3.4 La parola ai vinti: canzone popolare ed epopea nazionale ne I Malavoglia
3.4.3 Il romanzo identitario della periferia
Il romanzo, come è noto, narra le vicende di una famiglia di pescatori di Aci-Trezza, i Malavoglia, che sin dalle prime pagine appaiono come i rappresentanti e gli eroi simbolo di un intero popolo di vinti. La casa del Nespolo, persa dopo il naufragio della barca
105 A. M. Cirese, Intellettuali, folklore, istinto di classe, cit., p. 17. 106 A. M. Cirese, Intellettuali, folklore, istinto di classe, cit., pp. 29-30. 107 Ivi, p. 30.
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Provvidenza e poi riconquistata, sembra farsi metafora di una patria e di un’identità messe in pericolo dall’irrompere dell’ignoto. Quest’ultimo – come abbiamo visto nelle Novelle rusticane e come in parte possiamo ora comprendere dopo uno sguardo al funzionamento profondo della mentalità popolare, che è autrice e personaggio del racconto – viene elaborato come un rivolgimento del fato a cui, più che opporsi, bisogna resistere. Cionondimeno, Verga, pur non interrompendo il fluire poetico e di pensiero della società rappresentata, mette in atto delle strategie “contestative” che non possono non essere attribuite al livello autoriale108 e che rendono presto patente il bersaglio della contestazione, contestazione che diventa poi, via via, sempre più esplicita anche a livello intradiegetico.
Una prima strategia, di tipo linguistico, che ripensa e rifonda l’idioma nazionale, la si è approfondita nel precedente paragrafo. Un’altra ha invece a che fare con i nomi scelti per i protagonisti e per la loro sventurata barca, la Provvidenza. Il nome di quest’ultima non appare casuale, soprattutto alla luce del romanzo che ha fatto della provvidenza un vessillo dell’Unità, I promessi sposi.109 Il libro manzoniano, da sempre riconosciuto come l’epopea
italiana per eccellenza, tanto per i suoi contenuti quanto per la normalizzazione della lingua che l’autore compie al suo interno, in virtù di questo e di altri riferimenti presenti nel romanzo, sembra funzionare quasi da ipertesto de I Malavoglia.110 L’operazione di Verga ricorda, in questo senso, quelle opere di “riscrittura” del canone metropolitano tipiche delle letterature postcoloniali, connotandosi però, più che come generica invasione della tradizione culturale occidentale, come specifica provocazione del neonato canone italiano. Qualcosa di simile può dirsi a proposito del nome della famiglia, Toscano, che, appunto, è solo un nome, «poiché da che il mondo era mondo, all’Ognina, a Trezza e ad Aci Castello, li avevano sempre conosciuti per Malavoglia».111 L’autore sembra qui far riferimento all’estraneità del Meridione all’Italia: i siciliani non si erano mai sentiti toscani, l’unità
108 Mazzacurati nota come l’autore esprima il suo punto di vista anche attraverso il simbolismo di alcune descrizioni naturalistiche, il quale «valica decisamente i confini di ogni simbologia antropologicamente attribuibile agli attori e al narratore interno, orizzontale, della vicenda». Il critico sostiene che ne I Malavoglia molti elementi «rivelano che il demiurgo non poteva rimanere perennemente sommerso: andrà talvolta snidato – scrive – dietro un rumore che si ripete, dietro una costellazione o una voce naturale, dentro l’ombra metaforica di un albero». G. Mazzacurati, Le stagioni dell’Apocalisse: Verga, Pirandello, Svevo, Torino, Einaudi, 1998, pp. 34-35.
109 Siamo d’accordo con Tellini quando afferma che il nome della barca deriva da «l’ironica constatazione del definitivo tramonto di un epos unitario, tenuto saldo dall’agonismo di un’ideologia costruttiva» G. Tellini, Il romanzo italiano dell’Ottocento e Novecento, Milano, Mondadori, 1998, p. 198.
110 Un altro riferimento al capolavoro manzoniano è sicuramente il destino di sventure della famiglia al centro del romanzo, descritto come una via crucis, come si illustrerà nelle prossime pagine. Inoltre, di matrice manzoniana è il personaggio dell’Azzeccagarbugli siciliano: il dottor Scipioni, «l’avvocato delle chiacchiere», che parla in modo eccessivamente complesso e non riesce mai a farsi intendere dai Malavoglia.
