LA LEGGE 1 OTTOBRE 2012, N 172, DI RATIFICA DELLA CONVENZIONE DI LANZAROTE IN ITALIA
2.3. i Le modifiche al codice penale: Le nuove fattispecie delittuose: Istigazione a pratiche di pedofilia e di pedopornografia
Prima (solo per collocazione sistematica) delle nuove disposizioni incriminatrici introdotte dall’art. 4, comma 1, lett. b) della legge 1 ottobre 2012 n. 172, è quella del nuovo art. 414-bis c.p., che sanziona “chiunque, con qualsiasi mezzo e con qualsiasi forma di
espressione, pubblicamente istighi a commettere, in danno di minorenni uno o più delitti previsti dagli articoli 600-bis, 600-ter e 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’art. 600-quater.1, 600-quinquies, 609-bis, 609-quater e 609-quinquies” o
ne faccia apologia.
La nuova norma, modellata su quella dell’art. 414 c.p. (Istigazione a delinquere), si colloca, e non solo da un punto di vista meramente sistematico, nel novero di quelle disposizioni che puniscono le condotte di istigazione a violare la legge o a commettere un reato contenute sia nel codice penale187 sia in numerose leggi speciali188.
187
Si tratta, oltre che della norma generale dell’art. 414, che punisce l’istigazione a delinquere, dell’art. 415, che sanziona chiunque pubblicamente istiga alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico, dell’art. 266 (chiunque istiga i militari
a disobbedire alle leggi o a violare il giuramento dato o i doveri della disciplina militare o altri doveri inerenti al proprio stato, ovvero fa a militari l’apologia di fatti contrari alle leggi, al giuramento, alla disciplina o ad altri doveri militari),
dell’art 377 (Chiunque offre o promette denaro o altra utilità alla persona chiamata
a rendere dichiarazione davanti all'autorità giudiziaria ovvero alla persona richiesta di rilasciare dichiarazioni dal difensore nel corso dell'attività investigativa, o alla persona chiamata a svolgere attività di perito, consulente tecnico o interprete, per indurla a commettere i reati previsti dagli articoli 371-bis, 371-ter, 372 e 373…), dell’art 322 (Chiunque offre o promette denaro od altra utilità non dovuti ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, per l'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, soggiace, qualora l'offerta o la promessa non sia accettata…) e dell’art. 580 (Istigazione o aiuto al suicidio: “Chiunque determina altrui al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione, …”)
188
Si tratta dell’art. 1, D.lgs. 1559/47, che sanziona chi istiga pubblicamente a non pagare le imposte; l’art. 8, comma 1, della legge 962/67, istigazione a commettere delitti di genocidio; l’art. 82, d.p.r. 309/1990, istigazione all’uso di sostanze stupefacenti; art. 3, legge 654/1975, istigazione a commettere atti di discriminazione
Tale accostamento si giustifica già a un primo sguardo, rilevandosi come medesimo, nell’uno e nell’altro caso, sia il bene giuridico tutelato, ossia l’ordine pubblico.
Questa considerazione permette e necessita una riflessione. Il sistema delle norme sanzionanti l’istigazione o l’apologia di reato è uno dei più discussi dell’intera sistematica del codice.
Tali fattispecie puniscono infatti una condotta che, de facto, potrebbe non essere seguita dalla commissione di un reato (questo elemento è addirittura irrilevante), aprendo la strada ad interpretazioni che strutturano le disposizioni in commento come “puri reati di opinione”, non ritenendosi sufficiente la tradizionale giustificazione basata sulla meritevolezza degli obiettivi per tale via tutelati.
In questo caso, infatti, versandosi nel campo dei delitti contro l’ordine pubblico, può sorgere spontanea la questione della compatibilità delle suddette fattispecie con un sistema costituzionale, come il nostro, che riconosce e tutela la più ampia e libera manifestazione del pensiero.
In tal senso si è espressa, in passato, autorevole dottrina, sino ad arrivare al lapidario giudizio di Fiore “Gli orientamenti prevalenti
nella giurisprudenza degli ultimi vent’anni dimostrano che sulle ipotesi normative di apologia, istigazione e propaganda si impernia tuttora una prassi giudiziaria apertamente repressiva del dissenso politico e, quindi, manifestamente incostituzionale”189.
D’altro canto, se si considera l’andamento della giurisprudenza sull’argomento, possiamo osservare un lento ma costante superamento delle iniziali posizioni che avevano ben giustificato le accuse da parte della dottrina di scarsa conformità ai principi costituzionali di libera manifestazione del pensiero e di materialità ed offensività dell’illecito penale.
razziale ed etnica, oltre alla recente Decisione quadro 2008/913/GAI sulla repressione penale della negazione o della giustificazione del genocidio degli ebrei prima e durante la Seconda guerra mondiale.
