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Tullia compone principalmente sonetti. Solo in tre casi si discosta da questa forma metrica: il madrigale n.23, lo strambotto n.37 e la sestina n.38, che chiude la prima sezione delle Rime. Predilige lo schema a cinque rime, il più ricorrente in assoluto dei quali è quello a rime incrociate e ripetute ABBA ABBA CDE CDE, che è anche il preferito da Petrarca, con 23 presenze; segue lo schema ABBA ABBA CDE DCE, con 8 presenze, e quello a quattro rime ABBA ABBA CDC DCD, con 5 presenze237.

Tra le famiglie di rime riconducibili ai Rvf, lo schema ‘foco: loco: poco (:gioco)’ appare in tre sonetti: il 25, il 29, e 34. Notevole l’impiego, nel sonetto n. 36, della rima ‘sempre: tempre’, che è dantesca238, ma usata e mediata da Petrarca.

Il registro linguistico dell’Aragona si mantiene mediamente alto e non dà adito a commistioni con le parole ‘basse’ del lessico popolare, o del fiorentino vivo. La lingua viene limata ed epurata per accogliere forme letterariamente più nobili, ad esempio i latinismi, come «unqua», e citazioni colte, tratte per lo più dal modello petrarchesco e dantesco.

Poiché la lirica di Tullia si compone di sonetti di corrispondenza e di occasione, con qualche incursione nel genere pastorale, i toni variano dall’encomiastico, all’idilliaco, all’elegiaco. Gli appellativi che la poetessa utilizza nei sonetti per apostrofare i dedicatari indicano vari livelli di familiarità. Per i membri della famiglia medicea ricorre anche a eleganti perifrasi; per gli altri interlocutori, invece, ai titoli di “signor”, “messer”, oppure al semplice cognome o nome proprio. Come scrive Hairston,

In the hierarchy of address, the reader should note that in d’Aragona’s canzoniere a simple last name functions as a signal of familiarity in that she reserves it for very few figures; the sole figures she addresses by last name only

237 Sono presenti ulteriori va ria zioni nello schema delle terzine che ricorrono in numero tra scura bile. 238 Cfr. Pg XXX 92-6.

are Francesco Maria Molza, Benedetto Varchi, Girolamo Muzio, Antonfrancesco Grazzini (whom she also refers to by his pastoral appellative, “il Lasca”) and Simone Porzio.

Le parole che compongono il lessico dell’Aragona sono interessate da metaplasmi, cioè figure che modificano l’aspetto sonoro e grafico delle parole. Nella maggior parte dei casi si tratta di parole apocopate, ma ci sono frequentissimi casi di elisione, di sincope – decisamente preferite le forme senza dittongo, del tipo «core», «foco» – , e di epitesi, come nel caso di «etade», «bontade», «virtute» che sono canoniche del lessico petrarchista.

Il periodare si avvale di iperbati e anastrofi, complicati dalle inarcature sintattiche, o enjambements, che rendono più ricco e sostenuto il ritmo dei versi. Si registra qualche chiasmo, ad esempio in Rime 10, v.8: «col pianto vostro, e co' i vostri sospiri.»; e un caso di anadiplosi in Rime 19, 4-5: «che con voi l’anima mia ne giace insieme. / L’anima mia ne giace, e ’l petto geme».

A proposito delle figure di pensiero, come i rimatori contemporanei che si rifanno al Canzoniere, Tullia accoglie da un lato la tendenza alla contrapposizione tra parole e concetti di significato antitetico239, quindi propone nelle sue Rime

antitesi come «morte e vita» e sinonimi240, oppure «amena e cruda»241; dall’altro

utilizza frequenti dittologie sinonimiche, come in Rime 3, v.6: «v'honoro, e colo»; o ancora in Rime 12, v.3: «caduco e frale»; ed endiadi, ad esempio in Rime 17, v.10: «mira la velenosa e cruda rabbia»; o in Rime 18, 5: «chi fia che leggi così crude e torte». Spesso queste figure si trovano in clausola di verso per arrotondare il ritmo e compiere la rima.

