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3 . SPERIMENTAZIONI EXTRA-ILSSE

3.5. Il Progetto “Italiano-Dialetto-Lingua straniera” di Venezia

3.5.4. Il questionario rivolto alle famiglie

3.5.4. Il questionario rivolto alle famiglie

Le variabili sociolinguistiche sono fattori determinanti per il successo di ogni iniziativa educativa, a maggior ragione se si tratta di corsi sperimentali.

Resistenze, opposizioni e valutazioni negative della comunità possono rappresentare, anche implicitamente, l’ostacolo maggiore alla creazione di un atteggiamento ben disposto nel bambino; pertanto, nel caso che ve ne siano, devono essere individuate e rimosse. Proprio allo scopo di conoscere le reazioni e le considerazioni delle famiglie nei confronti dell’iniziativa a cui i loro figli hanno preso parte, il Comitato tecnico-scientifico del progetto per l’introduzione delle lingue straniere nelle scuole veneziane elabora nel maggio 1983 un apposito questionario.

Questo viene compilato da 266 genitori di bambini provenienti da scuole rappresentative di tre aree diverse dal punto di vista sociale, economico e culturale: le isole (Burano, Lido Gabelli e S.Pietro in Volta), il centro storico di Venezia (con le scuole “Canal” e “San Girolamo”) e Mestre (scuole “Toti”,

“Leopardi” e “Virgilio”). Il questionario si articola in 9 sezioni, ciascuna con numerose domande a cui è possibile rispondere in vario modo111.

111”Sì”, “no”, “non so” oppure risposte libere.

1. Atteggiamenti delle famiglie nei confronti dell’insegnamento precoce di una lingua straniera. Il 94,73% dei genitori dice di essere favorevole all’insegnamento di una lingua straniera alle elementari; l’atteggiamento, dunque, è incondizionatamente positivo. Tra le motivazioni, domina nettamente la convinzione che le lingue servano ai figli una volta adulti, seguita dalla consapevolezza che le lingue rappresentano un arricchimento culturale;

meno importanti appaiono motivazioni di tipo strumentale, come l’utilità delle lingue straniere per lavorare, viaggiare e fare nuove amicizie.

2. Valutazione degli aspetti curricolari. Al quesito se imparare da bambini una lingua sia più difficile che apprendere altre materie, l’82,33% risponde no, mentre il rimanente 17,67% pensa di sì o è dubbioso. Rispondendo invece alla domanda se occorra più tempo per la lingua straniera che per altre materie, il 65,78% ritiene di no, il 21,8% pensa di sì e il 12,4% non sa o non risponde.

Questi dati, confermati dalle domande relative al confronto del tempo necessario per le altre discipline, indicano una consapevolezza metodologica apprezzabile, lontana dai facili entusiasmi che potrebbero derivare da un’adesione acritica all’innovazione educativa. Solo una bassissima percentuale (5,63%) ritiene che la sottrazione di tempo ad altre materie per il corso di LS sia dannosa per i bambini e comprometta l’apprendimento dell’italiano. Al contrario, un’alta percentuale (42,48%) pensa che l’accostamento alla lingua straniera faciliti lo studio dell’italiano.

3. Opinioni sui fattori generali di successo/insuccesso dell’insegnamento. Il 94,36% degli intervistati afferma che la lingua straniera si impara meglio da bambini; diversi sono i motivi addotti: solo il 26,7% ritiene rilevante il.

maggior tempo a disposizione, mentre molto più diffusa è la convinzione che da bambini le lingue si imparino con minor fatica. Chi invece non ritiene vantaggioso l’apprendimento di una lingua straniera in età precoce pensa che i bambini non siano abbastanza maturi da comprendere la grammatica o teme che possano fare confusione con la lingua materna.

4. Opinioni sui fattori di successo/insuccesso connessi ad aspetti didattici o curricolari. Il successo dell’insegnamento viene direttamente collegato ai fattori didattici suggeriti dal questionario: nell’ordine, sono ritenuti più importanti la preparazione didattica e linguistica dei docenti, il tempo ed infine i materiali utilizzati. Riguardo al tempo, la percentuale più elevata ritiene che per apprendere una LS servano dalle 3 alle 4 ore settimanali per 5 o più anni di studio, segno questo di un’evidente mancanza di fiducia in corsi più brevi, spesso causata da deludenti esperienze personali. Solo una percentuale ridotta assegna la responsabilità dell’insuccesso a fattori come il collegamento della lingua con altre materie, l’interesse delle famiglie e della scuola o le possibilità d’uso effettivo della lingua da parte del bambino. Questo dato segnala la necessità di migliorare il grado di informazione sui problemi curricolari complessivi.

