• Non ci sono risultati.

45natura fragili, permeabili ed esposti all’azione dell’acqua che

riesce a penetrare con facilità all’interno della struttura, provo- cando importanti danni dovuti ad azioni meccaniche. L’associ- azione di umidità, temperature miti e depositi di polvere, creano un habitat favorevole alla nascita e crescita di specie vegetali5,

che con il tempo provocano danni irreversibili al nostro patrimo- nio costruito dovuti anche agli apparati radicali delle specie in- festanti che possono peggiorare la disgregazione e fessurazione della muratura creando veri e propri dissesti statici.

Protezioni delle creste con bauletti di malta e sue limitazioni Per limitare i problemi sopra descritti, tradizionalmente, si ricorre alla messa in opera di bauletti di malta con cui si vuole creare, al di sopra della cresta muraria, un completamento, una nuova superficie di “sacrificio”, che si degradi invece della mu- ratura antica sottostante, realizzando uno strato sommitale a “schiena d’asino”, o a pietre infisse, costituito da malta di calce mista a cocciopesto o pozzolana la cui funzione è quella di ren- dere omogenea la superficie di scorrimento delle acque piovane ed impedire l’ingresso diretto dell’acqua all’interno della mu- ratura.

L’hard capping definito, dunque, come l’uso di materiali lapidei sotto forma di pietrame e malta per consolidare e pro- teggere le creste murarie, presenta innumerevoli limitazioni e controindicazioni che sono state portate alla luce da diversi progetti di ricerca6 attraverso simulazioni e monitoraggio sul

campo. Principalmente le malte impiegate spesso tendono, col tempo, a fessurarsi permettendo l’ingresso di acqua causando danni per congelamento e disgelamento ed impediscono l’eva- porazione dell’umidità accumulatasi all’interno della muratura. Questa causa la dissoluzione della matrice del materiale e i cicli di condesazione-evaporazione causano migrazione per capilla- rità dei sali dissolti e la loro cristallizzazione in altri punti della muratura con conseguenze quali efflorescenze e subflorescenze che indeboliscono il materiale causando sia perdite materiche che di valore estetico7. Altro problema di notevole rilevanza,

caratterizzante tale applicazione, è il percorso preferenziale che viene a crearsi per il deflusso delle acque il cui scorrimento in facciata aumenta la possibilità della formazione di sgradevoli tracce di dilavamento sulle pareti, e colonizzazioni da alghe e microflora che incidono enormemente sulla conservazione del paramento murario da un punto di vista tanto estetico, quanto materiale e strutturale.

Soft capping e possibili implementazioni

In alternativa ai sistemi di copertura e protezione delle cre- ste murarie in malta e cocciopesto, negli ultimi anni, si stanno studiando ed impiegando in alcuni paesi europei e non, metodi alternativi tra cui il soft capping che prevede l’impiego di tappeti erbosi impiantati su strati di terreno, ghiaia e tessuti geosintetici.

L’impiego di “protezioni vegetali” si è rivelato essere, sotto alcuni aspetti, più efficace rispetto ai bauletti in malta, in quanto si comportano come vere e proprie barriere termiche sia quando

5 Camuffo, D. (2014), “Biological habitat”, in Microclimate for cultural Heritage. Conservation, restoration and maintenance of indoor and outdoor monuments, Elsevier, pp. 95-97.

6 Lim B. A. (2009), Soft Capping of Archaeological Masonry Walls: Far View House, Mesa Verde National Park, University of Pennsylvania; Lee Z., Viles H., Wood C. (2009), Soft capping historical walls. A better way of conserving ruins?, University of Oxford and English Heritage.

7 Camuffo, D. (2014), “Micropore condensation and stone weathering”, in Microclimate for cultural Heritage. Conservation, restoration and maintenance of

indoor and outdoor monuments, Elsevier : 182-191.

8 Lee Z., Viles H., Wood C. (2009), Soft capping historical walls. A better way of conserving ruins?, University of Oxford and English Heritage. Nel caso spe- cifico furono testate le performance di soft cap, comparate con quelle di bauletti tradizionali, sia con metodi di misurazione di umidità elettronici che esami di laboratorio.

9 Giavarini, C.. (2001), “Domus Aurea: The conservation project”, in Journal of Cultural Heritage, 2(3), pp. 217–28. 10 Torraca G. (2009), Lectures on materials science for architectural conservation, The Getty Conservation Institute.

testate sul campo, come nel caso di Byland8, che quando testate

con prove di laboratorio e di simulazione. Grazie all’impiego di soft cap, le variazioni di temperatura giornaliere si riducono significativamente, limitando di conseguenza la minaccia del danneggiamento del materiale causato dalla sua espansione e contrazione, in particolar modo per quei paramenti murari su cui si era precedentemente intervenuto con bauletti di malta. In più, al di sotto del manto erboso la temperatura non scende mai al di sotto degli 0°C, riducendo i rischi legati al congelamento dell’acqua contenuta all’interno della muratura. È stato, inoltre, dimostrato che l’impiego di questo metodo, ha ridotto la fre- quenza dei cicli di imbibizione e asciugatura delle creste ridu- cendo di conseguenza le variazioni di umidità. Dunque, grazie alle ricerche condotte, in particolare, dalle Università di Oxford e della Pennsylvania si è potuto constatare come l’impiego di soft cap possa giocare un ruolo significativo per la conservazi- one di antichi monumenti. Nonostante i risultati ottenuti, viene però immediato constatare la differente consistenza delle appar- ecchiature murarie medievali anglosassoni, oggetto di ricerca da parte degli istituti precedentemente menzionati, rispetto a quella malleabile e spesso di pessima fattura che caratterizza le nostre strutture archeologiche.