Altre figure di pensiero frequenti sono le domande retoriche e le esclamazioni tra parentesi: strategie espressive di cui Tullia si serve solitamente per ingenerare nel lettore l'impressione che a scrivere sia una persona umile, consapevole dei limiti della conoscenza e dell'intelligenza propria.

239 Ta lvolta gli a bbina menti a ntitetici occupa no interi versi, come nel ca so di Rime 7, v.7: «severa pieta te e dolce a sprezza ».

240 Si veda no Rime 35, vv.3-4: «ov'è (la ssa ) il bel viso, onde l'a rdore / na sce, che mena la mia vita a l fine?»; vv.5-6: «Ove son quelle luci a lte e divine / in cui dolce si vive e insieme more?»; e vv. 9- 10: «Ove suona n l'a ngeliche pa role, / ch'in un momento mi da n morte e vita ?».

241Come in Rime 34, v.10: «pregoti per l'a rdor che sì m'a ddoglia , / ne voli in quella a mena e cruda va lle».

Per quanto riguarda le figure retoriche di ripetizione, l’Aragona ricorre spesso all’anafora.

Alla climax, presente in qualche caso per creare l’effetto di una progressione – soprattutto quando si riferisce ai fatti negativi della propria esperienza personale– , preferisce l’elenco, ad es. in Rime 10, v.4 «celesti, ardenti, alti zaphiri»; Rime 17, v.6 «monti, e piaghe, e mille prede»; Rime 20, vv.10-11: «languisce e piagne ogni sterpo e ogni sasso,/e le fiere e gli augelli in ogni parte».

Scorrendo nella lettura ci imbattiamo anche in qualche parallelismo: come in Rime 21, vv.1-4: «Varchi, da cui giammai non si scompagna/il coro de le Muse, e ch'a l'affanno / com'a la gioia, a l'util com'al danno / sempre avete virtù fida compagna».

La persistenza con cui un’immagine riappare nell’opera è spesso indice della volontà di farne un simbolo o anche un’icona del messaggio, o di uno dei messaggi, che l’autore intende comunicare. Fra le parole, abbiamo isolato il sostantivo «morte», che conta 16 occorrenze, e i suoi derivati, come «mortale» (4 occorrenze), o composti, come «immortale»242 (3 occorrenze). Sei occorrenze della

parola «morte» fanno riferimento al tema della fama in vita e presso la posterità. Il tema è fondamentale nella poetica di Tullia, difatti sono molti i poeti e le personalità illustri a cui ella raccomanda il suo buon nome. Ne offriamo di seguito qualche esempio: Rime, 7, dedicata a Cosimo I, vv.12-14: «E se al caldo disìo fia mai concesso / stile al suggetto ugual, ritrarne spero / fama immortal, dopo la morte ancora»; oppure Rime 22, a Benedetto Varchi, vv.12-14: «Ma s'a me pur così convien finire, / la penna vostra almen, levi il mio nome / fuor degli artigli d'importuna morte.»; ancora, a Lattanzio Benucci, Rime 50, vv.1.4: «Io ch’a ragion tengo me stessa a vile, / né scorgo parte in me che non m'annoi, / bramando tormi a morte e viver poi / ne le carte d'un qualche a voi simile».

L’altra parola che appare con grande frequenza è «sorte» (12 occorrenze), insieme al suo sinonimo «fortuna» (8 occorrenze). La parola viene spesso accompagnata da aggettivi come «ria/rea», «aspra», «malvagia», «contraria», «empia». L’allusione è quasi sempre al mestiere della cortigiana, un destino che normalmente non si sceglie, si eredita.

Venendo al rapporto con i modelli, di seguito metteremo alcuni passi a confronto, al fine di rendere l’analisi più perspicua. Tra i vari sintagmi che affollano i sonetti, ne rintracciamo alcuni di diretta derivazione petrarchesca, ad esempio «verde etade»:

Rvf CCCXV, v.1

Tutta la mia fiorita et verde etade

Rime 18, v.2;

l'alma gentil, ch'in sua più verde etade Sintagma che Tullia varia in «verd’anni», in Rime 2, v.10: «Nel primo fior dei più verd’anni».

