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i Segue: il nuovo art 572 c.p e la problematica del mobbing: un vuoto di tutela?

LA LEGGE 1 OTTOBRE 2012, N 172, DI RATIFICA DELLA CONVENZIONE DI LANZAROTE IN ITALIA

2.4. i Segue: il nuovo art 572 c.p e la problematica del mobbing: un vuoto di tutela?

Occorre a questo punto domandarsi se e quanto la modifica operata dalla novella sull’art. 572 c.p. vada ad incidere sull’applicabilità della norma ai casi di mobbing.

Ricordiamo che la fattispecie di mobbing, figura ancora innominata nel codice, è costituito da una condotta protratta nel tempo e diretta a ledere il lavoratore, che si identifica in un insieme di comportamenti violenti, caratterizzati dalla sua protrazione nel tempo attraverso una pluralità di atti giuridici o meramente materiali (anche intrinsecamente legittimi250; dalla sua protrazione nel tempo, dalla volontà che lo sorregge, diretta alla persecuzione od all'emarginazione del dipendente, e dalla conseguente lesione dei diritti del lavoratore, attuata sul piano professionale o sessuale o morale o psicologico o fisico.

Da questa definizione sembra emergere, a prima vista, una fondamentale diversità strutturale tra mobbing e maltrattamenti in famiglia, essendo questi ultimi appunto caratterizzati dal particolare ambiente in cui avvengono. Ma simili obiezioni cadono immediatamente laddove si osservi che l’art. 572 c.p.estende la tutela anche a relazioni più ampie, preservando il soggetto sottoposto ad altrui autorità o affidato a un terzo per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o un'arte. Proprio il riferimento al rapporto caratterizzato dalla soggezione ad altrui autorità rende la condotta di mobbing sussumibile nella fattispecie di reato in questione.

È stato infatti sostenuto che anche una semplice autorità di fatto può rilevare ai fini della sussistenza del delitto di maltrattamenti251 e

250

Corte cost. 19 dicembre 2003 n. 359; Cass. Sez. Un. 4 maggio 2004 n. 8438; Cass. 29 settembre 2005 n. 19053

251

Corte Cass., Sez. II, 26.6.1961; Cass., Sez. II, 15.4.1959; Cass., Sez. II, 31.1.1956; T. Torino 3.5.2005

ciò anche nel caso di rapporti di lavoro caratterizzati dal potere direttivo e disciplinare che la legge attribuisce al datore di lavoro e che pone il lavoratore dipendente nella condizione, specificamente prevista dall’art. 572 c.p. di persona sottoposta alla sua autorità252, per giungere infine alla sentenza della Suprema Corte che, sempre in assenza di una normativa in materia di mobbing, ha ritenuto che la figura di reato più prossima fosse proprio quella dei maltrattamenti commessi da persona dotata di autorità per l'esercizio di una professione253.

Aderendo a questo orientamento, possiamo in altre parole dire che “il concetto di maltrattamenti è molto simile a quello del mobbing,

perché impone un'abitualità di condotta tale da rendere insopportabile il contesto di vita, familiare o di lavoro”254.

Questa interpretazione, ossia l’automatico accostamento tra mobbing e maltrattamenti, si scontra tuttavia con l’orientamento giurisprudenziale più recente, assolutamente maggioritario, che ritiene che l'art. 572 c.p. non possa essere applicato automaticamente alle fattispecie di mobbing, ma subordina il ricorso a tale reato alla presenza di determinate caratteristiche, ritenendo soprattutto necessaria la presenza di una relazione di tipo para-familiare tra mobber e vittima, carattere, questo, proprio di ipotesi che peraltro si pongono come assolutamente marginali nella prassi quotidiana (è il caso della collaboratrice domestica, del garzone di bottega e soprattutto dell’impresa familiare)255.

