Cap 3. MODELLO TEORICO ED IDENTITÀ PROFESSIONALE DEL DIRIGENTE SCOLASTICO IN ITALIA
3.1 Il modello teorico e la corrispondenza delle funzioni svolte dal capo d’Istituto in Italia
Dopo aver analizzato nel capitolo precedente i vari modelli organizzativi con le loro caratteristiche, strumenti e strategie applicative, che possono essere presi in considerazione anche per l’ambito scolastico, in questo capitolo ho cercato di delineare il modello organizzativo del contesto italiano.
In Italia a partire dal 1923 con la riforma di Gentile, centralista, gerarchizzata, selettiva, è stato applicato il modello organizzativo burocratico.
Dal modello organizzativo burocratico utilizzato anche nell’istituzione scolastica italiana è stato possibile ricavare le seguenti caratteristiche: sono presenti burocratizzazioni sia a livello di sistema (accentramento) che di gerarchizzazione interna e di divisione specialistica del lavoro (decentramento).
A livello di sistema, ancora oggi prevale un’organizzazione piramidale al cui vertice c’è il Ministero
dell’Istruzione che determina le leggi i regolamenti ed i decreti e a cui tutte le componenti sono tenute ad attenersi nello svolgimento delle proprie funzioni. Quindi una piramide che dal vertice alla base diventa sempre più pervasiva. A livello intermedio ci sono gli uffici periferici con funzioni di controllo e gestione territoriale delle istituzioni scolastiche. Alla base del sistema ci sono le singole scuole. I tre segmenti sono organi della pubblica amministrazione posti in posizione gerarchica dipendenti l’uno dall’altro per la gestione delle risorse umane e finanziarie, per il funzionamento e per i programmi scolastici.
A livello di gerarchizzazione interna del singolo istituto scolastico troviamo in posizione di predominanza
la figura del capo d’istituto.
A lui sono affidati i compiti di controllo, sovraintendenza ed indirizzo di tutte le attività da svolgere nell’istituto da parte di insegnanti e studenti. Accanto alla linea di government del capo d’istituto, c’è quella del dirigente amministrativo che ha compiti di controllo e sovraintendenza sul personale di segreteria e sui collaboratori scolastici che svolgono funzioni di sostegno alle varie attività dell’istituto.
In questo modello di organizzazione gerarchico burocratico e piramidale, si può osservare chiaramente la distinzione dei ruoli, la divisione dei compiti di lavoro o attività, la scansione temporale degli orari per lo svolgimento della didattica, la funzionalità adibita a ciascuno spazio presente nell’istituto, l’organizzazione del comportamento del personale e degli alunni, le modalità di svolgimento delle lezioni, degli scrutini e degli esami. L’utilizzo di elementi comuni a tutti gli istituti servirebbero a garantire omogeneità.
Durante il periodo della riforma gentiliana anche il prodotto istruzione era omogeneo, poiché i contenuti, le finalità ed i mezzi utilizzati erano uguali per tutti, e contribuivano a rinforzare la standardizzazione delle procedure e dei contenuti, determinando una burocrazia meccanica, che ha cominciato a mostrare le sue criticità, con l’avanzare delle istanze di modernità dello Stato Nazionale.
Soprattutto in Italia, per circa un ventennio, l’impostazione di Gentile di tipo burocratica, non ha subito nessun cambiamento sul piano pedagogico, strutturale ed organizzativo, mentre negli altri paesi europei cominciavano ad affermarsi nuove concezioni tra cui quelle di Gouldner (1954) e Mintzberg (1979).
Nel periodo post bellico tra il 1947 e gli anni ’80, anche in Italia, c’è stata una forte ripresa economica e sociale influenzata, dal clima politico nazionale ed internazionale di riforme orientate e da una aumentata stabilità. In questi anni caratterizzati dal processo di modernizzazione del Paese, anche nella scuola italiana si sono fatte avanti nuove necessità nel rivedere i rapporti di potere e di partecipazione all’interno dell’organizzazione, ed i Decreti delegati del 1974 (Istituzione degli organi collegiali) sono stati un primo passo importante verso il processo di democratizzazione e partecipazione sociale alla vita della scuola, a cui
37 gli stessi capi d’Istituto hanno dovuto tuttavia adeguarsi, riconoscendo che la loro autorità rischiava di essere indebolita a favore della collegialità e della componente umana, fino ad allora poco considerata.
Dagli anni ’90, è cominciata una nuova fase di produzione normativa. Il D.lgs n. 300/99 ha segnato un passaggio importante dal Ministero dell’amministrazione al Ministero del governo della scuola MIUR, con compiti di indirizzo, impulso, controllo e coordinamento, attraverso la determinazione dei livelli di prestazione del servizio, indicazioni di standards e di linee guida. In questo processo di riforme anche il governo della scuola è stato concepito nell’ottica del decentramento e delle autonomie locali.