Il sintagma «bel viso», con cui Petrarca rappresenta la fisionomia di Laura, viene ripreso da Tullia e riferito ad ignoto amante, in un sonetto, considerato a ragione da Hairston come un vero e proprio blasone della lirica amorosa petrarchista, Ov’è (misera me) quell’aureo crine, che abbiamo analizzato nel capitolo 3243:

Rvf CCCXXI, vv.6-7

Ov’è il bel viso onde quel lume venne Che vivo et lieto ardendo mi mantenne

Rime 35, vv.3-4

ov'è (lassa) il bel viso, onde l'ardore nasce, che mena la mia vita al fine

In questo caso possiamo anche parlare di corrispondenza ritmico-sintattica. È altresì utile osservare il sonetto di Tullia n.10, composto per consolare la duchessa Eleonora di Toledo duramente colpita dalla morte del figlio Pietro. È un caso isolato nella raccolta, poiché vede come voce narrante proprio il bambino defunto, raffigurato come un angelo,l’unico caso di prosopopea nelle Rime. Come ha giustamente notato anche Celani nella sua edizione delle Rime di Tullia, il modello per la raffigurazione del «novo angeletto» è offerto dal madrigale CVI del Canzoniere. La forma vezzeggiativa, che in Petrarca rinvia al genere minore della composizione, nelle Rime è impiegata per stemperare il tono alto e solenne della fronte, dando sul finale una connotazione affettiva:

Rvf CVI, vv.1-2

Nova angeletta sovra l’ale accorta scese dal cielo in su la fresca riva

Rime 10, vv.13-14

Vedendo fatto me novo angeletto qui bramareste, e non vedermi in terra. Altri sintagmi che rimandano alla scrittura petrarchesca sono «fero destino»:

TM III, v.48

prevento fu dal suo fero destino Rime 18, v.12 Rime 18, v.12

Rime 18, v.12

Io per me dopo sì fero destino

Rime 47, v.5

Ma, lassa, invan m'affanno (o destin fero)

e «folle desio», che Tullia varia in «folle ardir»: Rvf VI, v.1

Sí travïato è 'l folle mi' desio

Rvf XIX, v.5

et altri, col desio folle che spera

Rime 15, vv.12-14

E o non pur da voi si prenda a sdegno mio folle ardir, che se 'l sapere è poco non è poco, Signor, l'alto disìo. L’Aragona imita Petrarca anche nel modo di costruire i versi. Si vedano i seguenti esempi:

Rvf CIV, v.5

Però mi dice il cor ch’io in carte scriva Rime 9, v.5 Mi dice un bel pensier, che di voi scriva

Rvf XII, v.12

E se ’l tempo è contrario ai be’ desiri

Rime 28, v.12

Non contenda rea sorte il bel desìo

Rvf LXX, v.11

Ragion è ben ch' alcuna volta io canti

Rime 11, vv.9-10

Ragion è ben, che con eterni onori vi cantin tutti gli spirti più rari c

Quanto ai motivi narrativi più significativi, da Petrarca Tullia deriva il topos della vita come navigazione, rappresentato con la metafora della barca nel mare in tempesta, guidata da un nocchiero che tenta di rientrare in porto. L’abbiamo già considerato analizzando il sonetto n.33: Se ben pietosa madre unico figlio244; in quel contesto avevamo isolato il sintagma «tempestoso mar», che ricorre identico nella famosa Canzone alla Vergine:

Rvf CCCLXVI, vv.66-68

Vergine chiara et stabile in eterno, di questo tempestoso mare stella, d' ogni fedel nocchier fidata guida

Rime 33, vv.9-11

S'in tempestoso mar giunto si duole spaventato nocchier già presso a morte ha speme ancor di rivedersi in porto.