252

Cass., Sez III, 5.6.2008, n. 27469 253

C., Sez. VI, 2.11.2010; C., Sez. V, 9.7.2007, n. 33624; C., Sez. VI, 8.3.2006, n. 31413

254

Cfr. Dies R., “La difficile tutela penale contro il mobbing”, in S.Scarponi (a cura di) “Il mobbing analisi giuridica interdisciplinare”. Atti del convegno tenutosi a Trento il 8/11/07, Trento, 2009, pag 118

255

Cfr. Parodi C., “Mobbing e maltrattamenti alla luce della legge n. 172/2012 di

ratifica ed esecuzione della Convenzione di Lanzarote. Ovvero: sul valore della rubrica della norma ai fini della sua interpretazione”, in Diritto Penale

La più recente giurisprudenza tende infatti a negare l’applicazione del delitto in questione proprio in caso di carenza del requisito di para-familiarità nel rapporto di lavoro: l'art. 572 c.p., si dice, tutela infatti un “contesto familiare” e per essere applicato al rapporto di lavoro richiede che questo sia “caratterizzato da

familiarità, nel senso che, pur non inquadrandosi nel contesto tipico della famiglia, deve comportare relazioni abituali e intense, consuetudini di vita tra i soggetti, la soggezione di una parte nei confronti dell'altra (rapporto supremazia-soggezione), la fiducia riposta dal soggetto passivo nel soggetto attivo, destinatario questo di obblighi di assistenza nei confronti del primo, perché parte più debole. È soltanto nel limitato contesto di un tale peculiare rapporto di natura para-familiare che può ipotizzarsi, ove si verifichi l'alterazione della funzione del medesimo rapporto”256.

In ogni caso, comunque, si tende generalmente a non prescindere, nella tutela penale delle condotte di mobbing, dal delitto di maltrattamenti che, per tale via, sembra avere assunto, in positivo o in negativo, il carattere di termine di paragone per ricostruire la fattispecie di mobbing in assenza di qualsiavoglia riferimento normativo.

Ma tutto ciò premesso, occorre a questo domandarsi quale influenza sia destinata ad avere la modifica dell’art. 572 c.p. sulla sua applicazione, automatica o meno al mobbing.

Tra le modifiche subite dalla disposizione in commento, è opportuno concentrarsi in particolare sulla nuova rubrica dell’art. 572, specie se si considera come proprio il riferimento ai “Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli” di cui alla vecchia rubrica, costituiva uno dei caposaldi su cui si basavano le interpretazioni dottrinali e giurisprudenziali che stabilivano, seppure con qualche distinguo,

256

l’applicabilità della fattispecie di maltrattamenti alle condotte mobbizzanti257.

In particolare, bisogna interrogarsi se la dedica dell’art. 572 ai “Maltrattamenti contro familiari e conviventi” non sortisca l’effetto di restringere l’applicazione della fattispecie agli ambiti solo familiari o para-familiari, aderendo o meno quindi alla interpetazione più restrittiva operata dalla giurisprudenza più recente.

Se infatti, secondo certa dottrina, il nuovo reato di maltrattamenti non si applicherebbe in alcun modo al mobbing, in quanto difetterebbe in capo al legislatore qualsiasi volontà di estendere la tutela dell’art. 572 c.p. anche alle condotte mobbizzanti258, secondo altre ricostruzioni, sussisterebbero invece, anche di fronte alla versione novellata dell’art. 572, “plurime ragioni per confutare

nuovamente la validità dell’orizzonte esegetico seguito dalla

257

Cfr. Parodi C., “Mobbing e maltrattamenti alla luce della legge n. 172/2012 di

ratifica ed esecuzione della Convenzione di Lanzarote. Ovvero: sul valore della rubrica della norma ai fini della sua interpretazione”, in Diritto Penale

