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3.2 Analisi dei sonetti d’amore a ignoto interlocutore

3.2.3 Qual vaga Philomena, che fuggita

Nel sonetto precedente abbiamo osservato come il termine ‘amore’ venga impiegato da Tullia in un senso più ampio, con riferimento alla propria vicenda esistenziale. Nell’analisi che segue, terremo conto di questa componente di ‘autobiografismo lirico’, se così possiamo definirlo, ma prima sarà necessario fare una premessa, giacché è sempre utile, laddove possibile, partire dal confronto diretto con Petrarca, che rappresenta il primo modello d’ispirazione per l’Aragona.

Avremo, poi, la possibilità di accostare il sonetto a quello di un’altra grande poetessa contemporanea di Tullia, Gaspara Stampa. Entrambe, come vedremo, prendono spunto dalla vicenda mitica di Procne e Filomena, che si offre a loro mediata dal Canzoniere. Entrambe, quindi, attingono allo stesso materiale concettuale e linguistico dal repertorio petrarchista, ma ciascuna autonomamente elabora soluzioni originali, oltre che di grande pregio artistico. Tralasceremo, comunque, l’ipotesi di un rapporto di emulazione unilaterale o di influenza reciproca, perché purtroppo è impossibile da verificare, essendo a noi ignote le circostanze legate alla circolazione dei testi; ciononostante vedremo in che cosa consistono le differenze sostanziali tra i due sonetti, per poi tornare a concentrarci su quello di Tullia.

Cominciamo la nostra analisi osservand o che Qual vaga Philomena, che fuggita si apre con un omaggio alla straordinaria tradizione classica latina, che porta la firma di Ovidio. Ora, quest’ultimo era decisamente familiare a Petrarca. È risaputo, infatti, che le Metamorfosi costituiscono un complesso ordine figurativo per il Canzoniere, che si intuisce già

a partire dai primi esperimenti letterari: la canzone Nel

dolce tempo de la prima etade124, che è sicuramente

ascrivibile alla fase incipiente dell’esperienza poetica dell’autore in virtù di una celebre postilla del codice degli abbozzi («est de primis inventionibus nostris», è forse il testo più ‘ovidiano’ di tutto il libro petrarchesco.125

Dafne, Fetonte, Cigno, Batto, Byblis, Eco, Atteone, Danae sono i protagonisti dei miti che popolano la nota canzone. Fra questi, il mito che ha più risonanza all’interno del Canzoniere è, naturalmente, quello di Apollo e Dafne:

Dafne che sfugge ad Apollo è Laura che fugge da Petrarca, ed entrambe finiscono per rendersi accessibili ai loro amanti solo ed esclusivamente nel sublimato mondo della poesia, destinatarie di un’opera poetica che i loro poeti-amanti vengono a deporre in deferente omaggio ai loro piedi.126

Ma la bella favola ovidiana non è la sola a imprimersi nella memoria dei poeti del Cinquecento. Veniamo, pertanto, alla terribile vicenda di Procne e Filomena127, eroine di un universo mitico scarsamente popolato di protagoniste al

femminile. La loro storia è raccontata nel libro VI delle Metamorfosi, a vv.424-674. L’episodio inizia con il matrimonio fra Tereo, re della Tracia, e Procne, figlia di Pandione, che convince il suo sposo ad andare ad Atene per riportarle l’adorata sorella Filomena. Egli acconsente, ma durante il viaggio le usa violenza e, per precauzione, le taglia la lingua, impedendole così di denunciare l’accaduto; poi, la rende prigioniera e lascia credere a Procne che sia morta. Trascorso un anno, Filomena escogita l’espediente della tela, su cui ricama quello che ha subito. Un’ancella recapita la tela a Procne, che subito intende e accorre a liberare la sorella. Procne è accecata dall’ira e si dice pronta a vendicare Filomena a qualunque costo. L’improvvisa comparsa di Iti, suo figlio, imprime la svolta decisiva alla vicenda: il bambino viene ucciso senza esitazione dalla stessa madre e le sue carni imbandite a Tereo, che dopo la terribile scoperta si lancia all’inseguimento delle

