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Obbligazione di indennizzo delle perdite subite dal mandatario

Nel documento Gli effetti del contratto di mandato (pagine 175-178)

CAPITOLO VI ECCESSO DI MANDATO

LE OBBLIGAZIONI DEL MANDANTE 1) Obbligazioni ed oneri a carico del mandante

10) Obbligazione di indennizzo delle perdite subite dal mandatario

assume, nei confronti del mandante, l'obbligo del compimento degli atti giuridici necessari per l'esercizio dell'incarico ed, a differenza del mediatore, che, in posizione di terzietà rispetto alle parti da lui poste in relazione senza esservi obbligato, ha diritto alla provvigione solo dopo la conclusione dell'affare, può chiedere il compenso dovutogli prescindendo dal risultato, a meno che le parti non abbiano ad esso condizionato il pagamento di tale compenso”. (Cass. 24 giugno 1993, nr. 7008, MGC, 1993, 1079).

Di fronte all’annullamento o alla risoluzione del negozio gestorio o all’inadempimento del terzo, una corrente di pensiero ha ritenuto che il mandatario abbia diritto al compenso. (Carnevali 1990, 9).

Prendendo in considerazione invece le vicende del contratto di mandato si osserva che, in caso di scioglimento anticipato del mandato, e sempre che tale scioglimento non dipenda da fatto imputabile al mandatario, questo ha diritto al compenso sia pure in proporzione all’attività svolta. (Luminoso 2007, 131).

Il diritto non spetta in caso di inadempimento o in caso di eccesso di mandato. E’ invece dubbio se il compenso spetti al mandatario anche in caso di negligente esecuzione dell’incarico.

10) Obbligazione di indennizzo delle perdite subite dal mandatario

L’art. 1720, II comma, c.c. dispone che il mandante ha l’obbligo di “risarcire” i danni che il mandatario abbia subito a causa dell’incarico. Come osservato, questa obbligazione principale del mandante si giustifica con il carattere essenziale dell’agire del mandatario per conto altrui.

E’ stato rilevato che il linguaggio del legislatore che fa riferimento al “risarcimento del danno” è da considerarsi improprio in quanto la fattispecie non fa riferimento ad un fatto illecito e quindi si dovrebbe

parlare più propriamente di indennizzo. In proposito la dottrina ha rilevato che: “Evidentemente, nonostante l’impropria formula della legge, non ci si trova di fronte ad un’obbligazione di risarcimento di danni nascente da un illecito del mandante: il termine danni va inteso in senso di perdita economica, non di danno in senso giuridico (risarcibile)”. (Luminoso 2007, 129).

La scelta linguistica del legislatore si giustifica osservando che l’espressione “danno risarcibile” non va intesa in senso giuridico, infatti altra dottrina evidenzia che: “Quest’ultimo deve essere inteso non nel senso di danno risarcibile in senso giuridico, ma nel senso di perdita economica”. (Carpino 2007, 117).

Quanto all’individuazione delle perdite economiche si sostiene che: “Si tratta di quei danni alla persona o al patrimonio che l’esecuzione dell’incarico abbia comportato al mandatario”. (Carnevali 1990, 9). Le perdite sono indennizzate a condizione che trovino nell’esecuzione dell’incarico la causa immediata e diretta e ne costituiscano la conseguenza normale e ordinaria, infatti come evidenzia la dottrina: “Tra l’esecuzione del mandato ed il danno subito dal mandatario deve sussistere un rapporto di causalità immediata e diretta”. (Graziadei 1994, 179).

Ancora tali perdite non devono consistere nelle conseguenze svantaggiose che rientrano nel rischio al quale il mandatario doveva esporsi per l’esecuzione dell’incarico. Inoltre le perdite in questione non devono essere imputabili a colpa del mandatario. In ogni caso deve essere correttamente valutato il concorso di colpa del mandante. Quanto all’esigibilità da parte del mandatario dell’indennizzo dovuto dal mandante si sostiene che: “Anche questa obbligazione deve essere adempiuta all’atto della resa e liquidazione del conto”. (Luminoso 2007, 130).