Contemporaneo, 19 novembre 2012 258

“Che condotte vessatorie prolungate in ambiente di lavoro ci siano e possano

verificarsi non è, purtroppo da escludere, ma ciò non consente di creare una norma incriminatrice, per analogia e in malam partem, che il legislatore non ha previsto. Con la ratifica e l'esecuzione della Convenzione di Lanzarote -avvenuta con legge in corso di pubblicazione- il legislatore ha riscritto l'art. 572 c.p., che oggi disciplina e sanziona i "maltrattamenti contro familiari e conviventi". L'occasione sarebbe stata perfetta per un intervento repressivo anche del c.d. mobbing, con ciò recuperando quel filone giurisprudenziale rimasto minoritario, ma il legislatore si è limitato a estendere la sanzione penale alla famiglia di fatto considerando di rilievo penale anche i maltrattamenti al convivente; ha rivisto in aumento le sanzioni penali comminate; ha previsto una specifica tutela del minore. Certo, qualcuno può sempre teorizzare che le ore trascorse in fabbrica o in ufficio integrino una forma di "convivenza", ma ancora una volta emergerebbe una evidente forzatura delle categorie concettuali giuslavoristiche perché la prestazione lavorativa si esaurisce in se stessa nell'ambito del rapporto di lavoro e la convivenza (vera) si sviluppa fuori dell'ambiente di lavoro e con persone diverse dal datore di lavoro. Il legislatore era concentrato su una più penetrante protezione dei minori e non ha pensato minimamente al c.d. mobbing. Ciò consente di affermare che il legislatore non ha escluso un intervento futuro per sanzionare penalmente le vessazioni prolungate in ambiente di lavoro, ma consente anche di affermare che con la legge in corso di pubblicazione non ha minimamente inteso operare, già da adesso, una scelta incriminatrice”. Corso S. M., “Estensione Impossibile. Il nuovo reato di maltrattamenti non si applica al c.d. Mobbing”, 8/10/2012, in http://pluris-

giurisprudenza attualmente maggioritaria, che limita l’applicabilità della norma ai soli rapporti lavorativi di natura parafamiliare”259.

In primo luogo, secondo questa ricostruzione, la stessa fisionomia dell’art. 572, anche nella sua versione post riforma, per sua natura sarebbe dedicata, oltre ai soli rapporti familiari, anche agli altri rapporti sociali qualificati, poiché il suo fine ultimo sarebbe quello di

“evitare che una delle due parti abusi di questa relazione e la distorca a finalità riprovate dall’ordinamento, quale quella di far soffrire inutilmente un soggetto che invece confida sul corretto svolgimento di tale relazione e la identifica come un momento di importante sviluppo della propria persona”260.

Inoltre, sempre questa dottrina, afferma che l’equiparazione effettivamente realizzata dalla novella del 2012 tra famiglia di fatto e famiglia giuridica non è tale da far desumere la volontà del legislatore di escludere dall’applicazione della norma tutti quei rapporti sociali ai quali essa pacificamente si applicherebbe (ad esempio quello tra insegnante ed alunno), rapporti che non possono farsi rientrare in un concetto, neppure ampliato, di convivenza, ma che ciononostante non potrebbero e non dovrebbero essere privati della tutela offerta dalla fattispecie di maltrattamenti di cui all’art. 572.

Queste ricostruzioni, sono certamente basate su argomenti destinati a suscitare attenzione, ma trovano tuttavia un ostacolo decisivo nell’interpetazione operata dalla recentissima giurisprudenza.

Con sentenza 03 luglio 2013, n. 28603, la Suprema Corte ha infatti ribadito che “secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Suprema Corte261, le pratiche persecutorie

259

Cfr. Parodi C., “Mobbing e maltrattamenti alla luce della legge n. 172/2012 di

ratifica ed esecuzione della Convenzione di Lanzarote. Ovvero: sul valore della rubrica della norma ai fini della sua interpretazione”, in Diritto Penale

Contemporaneo, 19 novembre 2012 260

ibidem 261

Si consideri a titolo esemplificativo Cass. Pen., Sez. VI, n. 26594 del 06/02/2009, dep. 26/06/2009, Rv. 244457; Cass. Pen , Sez. VI, n. 685 del 22/09/2010, dep. 13/01/2011, Rv. 249186; Cass. Pen, Sez. VI, n. 43100 del 10/10/2011, dep.

realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (c.d. “mobbing”) possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, dal formarsi di consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra (rapporto supremazia-soggezione), dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia, e come tale destinatario, quest’ultimo, di obblighi di assistenza verso il primo”.