125 A. Cipollone, Ovidio nel Petrarca volgare, in «Per leggere», 16, 2009, p. 157. 126 Ivi, p. 160.

127 Secondo la tra dizione greca è Procne l’usignolo, che pia nge l’uccisione del figlio, e Filomena la rondine, che con la lingua ta glia ta può emettere solta nto un ba lbettio, Cfr. A. Perutelli, G. Pa duano, E. Rossi, Storia e testi della lettera tura la tina , Za nichelli, Bologna , 2010, p.72 e sgg.; ma in quella la tina , in Ovidio e poi in Petra rca , è il contra rio: Progne ga rrisce perché è la rondine, Filomena piange perché è l’usignolo, che ritorna in Rvf CCCXI.

donne, ma, prima che egli possa raggiungerle, tutti e tre vengono tramutati in uccelli: Tereo in upupa, Procne in una rondine e Filomena in usignolo.

Petrarca fa riferimento al mito, anche se in maniera episodica, nei sonetti CCCX e CCCXI del Canzoniere128. Nel primo, in particolare, si serve della coppia

Procne/rondine e Filomena/usignolo per completare il quadro delle amenità primaverili, descritte nelle quartine con dovizia di particolari, e aggiungere un’eco flebile che lascia presagire il rovesciamento compiuto nelle terzine: al motivo topico del risveglio della primavera contrappone, infatti, la propria melanconia e il ricordo penoso dell’amata defunta, che gli impedisce di partecipare della bellezza che ha intorno.

Tra le poetesse, Gaspara Stampa è colei che gli si avvicina di più nel sonetto CLXXIII delle sue Rime129. La ripresa di Rvf CCCX è evidente, sia dal punto di vista formale, poiché, come scrive Fabrizio Bondi, la Stampa

riprende la rima A e due parole rimanti (lo stesso nome Filomena e la forma verbale “rimena”, che in Rerum

vulgarium fragmenta 310 è in punta al primo verso,

mentre in Stampa, Rime, CLXXIII è in punta all’ottavo verso (in posizione dunque simmetrica)130;

128 Si riporta qui il testo dei sonetti CCCX e CCCXI. Quest ’ultimo è lega to a l precedente, poiché riprende e amplifica il cenno al pianto di Filomena. In generale, l’usignolo è elemento ricorrente nell’ambiente valchiusano descritto nel Canzoniere.

Rfv CCCX

Zephiro torna , e 'l bel tempo rimena ,

e i fiori et l' erbe, sua dolce fa miglia , et ga rrir Progne et pia nger Philomena , et prima vera ca ndida et vermiglia . Ridono i pra ti, e 'l ciel si ra sserena ; Giove s' a llegra di mira r sua figlia ;

l 'a ria et l' a cqua et la terra è d' a mor piena ; ogni a nima l d' a ma r si riconsiglia .

Ma per me, la sso, torna no i piú gra vi sospiri, che del cor profondo tra gge quella ch' a l ciel se ne portò le chia vi; et ca nta r a ugelletti, et fiorir pia gge, e 'n belle donne honeste a tti soa vi sono un deserto, et fere a spre et selva gge.

Rvf CCCXI

Quel rosignuol, che sí soa ve pia gne forse suoi figli, o sua ca ra consorte, di dolcezza empie il cielo et le ca mpagne con ta nte note sí pietose et scorte, et tutta notte pa r che m' a ccompa gne, et mi ra mmente la mia dura sorte: ch' a ltri che me non ò di ch' i' mi la gne, ché 'n dee non credev' io regna sse Morte. O che lieve è inga na r chi s' a ssecura ! Que' duo bei lumi a ssa i piú che 'l sol chia ri chi pensò ma i veder fa r terra oscura ? Or cognosco io che mia fera ventura vuol che vivendo et la grima ndo impa ri come nulla qua giú diletta et dura .

