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Il mutamento interpretativo sfavorevole come violazione del divieto di analogia in malam partem

EFFETTI SFAVOREVOLI E CONCEZIONE LEGALISTA DELLA LEGALITÀ

1. Breve premessa terminologica: «contrasti» e non «mutamenti» giurisprudenzial

2.1. Il mutamento interpretativo sfavorevole come violazione del divieto di analogia in malam partem

Per quanto attiene al primo profilo, ovvero il tradimento della legalità penale da parte del giudice, questo si sostanzia nella violazione del principio della riserva di legge e del divieto di analogia in malam partem. La nuova interpretazione giudiziale della disposizione che determina la produzione di effetti sfavorevoli e che non è una – per così dire - mera correzione della precedente erronea interpretazione determina un ampliamento del campo di applicazione della fattispecie penale. Ma, in virtù del principio della riserva (assoluta) di legge, un ampliamento della sfera di illiceità penale può essere il risultato esclusivamente di un atto normativo parlamentare. Pertanto, qualora l’ampliamento sia dovuto all’attività del giudice si è in presenza di una violazione del divieto di analogia, qui inteso in termini ampî come divieto di

superamento del significato letterale144.

144 In questa prospettiva si colloca, tra gli altri, G. MARINUCCI, L’analogia e la “punibilità

svincolata dalla conformità alla fattispecie penale”, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, passim e 1265 ss.

in particolare; sulla necessità di una rigorosa fedeltà al principio di legalità e sui problemi di legittimazione del giudice penale che derivano da un suo allontanamento dalla legge, v. le

Contrasti giurisprudenziali produttivi di effetti sfavorevoli 61

In sostanza, l’ampliamento della sfera dell’illiceità penale da parte del giudice o è la correzione di un’interpretazione precedentemente errata e quindi una mera interpretazione estensiva di una fattispecie penale prima erroneamente ristretta rispetto al suo naturale ambito di applicazione, oppure integra una violazione del divieto di analogia.

In entrambi i casi non si pongono problemi sul piano degli effetti retroattivi del cambio di orientamento giurisprudenziale.

In primo luogo, se vi è stata correzione di un’interpretazione precedentemente errata e, quindi, si è assistito ad un contrasto giurisprudenziale tra un’interpretazione corretta e una sbagliata, quella corretta che ha finito per prevalere non fa altro che riaffermare il giusto significato della disposizione normativa. Poiché questa era in vigore già al momento del fatto, il cittadino ben avrebbe potuto conoscerne il significato e prevederne l’interpretazione “corretta” affermata successivamente. Non si pone, quindi, alcun problema dal punto di vista dell’applicazione retroattiva di conseguenze penali sfavorevoli. E questo, nell’impostazione più rigida, anche qualora l’interpretazione sbagliata fosse stata ribadita per decenni dalla giurisprudenza di legittimità.

Paradigmatica la vicenda relativa alla configurabilità dell’art. 648 c.p. nei casi di ricettazione di farmaci anabolizzanti. Un orientamento di legittimità aveva escluso che il dolo specifico del fine di profitto potesse consistere in una mera utilità negativa, utilità negativa che si avrebbe ogniqualvolta il soggetto agisca allo scopo di commettere un’azione in danno di se stesso, ma al tempo stesso perseguendo

un’utilità meramente immaginaria145. La seconda sezione della Corte di cassazione,

con una pronuncia di qualche anno successiva, afferma la necessità di superare il precedente orientamento, in quanto basato sull’erronea sovrapposizione del movente

al dolo specifico146. A ben vedere, tuttavia, ciò che muta è la finalità di tutela alla base

considerazioni di G. INSOLERA, Qualche riflessione e una domanda sulla legalità penale nell’“epoca

dei giudici”, in Criminalia 2012, 2013, 285 ss.

145 Così Cass., Sez. II, sent. 19 dicembre 2012 (dep. 9 gennaio 2012), n. 843.

146 Cass., Sez. II, sent. 22 marzo 2016 (dep. 14 aprile 2016), n. 15680 successivamente

62 Fondamento e limiti del divieto di retroattività dei mutamenti giurisprudenziali delle due differenti interpretazioni della fattispecie di ricettazione. Il secondo orientamento ricostruisce quest’ultima come posta a tutela della salute pubblica – e ancora prima di quella individuale – messa in pericolo dall’acquisto e successiva assunzione di sostanze anabolizzanti.

Così, esteso l’ambito di applicazione dell’art. 648 c.p. anche a queste ipotesi, non si pose alcun problema di produzione di effetti sfavorevoli retroattivi rispetto ai soggetti condannati sulla base della nuova interpretazione. Quest’ultima, sostituendo quella precedente errata, non ha fatto altro che (ri-)affermare il giusto significato della disposizione incriminatrice.

In secondo luogo, se vi è stata una violazione del divieto di analogia, l’esclusione degli effetti sfavorevoli retroattivi non potrebbe sanare il vizio originario di creazione giurisprudenziale della fattispecie. E non importa che magari la violazione del divieto di analogia sia opera della Corte di cassazione e che per il soggetto non vi sia più

alcuno strumento giudiziario – quantomeno nazionale – di tutela147.

