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3.2 Analisi dei sonetti d’amore a ignoto interlocutore

3.2.1 Poi che mi diè natura a voi simile

Abbiamo detto che un gruppo di poesie d’amore subentrano al sonetto dedicato a Piero Mannelli: questa circostanza, forse accidentale forse no, per un errore di valutazione ha dato adito a un malinteso: che tra Tullia e Piero ci fosse una liaison intima e che le liriche descrivessero la fisiologia e l’evoluzione del loro rapporto.

Considerando tali premesse, era normale aspettarsi che il sonetto per il concupito Mannelli fosse intriso di sentimento, che ci offrisse la celebrazione di una passione sensuale, anche se velata di Neoplatonismo, o magari il resoconto del primo incontro fatale con l’uomo. Nulla di tutto ciò. Anzi, sorprenderà sapere che si tratta di un sonetto di sfida.

Di seguito, ne riportiamo il testo:

Poi che mi diè natura a voi simile112

forma, e materia; o fosse il gran Fattore, non pensate ch'ancor disìo d'honore mi desse, e bei pensier, MANEL gentile? Dunque credete me cotanto vile,

ch'io non osi mostrar cantando fore, quel che dentro n'ancide113 altero ardore,

se bene a voi non ho pari lo stile? Non lo crediate, no, PIERO, ch'anch'io fatico ognihor per appressarmi al cielo, et lasciar del mio nome in terra fama. Non contenda rea sorte il bel disìo, che pria che l'alma dal corporeo velo si scioglia, satierò forse mia brama.

112 Sonetto su cinque rime a schema ABBA ABBA CDE CDE. Ca nonica la rima «simile (na tura lmente con accento sulla penultima silla ba ):stile»; frequenti, come sempre, gli enjambements. Le pa role sono quelle del lessico petra rchesco, ma a nche da ntesco, a d es. «fore» e «a ncide». Il componimento occupa la posizione n°28 nella raccolta di rime dell’Aragona.

113 Nell’edizione a sta mpa del 1549 trovia mo la va ria nte «m’a ncide», ma Tullia pa rla in genera le: tutti sperimenta no questo tipo di a more, ma n on tutti sono in gra do di ca nta rlo. Lei sì.

La domanda retorica della prima quartina contiene il riferimento colto alle nozioni di forma e materia, che strizzano l’occhio alla filosofia aristotelica, la quale porta avanti l’idea di sinolo, ovvero di unione indissolubile di materia e forma in ogni sostanza. Tullia se ne avvale, con le dovute licenze artistiche, per marcare ancor di più il concetto che fra lei e Mannelli non vi è alcuna differenza, simili nel corpo così come nell’anima, di cui i «bei pensieri» sono, tra le possibili estensioni, quella privilegiata.

Anzi, la poetessa dimostra di averli proprio a cuore «i bei pensieri» che, in quanto metafora della poesia, si nutrono di parole, come «disìo», la più importante, che apre e chiude il sonetto, che proviene dalla tradizione siciliana e accresce d’intensità emotiva e pathos quanto viene rivendicato come perfettamente possibile, anzi naturale, ossia il desiderio di fama e di pubblico riconoscimento, che infiamma la scrittrice ed è fonte di ispirazione per i suoi versi migliori.

Questo pathos assume i toni dell’indignazione, nella seconda quartina. Tullia non ha smesso di incalzare l’interlocutore con una seconda domanda retorica – ‘davvero mi credete tanto vile?’ – e chiarisce finalmente che tra i due è sfida aperta. Anche Ann Rosalind Jones, a proposito, scrive che:

Tullia stresses the similarity of temperament and ambition between herself and Mannelli in an opening challenge that sets up a poetic contest rather than an amorous duet114

Una challenge, dunque, per reagire all’offesa fattale dal giovane, le cui considerazioni critiche hanno per oggetto il dire d’amore. Tullia si difende dall’accusa rivoltale di non avere il coraggio di cantare in versi «quel che dentro n’ancide altero ardore».

«Altero» e «ardore» sono due termini molto comuni nel lessico petrarchista, benché difficilmente si ritrovino appaiati, per via dei significati opposti di cui sono portatori. Il primo è un aggettivo che ha a che fare con l’atteggiamento morale di chi si oppone al sentimento amoroso, o all’universo delle cose profane, negandole. È associato al distacco aristocratico, elevato, sovente motivato dalla Fede in Dio, che rappresenta il valore ultimo a cui ascendere. Colei che fa uso assiduo di questa parola è la poetessa Vittoria Colonna, di cui è nota l’esigenza di rinnovamento

spirituale; il secondo è un sostantivo, «ardore», che fa rima con amore e ne è frequente sinonimo. Esprime la passione terrena, che turba l’animo; veicola una sensazione concreta e pesante, che spinge verso il basso. Cariteo, fra gli altri, fa grande uso, nel suo Endimione, del termine «ardore», associandolo ad aggettivi come «gelato», «immenso», «dannoso» ed «eterno», addirittura «extremo».

Così «altero», con i significati che abbiamo visto, abbinato ad «ardore», crea un sintagma molto potente, perché riferito alla passione amorosa che muove verso l’alto e però contemporaneamente ‘uccide’ al proprio interno.

I vv.6-7 giungono a descrivere un movimento che, dall’interno verso l’esterno, e contemporaneamente dal basso verso l’alto, trasforma impulsi nascosti di natura distruttiva in versi che sono capaci di nobilitarli. È così che Tullia vuole soddisfare la sua «brama» e creare memoria di sé.

La qualità riflessiva della narrazione – la poetessa, è vero, si rivolge a Mannelli, ma dialoga anche molto con se stessa – getta luce sul criterio organizzativo che ha adottato per introdurre anche le liriche amorose nella raccolta. La sua poesia cortigiana, fin qui, è stata avara di sentimenti privati, coscientemente elusi per far posto ad altri temi e argomenti; ma la sfida lanciata da Mannelli e raccolta con slancio da Tullia è il propellente che le consente di cantare questo tema altrimenti scomodo per la sua immagine e di dimostrare tutto il suo eclettismo, offrendo l’ennesimo saggio di bravura, la dimostrazione che una donna di umili condizioni – però dotta e orgogliosa del proprio talento – è in grado di confrontarsi con un amore lirico nobilissimo, benché astratto, superando il riserbo che tale scelta, ovviamente, comporta.

La concessiva al v.8, «se bene a voi non ho pari lo stile», sembra sottintendere che dietro al nome di Piero Mannelli si nasconda un autore di liriche, ma non possiamo esserne sicuri, poiché nulla ci è giunto della sua presunta produzione115. Comunque, a prescindere da questo, risulta chiaro che egli è

considerato, più d’ogni altro interlocutore di questa raccolta, il portavoce di un pubblico di lettori universale, con il quale Tullia desidera misurarsi.

115 C’è da dire, inoltre, che Tullia qua ndo si rivolge a i gra ndi scrittori del suo tempo a dotta sempre un a tteggia mento umile e remissivo (si veda no, a d esempio, i sonetti rivolti a Pietro Bembo, a Benedetto Va rchi o a Niccolò Ma rtelli); qui, invece, ella si permette di ostenta re una certa a udacia, come se si rivolgesse a un suo pa ri o perlomeno a un uomo di ta lento giudica to inferiore a l proprio. Quindi, verosimilmente, il v. 8 contiene ironia .