5. Opinioni sugli obiettivi e sui possibili risultati. In questa sezione vengono proposti quesiti in ordine a quale delle diverse abilità linguistiche debba essere acquisita per prima, secondo la seguente tabella:

si deve prima imparare a... si no non sa /non risponde

parlare 50% 18,8% 31,2%

leggere e scrivere 36% 19,7% 44,3%

usare la grammatica 28,9% 18% 53,1%

conoscere i vocaboli 35,7% 12% 52,3%

Come si può vedere, in questa sezione aumentano sensibilmente le risposte dubbie o nulle; pertanto appare necessario aumentare l’informazione in merito agli aspetti metodologici dell’insegnamento, onde evitare nella famiglie aspettative errate di risultati e metodo. D’altra parte conforta sapere che, rispondendo al quesito conclusivo della sezione, il 90% dei genitori non ritiene sprecato il tempo dedicato allo studio di una lingua straniera.

6. Scelta della lingua e metodi. Prevedibilmente, la lingua più richiesta risulta essere l’inglese (70,3%); tuttavia è considerevole anche il fatto che il 18,4%

non abbia preferenze particolari. Tra le tre proposte, la lingua tedesca è considerata la più difficile da imparare, seguita da francese e inglese. Se il 47,74% pensa che un insegnante di madrelingua “insegni sicuramente meglio la lingua di uno che non lo è”, adducendo come motivo la perfetta conoscenza dell’idioma, il 30,45% non è d’accordo e il 21,81% è incerto. Questo fatto lascia sperare nella direzione di una richiesta di qualificazione glottodidattica dei maestri. Infine, solo il 32% sa dell’esistenza di nuovi metodi per l’insegnamento delle lingue, mentre il restante 68% sostiene di non avere informazioni in merito: una percentuale decisamente troppo alta da poter essere trascurata; urge perciò una capillare divulgazione sulle più recenti impostazioni glottodidattiche.

7. Valutazioni su esperienze di lingua straniera (istituzionali e non) fatte dai figli.

Dei 266 interpellati 53 genitori, pari al 19,92% dichiarano di avere un figlio che sta studiando una lingua straniera, come illustrato dal grafico:

inglese francese tedesco inglese e spagnolo

ungherese

Quarantacinque di questi bambini studiano la lingua a scuola due ore la settimana e 6 privatamente; 19 la studiano da 3 anni. La maggior parte ha iniziato a 8 o 9 anni. Ben 39 genitori (ossia il 73,5%) sono soddisfatti dei risultati, in particolare della pronuncia e del fatto che i loro figli sappiano leggere, scrivere e parlare, comprendere l’orale e conoscere la grammatica (ritenuta dalle famiglie indispensabile per il successo dell’insegnamento, come già nella sezione 5 ). Alla domanda che riguarda il desiderio che il figlio possa studiare eventualmente un’altra lingua, 31 genitori sono favorevoli mentre 21 non lo sono e 2 sono incerti, probabilmente perchè temono che ciò rappresenti un eccessivo carico didattico.

8. Conoscenza di lingue straniere da parte dei genitori. Una buona percentuale (39,47%) dichiara di aver studiato a scuola lingue come il francese, l’inglese e il tedesco per un minimo di 2 e un massimo di 8 anni. L’abilità maggiormente posseduta è la lettura.

9. Desiderio di conoscere le lingue da parte dei genitori. Il 71% circa vorrebbe conoscere una lingua diversa dall’italiano, possibilmente l’inglese (63%) seguito dal francese (13%) e dal tedesco (11%). Tra le motivazioni domina quella culturale (73%), seguita dalla possibilità di aiutare il figlio a scuola (58%), dal lavoro (42%), dall’utilità nei viaggi (41%) e da motivi personali (35%).

Complessivamente, i dati presentati segnalano un tessuto ottimale che offre buone possibilità di successo dell’intervento educativo veneziano.

3.5.5. Testing 1981-1984

Per una verifica sistematica sia dell’attività didattica quotidiana sia dell’andamento complessivo dell’esperienza, vengono impiegate varie tecniche di controllo e valutazione: tutte le classi sono sottoposte a test di livello e finali;

inoltre le classi vengono visitate periodicamente da esperti di madrelingua, che emettono giudizi impressionistici riportandoli su apposite schede. Questo tipo di monitoraggio capillare consente di comparare gli esiti dell’esperienza in senso sia orizzontale (per le diverse lingue ed i differenti livelli d’età) sia longitudinale (durata dello studio e risultati periodici). Tutti i materiali ed i dati oggettivi, anche parziali, dell’esperienza vengono resi disponibili ad insegnanti ed operatori scolastici in genere, attraverso la pubblicazione al termine di ogni anno scolastico.