La modulazione di tale rapporto, dunque, avuto riguardo proprio alla ratio della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 572 c.p., deve comunque essere sempre caratterizzata dal tratto della “familiarità”, “poiché è soltanto nel limitato contesto di un tale peculiare rapporto

di natura para-familiare che può ipotizzarsi, ove si verifichi l’alterazione della sua funzione attraverso lo svilimento e l’umiliazione della dignità fisica e morale del soggetto passivo, il reato di maltrattamenti. L’inserimento di tale figura criminosa tra i delitti contro l’assistenza familiare si pone in linea, del resto, con il ruolo che la stessa Costituzione assegna alla “famiglia”, quale società intermedia destinata alla formazione e all’affermazione della personalità dei suoi componenti, e nella stessa prospettiva ermeneutica vanno letti ed interpretati soltanto quei rapporti interpersonali che si caratterizzano, al di là delle formali apparenze, per una natura para-familiare”.

Di conseguenza, secondo la Corte, non sarebbe in alcun modo apprezzabile la riduzione della vicenda che vede un soggetto più debole in una condizione esistenziale dolorosa ed intollerabile a causa della sopraffazione sistematica di cui egli sarebbe rimasto vittima,

22/11/2011, Rv. 251368; Cass. Pen, Sez. VI, n. 16094 del 11/04/2012, dep. 27/04/2012, Rv. 252609

all’interno di un rapporto quanto meno assimilabile a quello di natura familiare.

Se infatti, prosegue la Suprema Corte, è vero che da un lato l’art. 572 c.p. ha allargato l’ambito delle condotte che possono configurare il delitto di maltrattamenti anche oltre quello strettamente endo- familiare, è pur vero che la fattispecie incriminata è inserita nel titolo dei delitti in materia familiare ed espressamente indica nella rubrica la limitazione alla famiglia ed ai fanciulli, sicché non può ritenersi idoneo a configurarla il mero contesto di un generico rapporto di subordinazione/sovraordinazione.

Da qui discende la ragione dell’indicazione del requisito della parafamiliarità del rapporto di sovraordinazione, “che si caratterizza

per la sottoposizione di una persona all’autorità di un’altra in un contesto di prossimità permanente, di abitudini di vita (anche lavorativa) proprie e comuni alle comunità familiari, non ultimo per l’affidamento, la fiducia e le aspettative del sottoposto rispetta all’azione di chi ha ed esercita su di lui l’autorità con modalità, tipiche del rapporto familiare, caratterizzate da ampia discrezionalità ed informalità”.

Né, infine, e arriviamo così al nocciolo del problema, potrebbero trarsi, al riguardo, argomenti in senso contrario dall’analisi della recente interpolazione del testo normativo attraverso la modifica introdotta dalla novella legislativa n. 172 del 1° ottobre 2012.

L’art. 4. comma 1, lett. d), della legge ha sostituito l’art. 572 c.p. novellandone la rubrica, ora denominata “Maltrattamenti contro familiari a conviventi”, ed aggiungendo i conviventi nel novero dei soggetti passivi del reato, “ma la natura (abituale) e la struttura del

reato di maltrattamenti (prima “In famiglia o verso fanciulli”, ora “contro familiari a conviventi”) sono rimaste sostanzialmente immutate.”, in quanto, lo ricordiamo, le novità riguardano

trattamento sanzionatorio e l’estensione della tutela nei confronti di persone “comunque conviventi”.

Pertanto, concludono i giudici, in questa prospettiva orientata, per un verso, a valorizzare l’incidenza dalla relazione intersoggettiva nell’ambito operato dalla fattispecie, e, per altro verso, ad allargare anche a rapporti di mera convivenza, non necessariamente qualificati dalla particolare natura del legame che ha portato alla loro instaurazione, “la rilevanza del rapporto familiare, è rimasta

2.5 I delitti di violenza sessuale e di sfruttamento sessuale ai