La figura del nocchiero appare anche in Rime 23, ai vv.7-9: «E l’alto Iddio lodar ben spesso suole/dopo l’aspra fortuna / spaventato nocchier al porto

intorno.»245. Naturalmente Tullia non è la sola poetessa nel Cinquecento a sfruttare

la metafora marinaresca per esprimere la propria condizione interiore, anche Vittoria Colonna ne fa uso. Nella canzone 89 delle sue Rime Amorose la marchesa di Pescara dice che da quando il marito-nocchiere è scomparso si sente come una nave senza guida e in balìa delle onde: vv.1-3 «Mentre la nave mia, lungi dal porto, / priva del suo nocchier che vive in Cielo, / fugge l’onde turbate in questo scoglio». Un altro esempio è offerto da Gaspara Stampa, che in Rime d’amore LXXII, costruisce un’allegoria della sua vita sul tema della navigazione. Si legga:

La mia vita è un mar: l’acqua è ’l mio pianto, i venti sono l’aure de’ sospiri,

la speranza è la nave, i miei desiri la vela e i remi, che la caccian tanto. La tramontana mia è il lume santo de’ miei duo chiari, duo stellanti giri, a’ quai convien ch’ancor lontana i’ miri senza timon, senza nocchier a canto.

Le perigliose e súbite tempeste son le teme e le fredde gelosie, al dipartirsi tarde, al venir preste.

Bonacce non vi son, perché dal die che voi, conte, da me lontan vi feste, partir con voi l’ôre serene mie.

Per Tullia la mediazione petrarchesca è determinante anche per la topica amorosa: per l’idea della vendetta di Amore su chi lo disprezza; per la descrizione della fenomenologia della passione, dell’amore non corrisposto e delle pene d’amore. Tutti temi che portano gli strascichi della tradizione letteraria cortese antecedente246, come abbiamo osservato nel capitolo terzo. Eppure, Tullia si

dimostra capace di dare “espressione con disarmante schiettezza alle proprie

245 Per la meta fora ma rina resca si veda no a nche Rvf LXXX, vv.1-6:«Chi è ferma to di menar sua vita / su per l'onde fa lla ci e per gli scogli / scevro da morte con un picciol legno, / non pò molto lonta n esser da l fine: / però sa rebbe da ritira rsi in porto / mentre a l governo a ncor crede la vela .»; e a nche Rvf CCXXXV e CCLXXII.

personalissime esperienze di vita e d’amore”247. Inoltre, il tema dell’amore è fortemente intrecciato con l’insoddisfazione della vita da cortigiana e col desiderio di liberarsi dalle catene del commercio erotico: un significato aggiunto, frutto dell’elaborazione originale della poetessa, che la distingue sensibilmente dai modelli coevi.

Il Canzoniere rappresenta, sì, l’archetipo della poesia dell’Aragona, ma gioca un ruolo essenziale anche la Commedia, oggetto di studio e di pubbliche letture in seno all’Accademia Fiorentina, che ne faceva un prestigioso e imprescindibile modello di riferimento. Tullia esibisce Dante quando sa di rivolgersi a un personaggio dotato di raffinata educazione umanistica. Ecco alcuni esempi di corrispondenza sintagmatica e ritmico-sintattica con alcuni passi della Commedia:

Pg I, v.8

O sante Muse, poi che vostro sono

Rime 13,vv.4-5

virtù colmar le sante Muse il seno; poi che ’l cor vostro è d’alto valor pieno

Un altro esempio è tratto da Rime 13, con dedica a Don Luigi Álvarez di Toledo, il fratello della Duchessa Eleonora. Nel sonetto Tullia prende in prestito le parole che Dante, nel celebre canto XIII dell’Inferno, mette in bocca a Pier delle Vigne, consigliere suicida dell’imperatore Federico II:

Inf XIII, vv.58-59

Io sono colui che tenni ambo le chiavi Del cor di Federigo, e che le volsi

Rime 13, v.11-12

Voi sete quel, c’havete ambe le chiavi di quegli eccelsi, e gloriosi Cori

Nella Commedia il cuore di ‘Federigo’ è paragonato a uno scrigno di cui il dannato, quando era ancora in vita, teneva ambedue le chiavi: quella che serviva ad aprire, cioè ad ottenere ascolto e benevolenza, e quella che serviva a chiudere, cioè a indurre il rifiuto. Nelle Rime la metafora è impiegata in modo identico, riferita ai cuori del Duca e della Duchessa di Firenze. Si noti che la ripresa di Dante non si limita alla retorica del cuore come uno scrigno: l’aggettivo «eccelsi» richiama fonicamente il «volsi» dantesco.

