Le riforme avviate da Deng all’inizio degli anni ottanta e il boom economico del Paese cui queste riforme hanno portato, resero necessaria una revisione, e quindi una riforma di quello che era il sistema fiscale cinese. Bisognava infatti creare un sistema fiscale che fosse adatto anche alle nuove realtà straniere che, con la politica della Porta Aperta, si stavano facendo largo in Cina. C’era la necessità di costruire un sistema di tassazione che diminuisse il potere dell’organo centrale a favore di quelli locali e che permettesse una competizione in campo economico più corretta vista l’entrata di nuovi attori internazionali.
Il sistema fiscale in uso prima dell’avvio delle riforme, si basava su un controllo totale dello stato. Era un sistema di tipo unitario ed era il governo centrale che come unico ente si occupava di riscuotere le tasse e ridistribuirle ai governi locali che non avevano alcun potere decisionale in materia.
Il primo grande cambiamento in tema fiscale fu l’introduzione di un sistema per cui le entrate fiscali erano composte da una quota fissa che doveva essere versata nelle casse del governo centrale, e da una quota variabile. La parte restante era divisa tra governo centrale e governi locali. La quota delle entrate residuali da versare allo stato veniva decisa attraverso delle negoziazioni, che cambiavano da caso a caso, tra governo centrale e governo locale. Ci furono dei casi in cui tutta la quota residuale veniva trattenuta dai governi locali e questo incentivò maggiormente i governatori locali a stimolare e promuovere lo sviluppo economico. Era questo un tentativo di decentralizzazione fiscale promosso con la politica del fenzao chifan, ovvero mangiare in cucine separate36.
Contemporaneamente a livello industriale, era stata data una maggiore autonomia ai direttori delle SOE in materia di profitti e venne approvato il profit retention system (lirun liuchengzhi, 利润留成制). Con l’introduzione di questa nuova misura fiscale, le SOE potevano trattenere i profitti che ricavavano dalla vendita dei prodotti in surplus a prezzi di mercato, e reinvestirli in modo tale da promuovere un costante miglioramento aziendale. Nel 1983 si verificò un ulteriore cambiamento al sistema delle imprese di stato in quanto, secondo la nuova politica attuata del ligaishui, si passa dal concetto di ritenzione dei profitti a una vera e propria tassazione delle imprese attraverso il sistema profit-to-tax. Con esso le aziende venivano rese libere di trattenere i profitti realizzati solo dopo aver versato al governo centrale una quota fissa pari al 55% dell’ammontare totale dei profitti realizzati dall’azienda stessa.
Ma la vera e propria riforma fiscale avveniva nei primi anni novanta. Questa riforma, che ben si sposava con la volontà di centralizzazione selettiva dichiarata da Zhu Rongji, promosse una specie di federalismo fiscale (fenshui zhi, 分税制) con la divisione delle imposte tra: locali, centrali e condivise 37. La divisione delle
36 Alberto BAGNAI, Ospina Christian A. MONGEAU, “La Crescita della Cina. Scenari e implicazioni per
altri poli dell’economia globale.”, Università G. D’Annunzio di Chieti-Pescara Dipartimento di Economia e Storia del territorio (collana), Franco Angeli Edizioni, Gennaio 2010, p. 24.
37 Yongnian ZHENG, (traduzione di Cascino Rosa), “Consolidamento politico: gli insegnamenti di 20
imposte rispecchiava la divisione amministrativa e prevedeva l’esistenza di agenzie centrali e locali che si occupassero della riscossione e gestione delle tasse. Questo ha facilitato un maggior grado d’indipendenza decisionale e operativa dagli organi del governo centrale. In secondo luogo questa riforma è stata di fondamentale importanza poiché ha cercato di appianare le differenze tra imprese cinesi e straniere. Sono infatti state ridotte le imposte cinesi che sono passate da 36 a 18. Vennero eliminate l’imposta industriale e commerciale, che si aggiunsero alle imposte sui redditi e sui dazi doganali, ma venne istituita una tassa sul valore aggiunto (IVA) per quasi tutte le merci. Inoltre, se con la riforma degli anni novanta venne unificata la tassazione sul reddito delle persone fisiche, siano esse locali o straniere, lo stesso principio non valeva invece per l’imposta sul reddito delle imprese. Pur esistendo infatti una tassazione sul profitto pari a un’aliquota del 33% valida per tutte le imprese, la sua applicazione rimase differente per imprese nazionali o per imprese straniere38. Il quadro normativo in materia permette infatti delle agevolazioni alle imprese con investimenti esteri che possono ridurre l’IVA al 15%.
Ci fu inoltre l’istituzione di una nuova tassa, definita tassa di consumo, che fu imposta a tutti i prodotti ritenuti non necessari al sostentamento, quindi superflui. Anche le nuove tasse che fiorirono in questi anni vennero classificate in armonia con i livelli di governo e mentre il potere centrale aveva pieno potere sulle più importanti tasse dirette e indirette dei settori posti sotto il suo stesso controllo, ai governi locali venne dato potere di controllo sulle imposte dirette delle imprese. I governi delle varie provincie, più a contatto con la realtà di sviluppo delle imprese, avevano una visione migliore per decidere dove le risorse potevano portare a una maggiore efficienza.
Il sistema tributario cinese ha visto poi ulteriori riforme, soprattutto dopo il 2001, anno di ingresso nella Cina nel Wolrd Trade Organizatio (d’ora in avanti WTO), che le ha richiesto maggiore chiarezza e razionalità. Il sistema necessitava di essere maggiormente vicino a quello delle altre grandi potenze internazionali con l’obiettivo di ridurre i privilegi per le imprese straniere 39.
38 Fino al 1994 la legislazione fiscale sulle imprese nazionali differiva sulla base della categoria
d’impresa.
39 Lorenzo RICCIARDI., “Guida alla fiscalità della Cina, India e Vietnam”, Il Sole 24Ore, cap. 1,
CAPITOLO 2
I distretti produttivi in Cina
Dopo un necessario preambolo sugli elementi di novità introdotti dalle riforme economiche attuate a partire dai primi anni ottanta, si desidera addentrarsi nel fenomeno dei distretti produttivi nello scenario cinese. A seguito di una generale spiegazione terminologica del termine “distretto” si analizzerà nello specifico l’esperienza cinese, approfondendo le sue caratteristiche, i suoi fattori di sviluppo e infine i primi interventi governativi atti a regolare il fenomeno di agglomerazione in questa nazione.