Nella migliore delle ipotesi, peraltro estremamente rara, la violazione del divieto di analogia sarà successivamente sancita dalla Corte di cassazione stessa, magari da una sezione diversa rispetto a quella che si era originariamente pronunciata. L’interpretazione analogica, in questo caso, terminerà di essere applicata a partire dal caso oggetto della seconda pronuncia.

Significativa, a tal proposito, la vicenda relativamente recente in tema di responsabilità da reato in virtù del d.lgs. n. 231 del 2001 e il tentativo di estenderne la portata a tutte le attività imprenditoriali, indipendentemente dalla loro natura societaria. A fronte di una pronuncia della terza sezione della Corte di cassazione volta ad estendere la responsabilità da reato degli enti, sulla base di vari argomenti interpretativi più e meno convincenti, a tutte le imprese dotate di personalità giuridica, con una successiva pronuncia della Corte di cassazione stessa, questa volta della quarta sezione, si è indirettamente sostenuta la natura analogica del

147 Cfr. F. GIUNTA, Rileggendo Norberto Bobbio L’analogia nella logica del diritto, in Criminalia 2007,

2008, 455: «Chi sanziona il giudice che infrange il divieto di analogia? Il sistema processuale prevede correttivi, che sono rimessi ad altri giudici, talché il divieto di analogia appare in definitiva un canone di autoregolamentazione della giurisdizione».

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ragionamento precedentemente seguito e si è concluso nel senso che tale forma di

responsabilità non si applica alle imprese individuali148.

In ipotesi, peraltro, la violazione del divieto di analogia da parte della giurisprudenza potrebbe anche essere rimediata da parte del legislatore. Ci si trova, in questi casi, in una situazione più patologica perché ancora più evidente è l’esercizio di funzioni legislative da parte della giurisprudenza. La nota vicenda dell’incriminazione dell’elusione fiscale è un esempio paradigmatico. L’irrilevanza penale dell’elusione fiscale era ricavabile (almeno implicitamente) dalla legge di riforma dei reati tributari (d. lgs. n. 74 del 2000) che non ne faceva espressa menzione,

nonché esplicitamente dalla relazione di accompagnamento a tale legge149. La

giurisprudenza successiva che si era, correttamente, orientata in questo senso150 è

stata però contraddetta da alcune pronunce di legittimità che ne hanno invece

affermato la rilevanza penale151. Il legislatore è così costretto ad intervenire sancendo

all’art. 10-bis, comma 13, d. lgs. n. 74 del 2000 che «[l]e operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili […]».

148 Si tratta, rispettivamente, delle sentenze: Cass., Sez. III, sent. 15 dicembre 2010 (dep. 20

aprile 2011), n. 15657, annotata in termini critici da L. PISTORELLI, L’insostenibile leggerezza della

responsabilità da reato delle imprese individuali, in Cass. pen., 2011, 2556 ss.; Cass., Sez. VI, sent.

16 maggio 2012 (dep. 23 luglio 2012), n. 30085.

149 Cfr. Relazione governativa di accompagnamento alla legge di riforma dei reati tributari: la

«semplice elusione d’imposta, quale categoria concettualmente contrapposta all’evasione, rimane priva di ogni riflesso penale».

150 Per tutte, bastino Cass., Sez. V, sent. 18 maggio 2006 (dep. 7 luglio 2006), n. 23730 e Cass.,

Sez. III, sent. 26 novembre 2008 (dep. 2 aprile 2009), 14486.

151 Così, con una motivazione tutt’altro che approfondita, Cass., Sez. III, sent. 18 marzo 2011

(dep. 7 luglio 2011), n. 26723. Ben più significativa Cass., Sez. III, sent. 22 novembre 2011 (dep. 28 febbraio 2012), n. 7739 (c.d. caso Dolce e Gabbana), nonché Cass., Sez. III, sent. 6 marzo 2013 (dep. 3 maggio 2013), n. 19100 in Dir. pen. proc., 2014, 81 ss. con nota di A. DELL’OSSO,

L’elusione fiscale al banco di prova della legalità penale. Critici rispetto a questa seconda interpretazione. Sulla vicenda, per tutti, G.FLORA, Perché l’«elusione fiscale» non può costituire reato (a proposito del «caso Dolce & Gabbana»), in Riv. trim. dir. pen. econ., 2011, 869 ss.; C.

PIERGALLINI, Civile e penale a perenne confronto: l’appuntamento di inizio millennio, in Riv. it. dir. proc. pen., 2012, 1299; G.M. FLICK, Abuso del potere ed elusione fiscale: quale rilevanza penale?, in Giur. comm., 2011, 483 ss.; P. VENEZIANI, Elusione fiscale, “esterovestizione” e dichiarazione

64 Fondamento e limiti del divieto di retroattività dei mutamenti giurisprudenziali

2.2. Il mutamento interpretativo come conseguenza di una congenita indeterminatezza

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