loro volta hanno continuato a dividersi nel sistema di partito del Parlamento Europeo (tra i Liberal Democratici e i Socialisti poi divenuti Socialisti e Democratici). In vent’anni non è emerso un solo statista capace di adeguare l’Italia alle esigenze

della governance europea. La nostra influenza è stata limitata non solo nel Consiglio

Europeo ma anche nel Parlamento Europeo, oppure nelle altre istituzioni in cui si sono prese (e si prendono) le principali decisioni. Così, se si considera il legislativo bicamerale dell’Unione Europea basato sulla co-decisione delle leggi da parte sia del Consiglio dei ministri che del Parlamento Europeo, la debolezza dei nostri governi ci ha reso inevitabilmente irrilevanti nel primo e la confusione ed eccentricità del nostro sistema partitico ci ha reso poco significativi nel secondo.

È sufficiente un governo tecnico provvisorio per risolvere una deficit così strutturale di

influenza? Anche in questo caso, se non si cambia il paradigma di riferimento, avremo di fronte a noi un destino di inevitabile irrilevanza politica in Europa. Ma anche di incer-tezza in Italia. Siamo dovuti ricorrere al governo dei tecnici per l’impossibilità a garantire un’alternanza accettabile per l’Europa. Ed è proprio l’Europa che continua ad essere la principale discriminante all’interno degli schieramenti politici che si sono formati nella prima metà degli anni Novanta. C’è un partito anti-europeo nel centro-destra, come c’è un partito analogo nel centro-sinistra. Nessuna coalizione che abbia una simile divisio-ne interna potrà mai governare l’Italia in modo coerente ed adeguato. E d’altra parte, se non si risolvono quelle divisioni, l’Europa finirà per essere l’equivalente funzionale della Guerra Fredda, quando la discriminante democratica obbligò il sistema partitico ad escludere dal governo le forze che (a sinistra e a destra) perseguivano l’obiettivo di un cambiamento del sistema (un obiettivo reso particolarmente concreto dal sistema di alleanze geo-politiche a cui la principale di quelle forze, il Partito comunista, faceva riferimento). È paradossale che sia l’esigenza di avere un governo accettabile a Bru-xelles a spingere il nostro sistema politico verso la formazione di un grande centro

politico che, escludendo gli anti-europeisti di destra e di sinistra, si connota come l’u-nico legittimato e capace a governare. Un esito paradossale, ma che potrebbe rivelarsi inevitabile, dopo che le maggiori forze politiche si sono consentite di pensare sé stesse

per anni a prescindere dal contesto europeo. Così, invece di uniformarci alla logica

propria delle grandi democrazie europee, logica che incentiva l’alternanza al governo tra partiti o coalizioni distinte, l’Italia rischia di ritornare al suo passato di immobilismo centrista (Scoppola 1997).

Se la democrazia italiana vuole preservare la logica dell’alternanza, allora sarà neces-sario che entrambi gli schieramenti riconoscano il nuovo contesto della competizione politica, quello del sistema politico dell’Unione Europea, per poi dividersi su una diver-sa interpretazione dei vincoli e delle opportunità propri di quest’ultimo. L’Italia si diver-sarà dotata di un sistema di partito europeo, solamente quando il contrasto tra le principali forze politiche sarà su quale Europa si vuole e non già se stare o meno in Europa.

Nel documento Stampa: Rubbettino Print (pagine 39-42)