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politica e linguistica erano puri fatti nominali, d’altra parte tutti li conoscevano e li avevano sempre conosciuti per “malavoglia”, come a dire indolenti e malevoli “terroni”, «proprio all’opposto» di quel che erano.112 Numerose e ampiamente studiate sono, poi, le critiche
mosse all’Unità e alla monarchia costituzionale da parte dell’autore per tramite dei suoi personaggi, che lamentano le conseguenze funeste di un Risorgimento poco condiviso e ancor meno compreso e le leggi di uno stato lontano, unicamente fonte di malcontento.
Ma, a ben guardare, è la stessa rappresentazione che Verga dà della società del villaggio – sineddoche della Sicilia e dell’intero Meridione – costruita sull’opposizione binaria tra centro e periferia (invertita di segno in seguito al ribaltamento del cannocchiale in Fantasticheria) ad indicarci l’Italia come l’origine dell’ignoto e la causa di tutte le “calamità” che colpiscono i Malavoglia. Il villaggio di Aci-Trezza è presentato, infatti, dalla voce dei suoi stessi abitanti, come il centro della normatività. È vero, molti degli stereotipi diffusi sul Mezzogiorno (dall’individualismo, alla diffidenza, all’omertà), pur nell’inversione della prospettiva, restano operanti e, come si è anticipato, per quanto scevra del suo portato consolatorio e edulcorante, la descrizione è ancora partecipe di un’estetica pittoresca.Il mondo del villaggio meridionale, secondo la rappresentazione meridionista, è ancora presentato come immobile, in opposizione a quello del continente portatore della Storia, tanto più in quanto ciò è trovato concorde con l’aura atemporale che, non “obiettivamente”, ma “soggettivamente”, caratterizza le modalità destorificanti della creatività popolare documentate nelle raccolte folkloristiche. L’immagine coniata dal Nord per il Sud, quindi, è parzialmente conservata, ma, ciò nonostante, nel romanzo, ad essere considerato il fulcro di un universo valoriale condiviso, la sede della razionalità, il luogo dell’ordine contrapposto a quello del disordine, è il paesino meridionale di Aci-Trezza. L’Italia, in quanto mondo altro, invece, è immaginata dai paesani come caotica, oziosa, degenerata. ‘Ntoni, dopo aver visitato il continente, fantastica spesso di «quelle grosse città dove non si faceva altro che spassarsi e non far nulla; o pensava a quei due marinai ch’erano tornati di laggiù, ed ora se n’erano già andati da un pezzo; ma gli pareva che non avessero a far altro che andar gironi pel mondo, da un’osteria all’altra, a spendere i denari che avevano in tasca».113 Alle “fantasticherie” del ragazzo risponde il vecchio Padron ‘Ntoni, che sembra racchiudere in sé tutta la saggezza della prefazione verghiana a I Malavoglia quando
112 Ibidem.
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afferma: «tu credi che dei guai non ne abbiano tutti? Ogni buco ha il suo chiodo»;114 così come ogni struttura identitaria ha il suo vuoto, per restare ai termini finora adoperati per descrivere il dialogo fra centro e periferia. Come visto già nelle Novelle rusticane, la periferia meridionale proietta sul centro il suo vuoto di senso, immaginandolo come un anti-sistema, esattamente come il centro fa con la periferia, perciò ‘Ntoni Malavoglia idealizza la vita borghese italiana allo stesso modo in cui l’italiana borghese di Fantasticheria aveva idealizzato la vita del marinaio terrazzano.
Stando allo schema dell’opera, inoltre, se nelle prime novelle d’argomento isolano – fra le quali possiamo citare, sempre a titolo d’esempio, La lupa – il personaggio che turba la quiete della comunità è quello più esotico nel sistema settentrionale – la Gnà Pina, come si è detto, è personificazione della Sicilia ferina e primitiva –, con i Malavoglia assistiamo a un ribaltamento di centottanta gradi del portatore dell’incognita: la figura estranea è quella che ha preso parte al mondo di fuori, il diverso è colui che “corrompe” gli altri con i (presunti) valori del continente. La comunità che partecipa di questa rivoluzione è la comunità siciliana la cui morale non è messa a repentaglio da un’ingovernabile sensualità, né tantomeno dalla proverbiale inoperosità dei meridionali. La razionalità, specialmente quella contabile,115 la fa da padrona nell’universo de I Malavoglia e ciò che è visto come irrazionale è piuttosto la componente innovativa immessa nel sistema dall’esterno e in particolare dall’Italia.