247 M. Antes, Tullia d’Aragona, cortigiana e filosofa, cit., p. 12. Qua nto a lla ‘schiettezza ’ di Tullia , è un a ltro a spetto interessa nte delle Rime che a bbia mo tra ttato nel ca pitolo qua rto di questa tesi. Cfr. pp. 91 e sgg.

Ancora a proposito del tema della navigazione, questa volta però come allegoria dell'opus di espressione-scrittura delle poesie, si confrontino i due esempi successivi:

Pg I, vv.1-6

Per correr miglior acque alza le vele omai la navicella del mio ingegno che lascia dietro a sé mar sì crudele; e canterò di quel secondo regno dove l'umano spirito si purga e di salire al ciel diventa degno.

Rime 14, vv.9-14

Non s’assicura nel profondo seno Di vostre glorie entrar mia navicella sotto la scorta del mio cieco ingegno. Solchi ’l gran mar di vostre lodi a pieno più felice alma, a cui più chiara stella porga favore in più securo legno.

La navicella dantesca indica insieme il viaggio oltremondano e la composizione del poema, che si lascia alle spalle le bassezze infernali per avventurarsi in acque migliori. Nel sonetto di Tullia, oltre alle reminiscenze di «navicella» e «ingegno», che rinviano all’argomento dello stile, si noti che al v.9 la parola lirica «seno», presente in Dante e in Petrarca con riferimento al dettaglio anatomico femminile, oppure alla cavità di una superficie o di un luogo, viene qui adottata come tecnicismo, a indicare il tratto di mare di non grande estensione interposto tra due terre emerse unite, sede di porti e ancoraggi; inoltre «ingegno» fa rima con «legno» al v.14, altra parola dantesca, che appare come sineddoche di barca nei ben noti Inf III, 93; VIII, 28; XXI, 11; XXII,21; XXVI, 101; Par II, 3; XIII, 136.

La ripresa di Pg I è evidente, ma Tullia sfrutta il consueto topos della modestia: ci tiene a dichiarare al suo interlocutore quanto sia debole il proprio stile in confronto a quello degli altri rimatori. Tullia sembra ribaltare la situazione che Dante offre in Par II, ai vv.1-6: «O voi che siete in piccioletta barca, / desiderosi d'ascoltar, seguiti / dietro al mio legno che cantando varca, / tornate a riveder li vostri liti: / non vi mettete in pelago, ché forse, / perdendo me, rimarreste smarriti.». Le terzine dantesche avvisano il lettore della difficoltà della materia che l’autore tratterà nell’ultima cantica. È sottinteso che la sua imbarcazione è solida e in grado di proseguire il viaggio verso la tappa più importante ed elevata della poesia. Tullia, dal canto suo, sente invece che il compito di cantare le lodi di un personaggio illustre come Don Pedro è impresa troppo alta per la sua «piccioletta barca».

Per concludere, anche il sonetto dedicato a Pietro Bembo, Rime 15, è una cassa di risonanza per la diffusione di echi danteschi248:

Inf XXXIII, v.28

Questi pareva a me maestro e donno

Rime 15, v.4

o sol d’ogni saper maestro, e donno Tullia rielabora in modo originale la metafora del sonno249 e la realtà morale

dell’individuo smarrito250, che riconosce una guida nel poeta-maestro cui ha

dedicato lungo studio e grande amore.

248 Cfr. §3.2, pp. 85 e sgg.

249 vv.1-2: «Bembo, io che fino a qui da gra ve sonno / oppressa vissi, a nzi dormii la vita ». 250 vv.5-6 «desta a pro gli occhi, sì ch’a perti ponno / scorger la stra da di virtù sma rrita ».