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ORAZIONE FUNEBRE IN ONORE DI REMIGIO RAIMONDI LETTA A MASSA IL 27.04.2012 DAL COLLEGA GIUSEPPE CORLITO

Nel documento Il progetto di una vita (pagine 57-61)

DOMENICO CECCOTTI : 2.805 FABIO EVANGELISTI : 1

ORAZIONE FUNEBRE IN ONORE DI REMIGIO RAIMONDI LETTA A MASSA IL 27.04.2012 DAL COLLEGA GIUSEPPE CORLITO

Gli amici della rete regionale degli utenti e dell’autoaiuto psichiatrico di Massa Carrara mi hanno chiesto di dire qualche parola per commemorare Remigio: lo faccio volentieri perché molte cose ci hanno legato e poi perché devo onorare un debito con lui. Ho scritto quanto dirò per evitare che la commozione per la sua perdita mi impedisca di dire quello che penso e sento. Spero di essere capace di dire parole non usurate dalle circostanze.

Remigio fa parte della generazione di operatori che ha rivoluzionato l’assistenza psichiatrica nel nostro paese. L’ho conosciuto negli anni Settanta nel corso di una visita al manicomio diVolterra, dove insieme al compianto Carmelo Pellicanò lavorava per il superamento di quell’ospedale psichiatrico. Allora ero un giovane studente di medicina dell’Università di Pisa: sono uno degli ultimi di quella generazione, che ha fatto in tempo a partecipare al movimento di massa che portò alla legge 180 e a cui toccò destrutturare l’istituzione totale e costruire faticosamente l’alternativa dei servizi di salute mentale della comunità sia contro le resistenze dell’accademia sia contro gli ideologismi anti-istituzionali. Remigio

fu uno dei primi ad accettare la sfida del territorio e a trasferirsi a Massa Carrara, dove non esisteva quasi niente.

Per un puro incrocio di concorsi, che mi hanno portato prima a Grosseto e poi ad Arezzo, non ho potuto lavorare con lui. Allora gli spostamenti erano numerosi, i giovani medici che si erano formati nel movimento studentesco di quegli anni accorrevano in tutti i posti dove si costruivano prima le cosiddette “esperienzeavanzate” e poi la rete decentrata dei servizi territoriali con pochi riconoscimenti professionali, scientifici e sociali. Proprio a noi, che avevamo contestato le istituzioni e ci eravamo fatti la fama di essere ribelli e distruttori, è toccato di tenere in piedi per quasi quarant’anni le “sgangherate istituzioni” dell’ Italia repubblicana e addirittura di migliorarle. Come è stato detto all’inizio di questo rito, ci è toccato nostro malgrado: “la pietra scartata dai costruttori è diventata la pietra d’angolo”.

Posso dire senza timore di essere smentito che Remigio –come altri di noi– ha dedicato l’intera vita a questo compito. Ci metteva cuore, testa e fatica: ci univano il calore e la cordialità della comune origine meridionale e il bisogno di stare dalla parte dei più deboli, degli ultimi tra gli ultimi, come spesso erano allora e sono ancora oggi le persone che soffrono per ragioni psichiche.

La capacità di comprensione dell’altro era il nocciolo del punto di vista umano, professionale e intellettuale di Remigio: il suo punto di vista in psichiatria era quello fenomenologico, cioè il pensiero maggiore della psichiatria europea, oggi svenduto alla logica riduttiva dei manuali diagnostici americani, in cui l’osservazione dei sintomi era il primo passo della comprensione della realtà umana, che ci stava dietro, della soggettività della persona sofferente e della storicizzazione della sofferenza psichica.

Per molti anni Remigio ha tenuto qui a Massa Carrara un corso di formazione sull’approccio antropofenomenologico, coinvolgendo i massimi pensatori in questo ambito. Come segretario regionale della Società Italiana di Psichiatria ha cercato di tenere insieme universitari e territoriali all’interno della stessa società scientifica. Questo punto di vista è quello che ha animato anche i

suoi volumi di narrativa, in cui fuori dal contesto medico ha riversato questa esperienza di vicinanza umana.

Soprattutto la comprensione della sofferenza altrui e la prossimità umana, che ne deriva, hanno portato Remigio a promuovere tutti i movimenti per l’emancipazione dei cittadini utenti. Ricordo qui l’appoggio che negli anni Ottanta del secolo scorso ha dato tra i primi tecnici in Toscana allo sviluppo della rete dei Club degli Alcolisti in Trattamento e poi soprattutto a quella degli utenti della salute mentale, con l’invenzione del “facilitatore sociale”, che mette a servizio degli altri la propria esperienza di emancipazione, e con l’innovazione del cosiddetto “testamento psichiatrico”, cioè le volontà differite per cui la persona sofferente recuperata alla società, al pari di ogni altro cittadino, sulla base della propria esperienza soggettiva può dare indicazioni di come vuole essere trattata nel caso di una ricaduta, nel caso di un nuovo episodio di sofferenza.

Infine voglio dire due parole sul mio debito, che è la ragione profonda per cui ho accettato di essere qui oggi: ho fatto parte della commissione del concorso contestato che ha portato all’ultima battaglia per la propria dignità e indipendenza umana e professionale, poi riconosciuta dalla magistratura, e che ha segnato la salute di Remigio.

L’ultima battaglia istituzionale perché la moglie Rita mi ha raccontato che si è battuto come un leone fino all’ultimo e ha continuato ad aiutare gli altri anche dal letto di morte. Come sanno gli amici più vicini mi sono sentito responsabile di non averlo saputo proteggere dal suo zelo e dal suo rigore, dalla sua sottovalutazione degli equilibri che avrebbe urtato con il suo atteggiamento. Ecco oggi voglio riconoscere pubblicamente a Remigio la sua forza di non piegarsi ai ricatti del potere.

Mi unisco al dolore dei familiari, degli amici, dei colleghi e dei cittadini utenti della rete, che sono i veri eredi morali del lavoro di Remigio e li invito a proseguire il loro lavoro come modo migliore per onorarne la memoria.

Saluto allora per l’ultima volta a nome di tutti il collega colto e attento, la

valesse la pena impegnarsi a costo di mettere in gioco se stessi e la propria posizione, l’amico che ti era vicino tutte le volte che era necessario.

Mail che ho ricevuto dauna Psichiatra il 09/05/2013 ore 23,13:

Caro Evandro, non sai quanto piacere mi abbia fatto la tua telefonata di questa mattina. Mi onora che a distanza di anni ti sei ricordato di me perché ti ho sempre stimato: sei una persona perbene, come ormai ben pochi lo sono!

In questo momento di "smarrimento in cui mi trovo", due lutti importanti (morte di mia sorella e di mia madre), scoperta, grazie alla mia testardaggine (perché non mi fido di certi medici con tanto di titoli e poca serietà professionale) di due tumori, di cui uno già risolto ed uno che dovrò affrontare fra qualche giorno, mi hai sollevata nell'animo.

Come nel caso di Remigio i troppi dispiaceri hanno minato le mie difese immunitarie e per Remigio tu ben sai che non sono state le sigarette perché io ho invece sempre condotto una vita molto regolare e sana.

Quando me ne venni via da Massa, per le ragioni di cui ti ho sempre parlato, alcuni miei colleghi, di cui non faccio il nome, candidamente mi dissero che "mi avevano mandato mille accidenti"!

Caro Evandro, come vedi alla cattiveria umana ed alle meschinerie non c'è certo un limite.Sono però d'accordo con te che la città di Massa, come ogni altra città in Italia si meriti qualcosa di più e non dobbiamo mai smettere di sperare e sognare in un futuro migliore.Appena risolverò i miei problemi di salute ti chiamerò e mi farà piacere vederti.

Nel documento Il progetto di una vita (pagine 57-61)