129 Si riporta qui il testo del sonetto CLXXIII delle Rime di Ga spa ra Sta mpa: «Ca ntate meco, Progne e Filomena , / a nzi pia ngete il mio gra ve ma rtìre, / or che la prima vera e 'l suo fiorire / i miei la menti e voi, torna ndo, mena . // A voi rinova la memoria e pena / de l'onta di Tereo e le giust'ire; / a me l'a cerbo e crudo dipa rtire / del mio signore morte empia rimena . // Dunque, essendo più fresco il mio dolore, / a ita temi a miche a disfoga rlo, / ch'io per me non ho ta nto entro vigore. // E, se pia ce ad Amor ma i di scema rlo, / io pia ngerò poi 'l vostro a tutte l'ore / con qua nto stile ed a rte potrò fa rlo». 130 F. Bondi, “Cantate meco, progne e filomena”. Riscritture cinquecentesche di un mito ovidiano, in «Pa role Ruba te/Purloined Letters», 3, giugno 2011, pp. 39 -40.

ma soprattutto dal punto di vista topico-narrativo, poiché restituisce nel testo l’immagine della primavera che, tornando, fa rifiorire il ricordo «acerbo» e «crudo» della partenza di Collaltino.131

Ma il pianto condiviso con Procne e Filomena contiene ragioni più universali di quelle petrarchesche, in quanto espressione di una solidarietà femminile “che decentra il dolore del singolo per farne il collante di una società”132:

A differenza dei poeti di sesso maschile, nella cui poesia il mito è, sì, parte integrante della creazione artistica, ma nell’ottica cortese che accorda maggior peso all’aspetto estetico ed edonistico della favola133, le poetesse sviluppano le tematiche

offerte dai miti in modo meno impersonale. L’esempio di Gaspara Stampa è calzante, perché sfrutta la tragedia di Filomena e Procne per creare un ponte tra due violenze subìte: una antica, quella delle sorelle alate, e una presente, quella dell’io poetante Gaspara, che in tal modo esaspera il dolore procurato dall'abbandono di Collaltino. È il pianto reciprocamente condiviso a far sì che si crei un rapporto di complicità tra le figure femminili chiamate in causa:

nulla osta, infatti, a che la Stampa spartisca con le due […] anche un medesimo piano storico, comune all’una e alle altre dentro alla grande cornice del tempo dell’infelicità femminile.134

L’esempio di Tullia d’Aragona è diverso. Vediamo il sonetto: Qual vaga Philomena, che fuggita135

131 Il qua le, da ca pita no di uno squa drone della milizia di re Enrico II, via ggia spesso in Fra ncia e si solla zza presso la corte dei Va lois, con gra ve sdegno e gelosia di Ga spa rina . Cfr. l’introduzione di Ma ria Bellonci a lle Rime di Gaspara Stampa, cit. pp. 10 e sgg.

132 M. Fa rnetti, Liriche del Cinquecento, Ia cobelli editore, Roma , 2014, p. 263.

133 Ta lvolta , inca stona ti a d a rte nella na rra zione, i miti costituiscono nulla di più che un ra ffinato esercizio erudito, specie quelli che riporta no episodi di insubordina zione femminile. Ann Rosa lind Jones dimostra come, da pa rte di molti poeti, ta li fa vole venga no epura te degli elementi più sca brosi, e i persona ggi riscritti e utilizza ti sullo sfondo, come elementi orna mentali. Nel ca so del mito Procne e Filomena , a pa ssa re in secondo pia no sono, a d esempio, gli orrori di Tereo e, qua le esempio proba nte, Jones cita a lcuni versi dell’Arcadia di Sa nna za ro. Cfr. A. R. Jones, il ca pitolo New songs

for the swallow: Ovid’s Philomela in Tullia d’Aragona and Gaspara Stampa, pp. 263 e sgg., in Refiguring woman. Perspectives on Gender and the Italian Reinassance di M. Migiel e J. Schiesa ri,

Cornell university Press, Ita ca a nd London, 1991. 134 M. Fa rnetti, Liriche del Cinquecento, cit., pp. 262-263.