Se la riforma Gentile aveva profilato la gestione di un sistema scolastico organizzativo chiuso e burocratico, i Decreti delegati hanno segnato l’inizio di un sistema scolastico organizzativo aperto, tanto da arrivare ad accettare la seguente definizione:
“La scuola viene intesa come servizio pubblico e come impresa educativa” (Gigante, in Benadusi e Serpieri (a cura di) 2000:206). Tuttavia per completare tale dichiarazione, ho considerato interessante riportare all’attenzione un aspetto già evidenziato da Benadusi, secondo cui nel decentramento
istituzionale “l’indebolimento della figura del capo d’istituto e l’assenza di articolazioni di ruoli nelle scuole italiane, insieme ai limiti che di fatto incontra il principio della collegialità, sembrano contribuire a una fragilità strutturale dei nostri istituti scolastici, che mal si concilia con un rafforzamento della loro autonomia.[…] l’autonomia responsabile e competitiva […] dovrà infatti poter contare su una maggiore flessibilità nella gestione delle risorse umane, cioè su una più ampia facoltà di governare il reclutamento, la carriera, la mobilità degli insegnanti, in funzione del miglioramento dei risultati. (Benadusi 1997: 502)
Dunque, servizio pubblico, impresa educativa, ma con delle potenziali fragilità strutturali e con delle ricadute diversificate sul piano organizzativo, che rendono l’autonomia stessa non sempre efficace o realizzabile.
Come si può dedurre, l’ “attenzione per l’istituto scolastico come entità autonoma e fonte di innovazione comporta, ovviamente, un forte interesse per il ruolo del dirigente scolastico” (Cornacchia 2009:25), ciò nonostante, se consideriamo gli aspetti presenti nell’analisi di Cornacchia, seguendo l’ argomentazione di Drago (1996), possiamo arrivare a condividere il fatto che: “In Italia [è] mancata una decisione politica o amministrativa in grado di innescare processi di cambiamento di sistema tali da coinvolgere il mondo accademico e la ricerca, o da stimolare una domanda di supporto e consulenza finalizzata all’innovazione della gestione delle istituzioni scolastiche” (idem:27). E’ venuta a mancare nei capi d’istituto italiani una formazione specifica sulla cultura organizzativa, come invece avviene in altri paesi europei, dove la formazione per i capi d’istituto è ormai affidata a specifici percorsi universitari.
Verrebbe da chiedersi, a distanza di circa venti anni dal DPR 275/99, quali sono stati gli effetti più significativi dell’autonomia nella scuola e come quest’ultima abbia inciso sul ruolo dei Dirigenti scolastici.
In questi anni l’autonomia è divenuta un grande catalizzatore delle riforme e delle innovazioni nel sistema scolastico, perché ha creato un punto di rottura tra il vecchio ordine istituzionale e le istanze di trasformazioni internazionali, nazionali e locali, orientate verso le prospettive di cambiamento, sia a livello di sistema che nella definizione, delle micropolitiche e della governance dell’istituto scolastico.
Nella scuola dell’autonomia si è scoperta sempre più la necessità di sviluppare una mentalità progettuale, innovativa e cooperativa, implicando cambiamenti significativi nella struttura organizzativa, nella struttura curricolare, nel ruolo della dirigenza.
In queste incessanti trasformazioni, il dirigente scolastico, per uscire dall’autoreferenzialità e dall’isolamento, ha cercato di costruire una scuola innovativa intesa come comunità, attraverso, la continua revisione della scuola tradizionale, l’adesione alla logica del lavoro in rete, il lavoro incisivo su diverse aree con i genitori, con il contesto ambientale e con gli studenti; ma ai suddetti tentativi non sempre sono coincisi reali e significativi cambiamenti.
In nome dell’Autonomia si sono sviluppate anche diverse forme di sperimentazioni organizzative scolastiche, a cui sono corrisposti diversi profili di capo d’istituto e campi di azione, non sempre supportati dal mondo accademico e della ricerca.
La documentazione di riferimento ci ha proposto un’ampia gamma di tessuti organizzativi e stili dirigenziali, talvolta alternativi, che hanno fornito contributi interessanti all’implementazione delle governance scolastiche.
Alcuni stili si sono ispirati al paradigma razionalista prevalentemente prescrittivo, altri al paradigma
narrativo-interpretativista descrittivo.
Le riforme scolastiche dell’ultimo ventennio hanno rivisto continuamente il governo del nostro sistema d’istruzione, tanto che, nella situazione italiana si sono manifestate diffusamente governance orientate allo
38 sviluppo di forme quasi – comunitarie e di tipo professionale, ma appare ancora flebile la partecipazione diretta degli studenti e delle famiglie ai processi decisionali della scuola dell’autonomia.
In generale, abbiamo potuto constatare che i cambiamenti generati dall’autonomia hanno influito su tutti gli attori del contesto scolastico, specialmente su coloro che sono preposti a guidare l’istituzione scolastica.