• Non ci sono risultati.

3.2 Analisi dei sonetti d’amore a ignoto interlocutore

3.2.6 Se ben pietosa madre unico figlio

Nel sonetto precedente Tullia si proietta col pensiero in uno scenario disastroso in cui è costretta a scontare il dolore del rifiuto dell’amato; rifiuto, fra l’altro, che origina da un malinteso. Solo nell’ultima terzina capovolge la situazione, inviando un segnale di speranza. In altre parole dice: ‘ma se io non lo feci, il vostro ostinato orgoglio si converta in amore e per lungo tempo sia dolce il frutto del mio bel desiderare’. L’ingiuria, così, dovrebbe scivolare su di lei, che punta a costruirsi una fama specchiata.

Tuttavia, nel sonetto che segue le cose non sembrano migliorare per Tullia, che forse non è riuscita a riparare al danno cagionato dai pettegolezzi alla sua immagine; l’incubo di perdere definitivamente l’altro è ancora lì, sospeso, minaccioso.

Si legga:

Se ben pietosa madre unico figlio169

perde talhora, e nuovo alto dolore le preme il tristo e suspiroso core, spera conforto almen, spera consiglio. Se scaltro Capitano in gran periglio, mostrando alteramente il suo valore, resta vinto, e prigion, spera uscir fuore quando che sia con baldanzoso ciglio. S'in tempestoso mar giunto si duole spaventato Nocchier, già presso a morte ha speme anchor di rivedersi in porto. Ma io, s'avvien che perda il mio bel sole, o per mia colpa, o per malvagia sorte, non spero haver, né voglio, alcun conforto.

Tralasciando per il momento la terzina finale, vediamo che Tullia immagina tre personaggi da prendere come punto di riferimento. Sono alle prese con situazioni critiche molto diverse, la cui descrizione occupa lo spazio di una strofa, nell’ordine:

169 Sonetto su cinque rime a schema ABBA ABBA CDE CDE. La rima B condivide la voca le tonica con C, D ed E; le pa role rima «morte» «sole» e «sorte» sono interessa te da a ssona nza; Il sonetto è scandito dall’anafora di «Se», che interessa le due quartine e la prima terzina. «Tristo» è p arola dantesca. Il componimento occupa la posizione n°33 nella raccolta di rime dell’Aragona.

una madre che ha perso l’unico figlio; un capitano valoroso caduto in preda del nemico; un nocchiero disperso nel mare in tempesta.

Dei tre raffronti istituiti il primo è sicuramente il più interessante, poiché occupa una posizione di grande evidenza; l’attenzione riservata all’universo femminile e al tema della maternità piegata dal lutto è un elemento di novità, che attira un’importante fetta di pubblico, quello delle lettrici, che si riconoscono in questo dramma umano a loro familiare. Inoltre, come scrive Ann Rosalind Jones:

her opening focus on the woman’s loss establishes a feminine frame of reference, so that her comment on her own emotional state in the final tercet completes the pattern and reinforces the contrast the sonnet is designed to assert.170

D’altra parte il cordoglio legato alla perdita di una figura significativa è un’esperienza universale, con la quale chiunque deve imparare a convivere, pertanto è messa sullo stesso piano delle altre due che seguono.

Le strofe successive ritraggono eroi di sesso maschile, fra cui spicca il nocchiero disperso nel mare tempestoso. Baldacci nella sua edizione dei Lirici del Cinquecento – a parte avvisare i lettori che il presente sonetto è dedicato a Piero Mannelli –, specifica che il sintagma «tempestoso mare» è nel Petrarca, al v. 67 della canzone Vergine bella, che, di sol vestita171.

Quella della navigazione è, di fatto, tra le più riuscite metafore di vita del Canzoniere, e accompagna l’opera nel suo dipanarsi172, indicando una condizione

esistenziale di cui l’io percepisce tutto il pericolo di smarrimento. Nella seconda parte del Canzoniere questo timore si acuisce e si mescola a un generale sconforto; perfino le immagini ritratte si fanno più cupe e disperate: la tempesta spezza l’albero e le sartie, il nocchiere non è più in grado di manovrare la nave e gli occhi di Laura – le stelle che guidavano la navigazione – sono ormai vuoti, spenti, così com’è spenta ogni speranza di raggiungere il porto della salvezza. Sarà la canzone finale, Vergine bella, che, di sol vestita, a segnare la svolta decisiva nella narrazione. La preghiera costituisce, difatti, una palinodia nei confronti della vicenda d’amore narrata nel Canzoniere: stavolta, a guidare il poeta verso il porto sicuro ci penserà 170 A. R. Jones, Currency of Eros: women’s love Lyric in Europe, cit., p.113.

171 Rvf CCCLXVI

la Vergine, vera stella maris, l’unica in grado di assicurare il buon esito del suo viaggio.

Ora, il sonetto di Tullia testimonia un’adesione attenta al codice petrarchesco, che tuttavia viene da lei rielaborato e interpretato. La poetessa sfrutta la figura del nocchiero, poiché è nota a tutti i poeti, ma tralascia la riflessione morale/spirituale sul destino ultimo dell’uomo, per concentrarsi soprattutto sul valore esemplare della singola esperienza.

Parimenti, tutti e tre i personaggi del sonetto sperimentano emozioni forti, che mettono a dura prova il loro spirito, ma nessuno di loro abbandona la speranza: la madre pietosa spera di ricevere un conforto o un consiglio che possa alleviare la sua sofferenza; il capitano militare spera si presenti l’occasione per evadere coraggiosamente dalla prigione nemica; il nocchiero spera di riuscire a raggiungere il porto, nonostante le condizioni sfavorevoli in cui versa. Il verbo ‘sperare’, opportunamente coniugato, è un Leitmotiv nel sonetto.

E dopo aver ricondotto l’esperienza del dolore sotto il segno della resilienza e della speme, l’ultima terzina, con la condizionale introdotta dal ‘ma’ avversativo, va a rovesciare completamente la situazione, infatti – scrive Tullia – ‘se dovesse avvenire che io perda il mio bel sole’, ossia l’amato, ‘non spero, né desidero avere alcun conforto’.

Il verso finale, in particolare, è spiazzante, in quanto riprende l’ultimo verso della prima quartina: se accostiamo il v.4: «spera conforto almen, spera consiglio» al v.14: «non spero aver, né voglio, alcun conforto.», ci accorgiamo che si richiamano a vicenda ma, specularmente, sono l’uno l’inverso dell’altro.

L’io lirico si rifiuta, quindi, di emulare gli individui virtuosi contemplati sopra.