135 Sonetto su qua ttro rime a schema ABBA ABBA CDC DCD. Le rime B e D sono interessa te da lla consona nza, rispettiva mente, del nesso /-rb/ e /-gl/; inclusiva la rima «superba :erba »; ricca «voglie:doglie». Il v. 4 contiene l’allitterazione della /t/, resa ancor più evidente dalla presenza della parola ‘libertà’ nella forma arc. «libertate»; sono molto frequenti del lessico di Tu llia le parole

è da la odiata gabbia, e in superba vista sen’va tra gli arboscelli, e l'herba, tornata in libertate, e in lieta vita; er'io da gli amorosi lacci uscita, schernendo ogni martìre, e pena acerba de l'incredibil duol, ch'in sé riserba qual ha per troppo amar l'alma smarrita. Ben havev'io ritolte (ahi Stella fera) dal tempio di Ciprigna le mie spoglie, et di lor pregio me n'andava altera; quand'a me Amor– Le tue ritrose voglie muterò –, disse; e femmi prigioniera di tua virtù, per rinovar mie doglie.

Tullia non esorta le sventurate sorelle a modulare il canto insieme, ma s’identifica direttamente con una di loro. La scelta ricade su Filomena, proprio nel momento in cui riesce a fuggire dall’«odiata gabbia» e a librarsi in volo in forma d’usignolo. Tuttavia, a differenza della Stampa e di Petrarca CCCX – e a somiglianza, piuttosto, del CCCXI –, usa «Philomena» come semplice sinonimo di ‘usignolo’, scappato dalla gabbia (che è una gabbia da uccellini) nella quale sarebbe stato destinato a morire, senza fare riferimento alla vicenda del mito136. Tralascia,

quindi, il riferimento al planctus, che è l’elemento caratteristico della vicenda137 e

si sofferma, invece, sulle nuove sensazioni di libertà e benessere sperimentate da Filomena in seguito alla sua scarcerazione.

L’identificazione tra io lirico e creatura alata viene espressa da una similitudine che unisce la prima e la seconda quartina, e ricorda nella struttura le similitudini dantesche della Commedia. Ora, se Filomena è la personificazione mitica della poetessa, «l’odiata gabbia» del v.2 si accorda bene con gli «amorosi lacci» del v.5. Quest’ultimo sintagma, «amorosi lacci», può essere facilmente inteso

tronche e, qui in particolare, le coppie di parole interessate da elisioni: «er’io» e «avev’io» sono le più significa tive, perché foca lizza no ed esa lta no gra zie a ll’inversione il pathos sull’io na rra nte. Il componimento occupa la posizione n°30 nella ra ccolta di rime dell’Ara gona . Frequentissimi gli

enjambements e le a na strofi.

136 Anche Ariosto si a utodefiniva “rosignuolo in ga bbia ”, a lludendo a l suo ra pporto con gli estensi. Cfr. Ariosto, Satire, IV, vv.37-42: «Ma l può dura re il rosignuolo in ga bbia ; / Più vi sta il ca rdellino e più il fa nello; / La rondine in un dì vi muor di ra bbia . / Chi bra ma onor di sprone o di ca ppello, / Serva re, duca , ca rdina le o pa pa : / Io no, che poco curo questo e quello».