189
La sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte, n. 10 del 18 novembre 1958, alla quale va riferita la dura valutazione di Fiore, delineava infatti un “puro reato di opinione”190, affermando che “(…)
l’apologeta si limita invece a manifestare la propria convinta adesione all’episodio rievocato, senza esplicare alcuna attività diretta ad influenzare la genesi del pensiero altrui (…)”, e che “ai fini del reato di apologia di un delitto (cod. pen. art. 414 ultimo capoverso), non è necessario che l'autore della apologia, nell'esprimere pubblicamente la propria convinta adesione al fatto delittuoso già verificatosi, ne sottolinei "expressis verbis" la sua contrarietà all'ordinamento punitivo”, risultando in questo modo carente una seria
prospettiva di offensività del delitto così ricostruito, che scolorava così nella incriminazione anche di mere rievocazioni storiche191.
Ma una tale ricostruzione ha infine ceduto il passo ad una valutazione più ponderata del requisito della concreta idoneità dell’azione apologetica di ledere il bene giuridico protetto e, dopo alcune fondamentali prese di posizione della Consulta192, la più recente giurisprudenza di legittimità193 ha infine ricostruito le ipotesi di apologia ponendole al sicuro da eccezioni di conformità costituzionale, in particolare con il richiedere la sussistenza di un concreto pericolo di influenzare o determinare altri alla commissione di futuri delitti.
190
Cfr. Canestrari S. e altri, “Diritto penale. Lineamenti di Parte Speciale”, Monduzzi Editore, Bologna, 2009, p. 260
191
Cfr. ibidem 192
Corte costituzionale, 4 maggio 1970, n. 65: “L’apologia punibile ai sensi dell’art.
414, ultimo comma, del codice penale non è, dunque, la manifestazione di pensiero pura e semplice, ma quella che per le sue modalità integri comportamento concretamente idoneo a provocare la commissione di delitti. (…) La libertà di manifestazione del pensiero, garantita dall’art. 21, primo comma, della Costituzione, trova i suoi limiti non soltanto nella tutela del buon costume, ma anche nella necessità di proteggere altri beni di rilievo costituzionale e nell’esigenza di prevenire e far cessare turbamenti della sicurezza pubblica, la cui tutela costituisce una finalità immanente del sistema”
193
Cassazione Penale, sez. I, 11 giugno 1986, n. 13541; Cassazione Penale, sez. I, 27 settembre 1991; Cassazione Penale, sez. I, n. 26907, 5 giugno 2001
Ciò premesso, tornando al catalogo delle condotte di istigazione e apologia, possiamo anche notare come l’evoluzione di tale categoria sia stata dal legislatore, eccetto qualche sporadico caso194, lasciata al lavoro dell’interprete.
La legge 172/2012 rompe decisamente con tale tradizione, inserendo, subito dopo la norma generale dell’art. 414 c.p., una disposizione speciale, autonoma dalla precedente, diretta a sanzionare l’istigazione a commettere reati sessuali in danno dei minori e la loro apologia.
Tuttavia la nuova previsione mostra una struttura pressoché identica a quella dell’art. 414 c.p., che già da solo incrimina le condotte di chi istiga alla commissione di un reato o ne fa apologia, ed inoltre, poiché tutti reati contenuti nel primo comma del nuovo art. 414-bis sono delitti, l’istigazione o apologia, anche per tali reati, poteva tranquillamente farsi rientrare nella più generale previsione dell’art. 414, non rilevando neppure il nuovo inciso “(…) con
qualsiasi mezzo e con qualsiasi forma (…)”195.
Se quindi si esclude questo ultimo elemento, le differenze con la norma generale, oltre ai diversi limiti edittali e alle sanzioni accessorie, si concentrano tutte nel 3 comma dell’art. 414-bis, ovvero nella previsione particolare che, in caso di contestazione del reato di cui ai commi precedenti “non possono essere invocate a propria scusa
ragioni o finalità di carattere artistico, letterario, storico o di costume”.
Da un punto di vista contenutistico non appare del tutto agevole circoscrivere la portata di questo inciso, potendosi solo ipotizzare, in assenza di una qualsivoglia applicazione giurisprudenziale al momento in cui si scrive, che questa vada a smentire le giustificazioni ai crimini commessi a danno dei minori, frequenti in altri ordinamenti
194
Ne è un esempio la legge 962/67 sulla pubblica istigazione ed apologia del genocidio
195
In questo senso, Carmine Russo, “L’abuso sui minori dopo Lanzarote. L. 1
(vedere supra il caso olandese), basate sulla presunta liberazione sessuale del minore, o sul parallelismo fatto con altre epoche e altre culture.