Ricordando l’esperienza di Ippolito Massari9 nell’intervento

di eliminazione delle infiltrazioni attraverso la pavimentazione delle Terme di Traiano si può pensare di reimpiegare l’argil- la, come implementazione del soft-capping. Il rigonfiamento dell’argilla a contatto con l’acqua era lì impiegato per arrestare la penetrazione di questa all’interno delle strutture murarie in quanto l’argilla gonfiandosi tende a inibire il suo passaggio se interposta tra altri materiali come ad esempio sabbia, ghiaia o terra che esercitano una pressione forte a sufficienza da impedire la sua espansione10. Una tale barriera all’acqua è praticamente

immune ai processi di invecchiamento, di ossidazione o attacchi biologici. Sebbene nel caso della Domus Aurea fosse associata ad un sistema di tubi di smaltimento delle acque meteoriche e materiali geotessili, si ritiene che tale applicazione dell’argilla anidra, possa essere integrata nella composizione del soft-cap- ping come protettivo della muratura anche dall’insinuarsi delle radici in un sistema murario già fragile e frammentario. Infat- ti, tale materiale può essere impiegato sotto forma di polvere, a contatto con il manufatto, come livellante e protettivo e può fare da base per un conglomerato a base di cocciopesto che possa fi- nalmente ospitare il manto erboso direttamente appoggiato sulla muratura nel caso delle sperimentazioni oltremanica. Si ritiene che in questo modo tale intervento oltre che essere rispettoso della preesistenza, data la compatibilità dei materiali impiegati e quelli antichi, abbia buone possibilità di essere considerato an- che reversibile, ma sarebbero necessarie ulteriori ricerche, studi, simulazione digitali e non perché tali ipotesi possano essere ver- ificate e validate.

Conclusioni

Con il presente studio, si è dunque voluto portare all’atten- zione l’utilizzo di una applicazione innovativa di materiali ve-

46

Technology and Evolution of the Eco-Systemic Approach to the Design

getali ed inorganici che da sempre hanno fatto parte della pra- tica costruttiva e che, se ulteriormente approfondita, potrebbe indurre ad indagare più profondamente la questione relativa ai fenomeni degenerativi della pietra sottoposta all’azione diretta degli agenti atmosferici e di definire così una più valida strategia per la conservazione dei siti che sia reversibile e compatibile con la materia antica e in cui il progetto, da una dimensione mecca- nicistica e chiusa in orizzonti prescrittivi, possa traslare verso una dimensione generativa nella quale trova spazio un approccio ecologico in cui manufatti e natura risultano tra loro connessi ed interconnessi. Le nuove metodologie di indagine e monitoraggio rendono possibile la conoscenza e lo studio di un nuovo modo di approcciarsi ai manufatti antichi. La Cultura del progetto si con- fronta oggi con un rinnovato rapporto tra tecnologia, ambiente e manufatto, che evolve da una condizione in cui la natura viene considerata come ostacolo e risorsa da cui trarre senza limiti ma- teria ed energia, ad una nella quale è concepita come patrimonio con cui interagire in maniera attiva e fruttuosa.

Si vuole in questo modo tentare di ripensare il legame che intercorre tra gli aspetti della tecnologia tout court e delle risorse materiali disponibili in natura che la pratica costruttiva aveva messo da parte. Tecnologia e natura piuttosto che essere forze e sistemi contrapposti tra loro possono così svilupparsi vicende- volmente e trarre vantaggio l’uno dall’altro rivelandosi signifi- cative per la conservazione del patrimonio costruito.

References

Adam, J.P. (1984), La Construction romaine: matériaux et techniques, Picard, Paris, FR.

Boni, G. (1912), Flora palatina. Vegetazione e Archeologia, Arbor Sapientiae Editore, Roma, IT.

Cairoli Giuliani, F. (1990), L’edilizia nell’antichità, Nuova Edizione, Roma, IT. Carandini, A. (1979), Archeologia e cultura materiale, De Donato Editore, Bari,

IT.

Lee Z., Viles H. and Wood C. (2009), Soft capping historical walls. A better way

of conserving ruins?, University of Oxford and English Heritage, Oxford,

UK.

Lim, B. A. (2009), Soft Capping of Archaeological Masonry Walls: Far

View House, Mesa Verde National Park, University of Pennsylvania,

Pennsylvania, USA.

Picone, R. (2013), “Dall’esperienza sul campo ai criteri generali” in Picone R. (ed.), Pompei accessibile. Per una fruizione ampliata del sito archeologico, L’Erma di Bretschneider, Roma, IT, pp. 443-453.

Picone, R. (2018), “Archeologia e contesto: il ruolo del restauro”, Materiali e

strutture: problemi di conservazione, vol.13, pp. 63-114.

Torraca, G. (2009) Lectures on materials science for architectural conservation, The Getty Conservation Institute, Los Angeles, USA.

Ugolini, A. and Fabbri K. (2017), “A methodology to evaluate outdoor microclimate of the archaeological site and vegetation role: A case study of the Roman Villa in Russi”, Sustainable Cities and Society, vol. 35, pp. 107-133.

47

Outline

Documenti correlati