137 Nel mito, così come in Petra rca e in Sta mpa , il pia nto delle sorelle vola tili è il loro cinguettio, che annuncia l’arrivo della primavera.

come la rappresentazione visiva di quei vincoli, delle schermaglie erotiche e dei vagheggiamenti che, in passato, resero Tullia prigioniera della passione e le costarono grande «pena» e «martire». Non fosse per il v.8, di dantesca memoria, che prelude a un tormento più profondo e intimo di quel che appare in superficie, penseremmo che la poetessa si limiti a evocare nel testo il ricordo di vecchi amori, esperienze di cui crede illusoriamente d’essersi liberata per sempre e che fungono da monito per il futuro. Anzi, nella seconda quartina «ogni martire e pena acerba»138

è oggetto di scherno, cioè gli aspetti del dolore che immancabilmente prova colui che ha «l’alma smarrita» a causa del continuo e del troppo amare.

Ma ascrivere l’intero processo di scrittura all’influenza dell’amore non spiega granché, o perlomeno non spiega tutto. Il verso che contiene «alma smarrita» rinvia a quella galassia di cure, di inquietudini e apprensione che ormai abbiamo imparato a riconoscere e che gioca un ruolo importante nella poetica dell’Aragona. È interessante la riflessione di A. R. Jones:

“Smarrita”, in its Dantesque overtones, implies repentance, or at least a recognition of the spiritual consequences of passion; thus Tullia hints at the conversion she claimed throughout her collection of poems, in an attempt to win the support of her royal patrons, the Medici.139

Il desiderio di occupare un posto privilegiato nei ranghi degli intellettuali al servizio del ducato fiorentino è il motivo propulsore che innesca la scrittura e pubblicazione dei sonetti; anche Qual vaga Philomena, che fuggita, che abbiamo classificato come sonetto d’amore, prende parte a questa operazione. Ma l’amore rappresenta per Tullia un’insidia, perché, in quanto cortigiana, è più esposta agli sguardi indiscreti dei numerosi detrattori e al rischio di critiche o di insinuazioni pericolose per la sua immagine. Tullia canta l’amore, poiché vuole dimostrare di esserne in grado140, ma al contempo ne prende le distanze per paura di essere

fraintesa. Per esser più precisi, si potrebbe dire che il rifiuto della dimensione passionale e terrena dell’amore è doppiamente motivato: da una parte è un topos

138Dittologia sinonimica: i termini ‘martire’ e ‘pena’ esprimono lo stesso significato, che risulta così potenzia to.

139 A. R. Jones, New songs for the Swallow, cit., p. 274.

140 Si ricordi la sfida la ncia ta da Ma nnelli e ra ccolta da Tullia , nel sonettoPoi che mi diè natura a

comune del petrarchismo d’impronta spirituale; dall’altra è la conseguenza immediata di un malessere pratico, reale, che si connette a quell’aspetto di autobiografismo lirico che abbiamo osservato sopra. Per Tullia è fondamentale sbarazzarsi, anche solo poeticamente, dell’immagine scomoda e immiserente della cortigiana141: ecco perché la sua scelta ricade sul personaggio di Filomena, che nel

Cinquecento della poesia femminile, assieme a Eco, assurge a simbolo di libertà. Per alcune può rappresentare la libertà dalla prigione del silenzio, o da quei costumi imposti con la forza dalla società coeva ispirata da sessismo, come osserva Ann Rosalind Jones quando scrive:

resisting contemporary injunctions to silence and modesty, the Cinquecento women poets reworked Ovid’s male-voiced ventriloquism and stories of linguistic mutilation for their own ends142.

Nel caso di Tullia d’Aragona, il volo di Filomena rappresenta una parentesi fugace di libertà dalla prigionia psichica dell’amore e del commercio erotico. In quest’ottica, gli «amorosi lacci» e «il tempio di Ciprigna», cioè di Venere, quindi della bellezza e dell’amore terreno, si trasformano in metafore del mondo delle cortigiane.

141 Per la stessa ra gione ha chiesto e ottenuto l’esenzione da l velo gia llo, che a vrebbe tra dito la propria ignobile fonte di sostenta mento.