In ogni caso, la tentazione di relegare il 3 comma a una mera norma di chiusura, dedicata a prevenire eventuali lacune, deve essere subito respinta.
La disposizione dell’art. 414-bis, comma 3, non incide, in realtà sulla struttura della fattispecie delittuosa, proprio in virtù dell’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 414 c.p. che abbiamo citato, che opera il bilanciamento tra istigazione ed apologia da un lato e libertà di pensiero dall’altro sulla base del criterio del pericolo concreto196.
Quindi, se il diritto alla manifestazione del pensiero conforma già la norma penale ed opera già al suo interno, attribuendole il contenuto di disposizione di pericolo concreto, quella stessa manifestazione del pensiero costituzionalmente tutelata non può in nessun caso operare nuovamente come scriminante ex art. 51 c.p., proprio perché se l’istigazione e l’apologia presentano il contenuto di pericolo concreto, allora vuole anche dire che esse hanno travalicato i limiti dell’esercizio del diritto medesimo197.
Quindi la previsione dell’art. 414-bis, comma 3, c.p., ricostruita in questi termini, restringe l’applicazione della scriminante dell’esercizio del diritto di cui all’art. 51 c.p. in caso di condotte che riguardino reati di pedopornografia o abuso sessuale a danno dei minori, ed inoltre non mostra neppure una incidenza concreta sulla struttura del reato e non amplia nemmeno l’ambito di applicazione della nuova norma rispetto all’art. 414 c.p.198.
Una ulteriore problematica della disposizione in esame riguarderebbe il mancato richiamo, fra i reati elencati nel primo comma dell’art. 414-bis, del delitto di cui all’art. 609-octies c.p. 196 Cfr. ibidem 197 Cfr. ibid, p. 9 198 Cfr. ibidem
quando commesso in danno di minorenni e del nuovo delitto di adescamento di minore di cui all’art. 609-undecies, introdotto proprio dalla legge del 2012.
Partendo da questa ultima ipotesi, certa dottrina lamenta di non comprendere le ragioni di una tale omissione, non essendo da ritenere valida l’ipotesi di una mera dimenticanza o di un difetto di coordinamento, tanto più arduo da verificarsi se solo si considera come la legge sia stata soggetta a ben tre letture per ogni ramo del Parlamento199.
A parziale conferma di questo dubbio starebbe il fatto che l’art. 609-undecies sia invece richiamato espressamente nel nuovo comma 7 dell’art. 416, con ciò evitandosi decisamente ogni difficoltà interpretativa dovuta alla mancata inclusione della fattispecie.
Ma anche per l’art. 609-octies c.p. il discorso è sostanzialmente il medesimo, in quanto, si esclude recisamente che detta norma sia una mera aggravante del reato dell’art. 609-bis, e perciò sia stata implicitamente richiamata proprio per il tramite del richiamo alla violenza sessuale.
Lo esclude la giurisprudenza assolutamente costante della Corte di cassazione200, ma lo escludono anche considerazioni di carattere criminale.
Se pure è vero che il reato di cui all’art. 609-octies rechi, fra i suoi elementi costitutivi, gli atti di violenza sessuale di cui all’art. 609-bis, tale situazione non va enfatizzata al punto da ridurre la prima disposizione a una mera aggravante della seconda, sussistendo infatti ulteriori elementi (la presenza simultanea di più persone) che arricchiscono e specificano la norma fino a renderla del tutto autonoma dalla sua fattispecie base.
Da qui, conclude la dottrina citata, discenderebbe l’inevitabile, e grave, conseguenza che, stante il divieto assoluto di analogia in malam
199
Cfr. ibidem 200
Fra le altre, Cassazione Penale, sez. III, 17082/2006; Cassazione Penale, sez. III, n. 19397, 6 giugno 2006; Cassazione Penale, sez. III, 23988/2011
partem sussistente per la legge penale, il reato di pubblica istigazione
o di apologia di cui all’art. 414-bis non potrà operare quando la condotta istigata sarà quella della violenza sessuale di gruppo commessa a danno di minore, certamente di più elevato disvalore rispetto alla violenza sessuale base.
Ma in realtà, da un punto di vista applicativo, il problema può essere molto ridimensionato, e gli effetti deleteri lamentati dalla dottrina non sono destinati a vericarsi; la fattispecie di istigazione a commettere violenza sessuale di gruppo a danno del minore non rimarrà senza sanzione, potendosi agevolmente collocare nella norma generale di cui all’art 414 c.p., anche se, in questo modo, sarà probabilmente fornito un importante argomento a quanti sostengono la superfluità del nuovo art. 414-bis c.p.
2.3.ii Associazione a delinquere finalizzata a commettere