Ulteriore applicazione giurisprudenziale dei principi illustrati emerge dalla seguente massima, in cui è stato considerato il diritto al rimborso del mandatario della somma di denaro pagata al terzo a titolo di penale, ed è stato così deciso: “Il mandatario per ripetere dal mandante la somma di denaro dovuta ad un terzo a titolo di penale per l'inadempimento, per fatto e colpa del mandante, della obbligazione contratta, a proprio nome, al fine di dare esecuzione al mandato, deve provare l'effettivo esborso della somma al terzo, non trattandosi di mezzo occorrente per l'adempimento dell'obbligazione ex art. 1719 c.c., bensì rientrando tale situazione nella disciplina del comma 2 dell'art. 1720 c.c., a tenore del quale "il mandante deve risarcire i danni che il mandatario ha subito a causa dell'incarico"”. (Cass. 4 giugno 1991, nr. 6306, GC, 1991, I, 2643).

Considerando il rapporto tra società ed amministratori come un rapporto annoverabile nello schema del mandato, vi è stata applicazione in via analogica dell’art. 1720 c.c., come emerge nella

motivazione della seguente sentenza: “La prima questione che, in ordine logico, essi sottopongono a questa Corte è se l'art. 1720, secondo comma, cod. civ., secondo cui il "mandante deve risarcire i danni che il mandatario ha subiti a causa dell'incarico" sia applicabile a favore dell'amministratore di una società di capitali. La Corte ritiene che alla questione debba darsi risposta positiva, non potendo condividersi la tesi dell'Istituto ricorrente incidentale, secondo cui l'assenza di disposizioni, legislative e statutarie, in materia di perdite sopportate dal detto amministratore all'epoca dei fatti di causa significherebbe mancanza di qualsiasi tutela giuridica in proposito, in sostanza in base al principio ubi lex non dixit non voluit.

Deve al contrario aderirsi all'affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, della necessità di applicare l'art. 1720 cod. civ. per ana- logia.

È vero che all'epoca dei fatti su cui si controverte lo statuto ICCRI del 1962 nulla stabiliva in materia, così come il codice civile, che nell'art. 2389 disponeva, e dispone, soltanto circa il compenso e le partecipazioni agli utili spettanti gli amministratori.

Il difetto di previsione, però, dà luogo non semplicemente ad un difetto di protezione giuridica dell'interesse dell'amministratore che ha subito perdite a causa della gestione societaria, come sostiene il ricorrente incidentale, ossia tutt'al più ad una cosiddetta "lacuna impropria", vale a dire ad un vuoto normativo politicamente inopportuno, o comunque contrario alla coscienza sociale, e perciò da colmare attraverso un intervento del legislatore.

Al contrario, il detto difetto dà luogo ad una "lacuna in senso proprio", che è come dire ad una situazione normativa incompleta, o incoerente, ossia, ancora, ad un "caso dubbio" che, ai sensi dell'art. 12, secondo comma, delle preleggi, richiede l'interpretazione analogica.

E infatti mentre gli artt. 1720 cit., 2031, primo comma, cod. civ. in materia di gestione di affari; 2234, in materia di rapporti fra cliente e professionista intellettuale, dimostrano l'esistenza di un principio legislativo di rimborsabilità delle spese, o comunque di ristoro delle perdite sopportate nella gestione dell'interesse altrui, l'assenza di giuridica tutela dell'amministratore della società di capitali, priva di giustificazione, porrebbe la situazione normativa difettosa in contrasto col principio di eguaglianza di cui all'art. 3, primo comma, della Costituzione.

Contrasto da evitare, prima che con la denuncia al Giudice delle leggi, attraverso l'interpretazione cosiddetta adeguatrice, o secundum constitutionem, vale a dire appunto attraverso l'applicazione analogica dell'art. 1720 cit. al caso in esame”. (Cass. 14 dicembre 1994, nr. 10680. GC. 1995, I, 2473).

L’esclusione dell’applicabilità dell’art. 1720 c.c. è stata affermata da questa sentenza: “In tema di fatto illecito, qualora la persona del sindaco agisca nei confronti del Comune per il risarcimento dei danni derivanti da una aggressione subita ad opera di un terzo a causa della carica ricoperta, la responsabilità dell'ente può fondarsi, ove ne ricorrano le condizioni, sulla violazione dei principi generali del "neminem laedere" consacrati negli art. 2043 e 2055 c.c., non trovando invece applicazione la norma dettata in materia di mandato dall'art. 1720, comma 2, c.c., giacché - in considerazione della sua posizione istituzionale - il sindaco non è il mandatario della collettività territoriale ma è organo di vertice dell'ente territoriale e, per talune competenze, anche dello Stato”. (Cass. 13 luglio 2004, nr. 12911, MGC, 2004, 7).

11) Differenza fra la responsabilità contrattuale del mandante, ai

Nel documento Gli effetti del contratto di mandato (pagine 175-178)

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