Il responsabile di tale “innovazione” è il giovane ‘Ntoni, che, come più volte è stato notato, può essere considerato un alter Christus: membro della società, eppure, in quanto fuoriuscito, annunciatore del messaggio di un’altra società, di un altro tempo, profeta negativo la cui partenza finale libera dal peccato. Ma quale peccato? È nelle prime pagine che si palesa il peccatum primum che rende necessario il sacrificio del villaggio e dell’isola. Sin dal primo capitolo il lettore è informato della partenza di ‘Ntoni, partenza che causa l’investimento sui lupini, la morte di Bastianazzo, il debito, l’ipoteca sulla casa e tutte le altre sventure della famiglia. Quando Padron ‘Ntoni cerca di impedire la partenza del nipote, lui che non parteggia né per la repubblica né tantomeno per i Borbone («non lo conosceva neanche di vista Franceschello»116), si sente rispondere da don Giammaria, il vicario, «che gli stava bene, e questo era il frutto di quella rivoluzione di satanasso che avevano fatto collo
114 Ivi, p. 225.
115 Già Baldi nota come la legge che domina nell’universo di Aci-Trezza non sia tanto quella del focolare domestico o del lavoro quanto quella economica. G. Baldi, L’artificio della regressione, Napoli, Liguori, 1980, p. 25.
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sciorinare il fazzoletto tricolore dal campanile».117 È con il Risorgimento che la Sicilia ha lasciato il suo scoglio, mossa dalla ricerca dell’ignoto, ha mangiato il frutto dell’albero proibito perdendo, non il paradiso terrestre, ma il mondo noto dalle regole certe ed immutabili.118 Tutta l’isola è infatti messa in crisi dal contatto con l’Italia, che nel romanzo è alla base della “rivoluzione” di popolo dell’antefatto e poi di quella familiare scatenata da ‘Ntoni, corrispettivi narrativi di ciò che a livello storico ha significato l’Unità nazionale.
La metafora cristologica è pertinente anche per quel che riguarda il calvario subito dai protagonisti e i riferimenti in tal senso non mancano. La madre di ‘Ntoni, Maruzza, dopo la morte del marito e del figlio Luca, viene paragonata alla Madonna Addolorata. Anche i Malavoglia nel loro complesso vengono paragonati a Gesù quando perdono la casa e la barca e tutta la comunità volta loro le spalle («li aveva lasciati in camicia come Gesù Bambino»,119 «Quei poveretti aspettavano il giorno come il Messia»).120 Padron ‘Ntoni «sembra il
patriarca san Giuseppe addirittura, su quel letto e con quella barba lunga!».121 Ma soprattutto
negli ultimi capitoli, quando la vicenda si incentra su ‘Ntoni, che finisce nei guai e getta nel disonore la famiglia, il paragone con Cristo si fa esplicito. Come è stato notato, ciò è particolarmente evidente nel capitolo del processo, sul quale occorre soffermarsi anche per un’altra ragione. È importante rilevare, infatti, come in queste pagine Verga sottolinei l’assoluta incomunicabilità fra due mondi: la difesa di ‘Ntoni è sostenuta da un Azzeccagarbugli forestiero, che, oltre a parlare un linguaggio oscuro per i Malavoglia, utilizza come attenuante per il delitto lo stereotipo della gelosia meridionale, senza avvedersi che, nel sistema del villaggio siciliano, ciò può procurare conseguenze ben più gravi, ovvero il disonore di Lia e la sua perdizione. Come si diceva, inoltre, l’autore connota «la scena di ‘Ntoni davanti alla corte con attributi cristologici: i giudici, annoiati, sono chiamati “giudei”, mentre l’imputato quando esce, dopo la condanna a cinque anni, per essere trasferito in prigione, è “ammanettato come un Cristo”».122 Ma già nel quattordicesimo capitolo, quando
117 Ibidem.
118 «Una volta in paese si stava meglio, quando non erano venuti quelli di fuori a scrivere sulla carta i bocconi che vi mangiate, come don Silvestro, o a pestare fiori di malva nel mortaio, e ingrassarsi col sangue di quei del paese. Allora ognuno si conosceva, e si sapeva quel che faceva, e quel che avevano sempre fatto suo padre e suo nonno, e perfino quel che mangiava, e quando si vedeva passare uno si sapeva dove andava, e le chiuse erano di quelli che c'erano nati, e il pesce non si lasciava prendere da questo e da quello. Allora la gente non si sbandava di qua e di là, e non andava a morire all'ospedale». Ivi, pp. 332-333.