Il language testing si situa in uno spazio delineato da coordinate pedagogiche e situazionali. Ciò significa che il testing viene considerato attività educativa in senso pieno, perdendo qualsiasi connotazione fiscale o burocratica e

concorrendo ai processi di autorealizzazione, socializzazione e acculturazione dei soggetti testati.

Questi vengono sottoposti a due tipi di prove comuni per le varie lingue: test di livello, situati lungo il processo di apprendimento, e test di padronanza, alla fine della V classe. Si tratta di test oggettivi: il punteggio é articolato in modo tale da eliminare per quanto possibile gli elementi soggettivi, anche se in alcune fasi interviene il giudizio del somministratore. Spesso i test, in parte individuali e in parte collettivi, sono condotti come normale attività didattica con ampie sezioni ludiche precedute da sedute di pre-testing. Dal punto di vista linguistico, i test proposti sono globali, integrati e comunicativi. I principali materiali costitutivi sono: una scheda allievo, una cassetta su cui insegnanti madrelingua hanno registrato gli stimoli linguistici, una guida per l’insegnante, una scheda riassuntiva per la rielaborazione globale dei test ed infine una cassetta su cui il docente registrerà i dialoghi tra gli allievi.

Il test di livello elementare (E1) si situa idealmente alla fine della classe III, a conclusione del primo anno di studio della LS, ed é puramente audio orale. A questo primo test ne segue un secondo (E2) a metà dell’anno successivo: esso ricalca la struttura del test E1 modificando gli universi lessicali interessati, il livello quantitativo e la qualità degli stimoli. Alla fine del secondo anno vengono somministrati ben due subtest, composti da due schede ed una serie di conversazioni. A metà del III anno si ha un ulteriore test strutturato come il test E2, ma riguardante nuovi contenuti: relazioni spaziali all’interno di un’aula o di un altro ambiente familiare, indicazioni stradali per raggiungere una meta prefissata, descrizione di sé, dei propri gusti, della propria scuola, città .... Il test

finale, a conclusione del III anno, riprende con stimoli più complessi i tre gruppi di prove già affrontati alla fine della IV e a metà della V (ossia quattro mesi prima).

Nel 1981 vengono eseguiti solo test E1, mentre nel 1982 vengono apportate alcune modifiche al test di primo livello, si somministra per la prima volta il test E2 e si sperimenta una stesura provvisoria del test finale con una classe di inglese ed una di francese; infine nel febbraio 1983 si introduce anche un test intermedio, i cui dati non risultano però sufficientemente attendibili.

Dopo il primo triennio di sperimentazione emerge che in generale gli alunni risultano aver acquisito migliori abilità di comprensione orale e scritta che di conversazione. Inoltre le classi che praticano l’insegnamento con frequenza oraria maggiore hanno risultati nettamente migliori rispetto alle classi ove la lingua é considerata attività integrativa. Nel 1984 viene somministrata un’ulteriore batteria di test, che appare omogenea rispetto a quelle precedenti e quindi anch’essa positiva.

Dai dati e dalle osservazioni sin qui presentate, i partecipanti al progetto deducono l’importanza per il bambino di un duplice contatto con la lingua e la cultura straniera: indiretto, attraverso attività di animazione culturale (spettacoli, feste, giochi) e l’utilizzo di materiali strutturati (videotape, libri di fiabe, filmini);

diretto, mediante viaggi all’estero. Sul piano educativo ne discendono alcuni postulati:

a) l’insegnamento linguistico deve accompagnarsi ad un insegnamento culturale esplicito;

b) la scuola e l’insegnante in particolare sono chiamati a creare nell’alunno un atteggiamento positivo nei confronti delle lingue oggetto di studio e delle relative culture e ad eliminare ogni eventuale atteggiamento opposto nella comunità e nelle famiglie;

c) la comunità, la scuola e le famiglie devono rendere possibili occasioni di contatto anche diretto da parte del bambino con la cultura straniera.

Si può senza dubbio concludere affermando che il progetto “Italiano-Dialetto-Lingua Straniera” colloca lo studio delle lingue in età precoce al di fuori di esperimenti di natura privatistica ed estemporanea, allineando la realtà veneziana a fianco di analoghe esperienze nazionali ed internazionali. I detrattori112 dell’esperienza sostengono però che il successo del progetto sarebbe dovuto al retroterra culturale veneziano particolarmente ricco, pertanto il progetto non sarebbe esportabile in altre zone d’Italia, ove ciascuna innovazione didattica andrebbe invece ideata tenendo conto delle specifiche disuguaglianze locali.

112Si veda il giudizio di Maria Antonietta Pinto in RAINOLDI M., SODINI S.( a cura di), La lingua straniera nella scuola elementare, Firenze, La Nuova Italia, 1992, p. 18.

PARTE II: