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2.2 Analisi dei sonetti a Cosimo I, Duca di Firenze

2.2.4 Nuovo Numa Thoscan, che le chiar’onde

È il quarto sonetto della serie dedicata a Cosimo I. Come suggerisce il verso incipitario, il motivo encomiastico si nutre di elementi di storia antica. Si legga:

Nuovo Numa Toscan, che le chiar'onde75

del tuo bel fiume inalzi a quegli honori ch'hebbe già il Tebro, e le stelle migliori girano tutte al gran valor seconde; le tue virtuti a null'altre seconde, alto suggetto a i più famosi cori,

da l'Arbia, ond'hoggi ogni bell'alma è fuori, mi trasser d'Arno a le felici sponde.

Et al primo disio nuovo disire, m'accende ogn’hor la tua bontà natìa, tal che miglior non spero, o bramo albergo. Così potessi un dì farmi sentire

cortese no, ma grata con la mia

zampogna, ch'a te sol, bench'indegna, ergo.

Nella prima quartina la poetessa istituisce un’identità fra Cosimo e Numa Pompilio, il secondo dei sette re della leggenda sulla fondazione di Roma, il re legislatore che, avendo come obiettivo la saggia temperanza del popolo, dedicò gli anni di regno ad armonizzare le tradizioni religiose e le usanze dei Romani con quelle dei Sabini. Il riferimento non è scontato. Ha, anzi, a che vedere con quel dato momento storico e con l’ambiente culturale frequentato da Tullia, su cui occorre fare una premessa.

L’accademia degli Umidi, ispirata e contrario alla coeva Accademia degli Infiammati di Padova, nasce a Firenze nel 1540, per iniziativa di un gruppo di intellettuali indipendenti che si riunisce a casa di Giovanni Mazzuoli, detto lo Stradino. Una delle personalità di spicco che assiste alle ‘tornatelle’ – com’era d’uso tra i membri chiamare le riunioni – è Anton Francesco Grazzini, noto a tutti come il Lasca. Questi mal tollererà

la trasformazione del giovanile ceppo dell’Accademia degli Umidi nella paludata ufficialità dell’Accademia fiorentina, subito egemonizzata dal gruppo di intellettuali (di stretta osservanza medicea) che ruotava

75 Sonetto su cinque rime a schema ABBA ABBA CDE CDE. Rima inclusiva e poi equivoca coinvolge i lemmi «chiar’onde:seconde:seconde», desinenziale la rima «disire:sentire».

attorno al Gelli, quali Cosimo Bartoli, Pierf rancesco Giambullari, Carlo Lenzoni, e che [finisce] con assumere la denominazione burlesca di Aramei76

tanto più che manderà i suoi sonetti a Benedetto Varchi, in quel momento esule, per farli esaminare, sottraendoli ai censori della neonata Accademia Fiorentina77.

Fra l’altro, Varchi, vicino allo spirito che informa gli ex-umidi, è al corrente delle varie scaramucce col gruppo degli Aramei, grazie alla corrispondenza epistolare con l’amico Luca Martini e col fedele allievo Ugolino Martelli, che, anticipando di un anno il ritorno del maestro, è a Firenze dal 1542.

Ora, a noi interessa particolarmente l’attività di Ugolino Martelli, non solo perché rappresenta una delle voci con cui Tullia dialoga nella raccolta, ma anche per il contributo ch’egli apporta di riflesso al primo verso del presente sonetto, come vedremo.

Martelli, eletto console nel 1544, assume la guida dell’Accademia Fiorentina e concepisce un testo in prosa, la Vita di Numa Pompilio, dedicata a Cosimo, che diviene subito il manifesto politico del circolo, ormai consolidato sotto il magistero del Varchi.

È senz’altro importante fare accenno alla discussione sulla natura provocatoria, nell’ambito dei contrasti accademici, del testo di Martelli, che si oppone all’altro trattatello programmatico rivale: Dell’origine di Firenze di Gianbattista Gelli. In breve, basando la sua argomentazione sui falsi storiografici di Annio da Viterbo, usati per ricostruire una storia della Toscana che la vedeva fondata da Noè e liberata dalla tirannide dal mitico Ercole libico, Gelli, sostenuto da Giambullari, con questo scritto puntava a

dimostrare che la capitale di Cosimo era nata ben prima di Roma, come centro dell’Etruria e, dunque, di una civiltà che niente doveva ai latini e ai romani, perché traeva le sue origini dalla stessa «veritas» dei Padri ebrei. Ma anche la lingua fiorentina, lungi dall’essere la «figlia» del latino, era, invece, la diretta discendente della lingua «sacra» in cui si era espressa la rivelazione divina.78

76 S. Lo Re, La vita di Numa Pompilio di Ugolino Martelli, cit., p.61.

77 Come scrive in una lettera a lui invia ta il 27 ma ggio 1542, per la qua le rima ndo a Lo Re, ivi, pp. 61-62. La sca sa rà , in seguito, ba ndito da ll’Acca demia , per la sua tena ce difesa di un proprio autonomo spazio letterario, che contrastava con un’organizzazione del tutto conforme ai dettami del nuovo Duca .

Ma se Gelli sconfessa l’origine romana di Firenze per costruire un passato nazionale che non è erede della libertas repubblicana, perché questa idea secondo lui è poco funzionale, se non addirittura nociva alla nuova figura del principe assolutista, Ugolino va in direzione opposta, scrivendo una storia di Numa Pompilio, che fa da ponte con il passato e si propone come un’allegoria politica coerente con la vita e carriera di Cosimo I: la sua esperienza giovanile, l’impensabile elezione al ducato, i modi del suo reggimento, tutto sembra richiamare il leggendario monarca di cui Cosimo è discendente ideale79.

È questo, insomma, il precedente letterario che giustifica l’identificazione di Cosimo I come Numa Pompilio, non soltanto nel sonetto di Tullia, ma anche in uno di quelli scritti da Benedetto Varchi: Gl’antichi pregi e quei sovrani honori.

Esso fa parte della serie di componimenti celebrativi del duca e della sua famiglia, l’unico “senz’altro attribuibile alla fase immediatamente precedente al ritorno in patria del letterato fiorentino”80, che sconta l’esilio dal 1537 al 1543. Qui

Varchi rappresenta Firenze come la novella Roma, partendo dagli oggetti più iconici dei fasti dell’antichità81, mentre i regnanti del presente, Cosimo ed Eleonora,

sono proclamati alla fine «nuovo Numa Pompilio e Nuova Egeria»82.

Abbiamo, quindi, dimostrato come il riferimento a Numa non sia inerte; tutt’altro, è molto fecondo per noi, poiché ci chiarisce il punto di vista di Tullia, ossia in che modo prende posizione, da letterata, nel dibattito intellettuale intorno al nuovo potere mediceo, e ci permette di formulare un’ipotesi sulla datazione del sonetto. Il testo di Martelli risale al ’44-45, mentre Tullia giunge a Firenze nel ’4683,

dunque si tratta di uno dei componimenti più tardi.

Un’altra suggestione, che scaturisce dalla riflessione sulla politica di conciliazione che Numa Pompilio mette in atto tra le due realtà sociali coesistenti ma discordi, suggerisce che se Tullia nel sonetto postula l’uguaglianza tra i romani

79Si noti come, pur nelle divergenze di vedute, nessuno dei due gruppi di intellettua li intende opporsi a l governo del duca , che viene celebra to in tutte le ma niere. In genera le, nessun intellettua le disdegna di a ccetta re protezioni e a iuti da chi è vicino a l potere, compresa la nostra Tullia .

80S. Lo Re, La vita di Numa Pompilio di Ugolino Martelli, cit., p. 59.

81A vv.3-4: «therme, tempi, colossi, a rchi e trofei/ querce, mirti, hedre, pa lme, olivi a llori»

82 Il sonetto di Tullia tra e sicura mente spunto da quello del ma estro, a nche per il motivo dell’esilio che in entra mbi viene a ffrontato da lla seconda quartina in poi.

e i fiorentini84, è possibile che abbia in mente, in una sorta di equivalenza tra coppie

di termini, anche la diade sabini-senesi, facendo così filtrare, attraverso il nesso con Numa, un’inquietudine sincera, un intimo desiderio di concordia generale, che affida ai versi a beneficio di Cosimo I, qui richiamato nel ruolo di custode della pace interna e di garante dell’uguaglianza dei sudditi.

Per Tullia il ducato fiorentino rappresenta, di fatto, un ambiente protetto. La sua incolumità, che era stata messa a rischio per la brutta piega presa dalla guerra civile in Siena85, è nuovamente ripristinata, poiché ella ha trovato «albergo» presso

le «felici sponde» di Firenze; un destino, quindi, favorevole, che la accomuna a ogni altra «bell’alma» accolta da Cosimo I in spirito di ralliement.

Il finale è, di nuovo, vagamente pastorale, dato il riferimento alla zampogna, lo strumento musicale tradizionalmente associato ai pastori. Con quest’artificio, Tullia riduce la sua poesia al genere basso, assecondando il consueto topos dell’umiltà, che si lega a filo doppio con quello della lode cortese: la sua poesia rustica, benché inadatta a una corte sontuosa e raffinata come quella di Cosimo e di Eleonora, è ricca di sincera gratitudine, in sintonia con l’autodefinizione di Tullia stessa: «cortese no, ma grata».

84Sulla scorta di Va rchi e del sonetto sopra cita to.

85Alla città allude l’Arbia, il torrente che scorre in territorio senese. Per guerra civile, s’intende pa rticola rmente il Tumulto dei popola ni del 1546, per cui si rima nda a lla p.10 di questa tesi.