119 Ivi, p. 167. 120 Ivi, p. 189. 121 Ivi, p. 190.
122 F. Della Costa, Dentro e fuori. Il desiderio di ‘Ntoni e i sacri confini di Trezza ne I Malavoglia di Verga,
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il figlio della Locca e ‘Ntoni Malvoglia vengono arrestati, leggiamo: «Ora come farà mia mamma! piagnucolava il figlio della Locca, mentre lo legavano peggio di Cristo. — Non stringete tanto forte, sangue della Madonna! urlava ‘Ntoni; lo vedete che non posso più muovermi! […] Mentre lo conducevano in caserma, legato peggio di Cristo anche lui».123
Se ‘Ntoni è Cristo, il figlio della Locca è il “vero Cristo”, è il Nardo della Pastorale siciliana,124 ovvero quella figura pasticciona che prende rimproveri e busse da tutti, che rappresenta il popolo isolano e porta sulle spalle il bastone a mo’ di croce del supplizio. Il figlio della Locca, in questo senso, ricorda Rosso Malpelo, che, come una bestia, si rassegna alla propria condizione e non fa nulla per migliorarla. L’altro personaggio che, con simile rassegnazione, occupa la sua posizione all’interno della società è il figlio della cugina Anna. Quest’ultimo viene presentato sin dal primo capitolo come “cuor contento”: «Rocco Spatu si sgolava sulla porta dell’osteria davanti al lumicino. — Chi ha il cuor contento sempre canta».125 Verga associa i due giovani parlando dell’attesa del villaggio per il ritorno di ‘Ntoni, il quale è andato lontano a far fortuna: se ‘Ntoni tornasse ricco, tutti comincerebbero a seguire il suo esempio – osservano i terrazzani –, fatta eccezione per i Malpelo del paese, ovvero «chi non gli bastava l’animo di lasciare la sua donnicciuola, era quella bestia del figlio della Locca, che aveva quella sorta di madre che sapete, e Rocco Spatu, il quale ce l’aveva alla taverna l’animo».126 Si fa qui riferimento alle “donnicciuole”, anche loro figure statiche e ferme rispetto al richiamo dell’ignoto; ovviamente con le dovute eccezioni, come Lia Malavoglia che, sulla scia del fratello, si lascia traviare da un “forestiero”. Altre figure statiche positive, definite “cuor contenti”, sono Padron ‘Ntoni, ormai vecchio e savio, e Mena, che rinuncia financo a sposare l’uomo che ama nel rispetto della consuetudine e dell’integrità della famiglia: essi rappresentano l’identico a cui si oppone il diverso, l’irremovibile dell’identità isolana, le ostriche saldamente ancorate allo scoglio, cui si contrappone il giovane ‘Ntoni, che, per “vaghezza di ignoto” e per il pericoloso contatto con le “fantasticherie” del continente, non si risolve ad accontentarsi di ciò che possiede. ’Ntoni vorrebbe imporre alla società terrazzana una nuova legge, di cui non conosce i contenuti ma conosce la provenienza. L’Italia è per lui, come per altri siciliani, il luogo delle meraviglie, la sede della fantasia, l’oggetto del desiderio, che è tale perché sconosciuto e prende forma in funzione del vuoto che lo contiene. Infatti, ‘Ntoni non sa rispondere del suo desiderio:
123 Ivi, p. 302
124 A. Caldarelli, La pastorale. La pastorale di Nardo: dramma sacro e festa paesana in Sicilia, Macerata, EUM, 2009.
125 G. Verga, I Malavoglia, cit., p. 43. 126 Ivi, p. 248.
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non ha idea di cosa voglia fare o in cosa consista la vita degli “altri”, sa solo in cosa non consiste. La legge che intende imporre è una legge enantiomorfa rispetto a quella vigente in Sicilia, non ha altro testo se non la negazione di quello noto. Più che una nuova legge è un vuoto di legge, così come l’Italia è un non-luogo dove diventano reali tutte le speranze e le paure dei terrazzani. Nessuno dei personaggi ha un’idea chiara di cosa ci sia “di là del mare”. Tutti coloro che solcano il confine del paesetto sembrano andare e venire dallo stesso luogo indefinito. ‘Ntoni soldato a Trieste, Bastianazzo morto in mare, Luca morto a Lissa, il padre della Nunziata fuggito ad Alessandria d’Egitto, i marinai, i forestieri, tutti sono più e più volte citati insieme e accomunati da uno stesso destino. Una volta che prendono la decisione di partire o una volta reimmessi nel villaggio, coloro che sono venuti a contatto con l’alterità sono ormai degli estranei, come si dice esplicitamente di ‘Ntoni:
I ragazzi vedendo il fratello maggiore affaccendarsi nei preparativi della partenza, gli andavano dietro pian piano per la casa, e non osavano dirgli più nulla, come fosse diggià un estraneo. — Così se ne è andato mio padre, — disse infine la Nunziata la quale era andata a dirgli addio anche lei, e stava sull’uscio. Nessuno allora parlò più.127
Si tratta di personaggi marginali che si muovono sul limite fra i due mondi e fra le loro leggi. ‘Ntoni è un “degradato” nell’accezione lotmaniana del termine. Sin dalle prime pagine lo si può sovrapporre ad una delle figure liminari nominate dal semiologo russo, il coscritto, ma poi anche in qualità di emigrante, contrabbandiere, galeotto, vagabondo, si pone sempre sul confine fra due universi e due culture, quella siciliana e quella italiana. Investito del ruolo di “ponte” egli pare non potersene svincolare, se non con l’abbandono definitivo del villaggio. Infatti, tornato alla casa del Nespolo, dove si affacciano alla sua memoria le parole dei familiari tante volte respinte, egli sembra voler restare, ma sente in modo ineluttabile che deve andar via. Il romanzo sarebbe dovuto terminare con la scena dell’addio di ‘Ntoni ai fratelli, ma, come scrive Emerico Giachery, «quel secco congedo non aveva esaurito la carica lirica del romanzo, ed ecco l’aggiunta della splendida pagina finale che probabilmente – sostiene il critico –, a parte la suggestiva resa poetica, modifica il senso intero del libro».128
Per quanto evidente sia l’importanza del nuovo finale, a nostro avviso esso non è esemplificativo di un nuovo significato dell’opera ma del senso stesso della partenza di ‘Ntoni ed è perciò coerente con il finale precedente e financo didascalico.
E se ne andò colla sua sporta sotto il braccio; poi quando fu lontano, in mezzo alla piazza scura e deserta, che tutti gli usci erano chiusi, si fermò ad ascoltare se chiudessero la porta della casa del
127 Ivi, pp. 234-235.
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nespolo, mentre il cane gli abbaiava dietro, e gli diceva col suo abbaiare che era solo in mezzo al paese. Soltanto il mare gli brontolava la solita storia lì sotto, in mezzo ai fariglioni, perché il mare non ha paese nemmen lui, ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di qua e di là dove nasce e muore il sole, anzi ad Aci Trezza ha un modo tutto suo di brontolare, e si riconosce subito al gorgogliare che fa tra quegli scogli nei quali si rompe, e par la voce di un amico. […] A poco a poco il mare cominciò a farsi bianco, e i Tre Re ad impallidire, e le case spuntavano ad una ad una nelle vie scure, cogli usci chiusi, che si conoscevano tutte, e solo davanti alla bottega di Pizzuto c’era il lumicino, e Rocco Spatu colle mani nelle tasche che tossiva e sputacchiava. — Fra poco lo zio Santoro aprirà la porta, pensò ‘Ntoni, e si accoccolerà sull’uscio a cominciare la sua giornata anche lui. — Tornò a guardare il mare, che s’era fatto amaranto, tutto seminato di barche che avevano cominciato la loro giornata anche loro, riprese la sua sporta e disse: — Ora è tempo d’andarmene, perché fra poco comincierà a passar gente. Ma il primo di tutti a cominciar la sua giornata è stato Rocco Spatu.129
L’apparizione imprevista e quasi casuale del personaggio di Rocco Spatu nella frase finale del romanzo ha sempre rappresentato un punto controverso per la critica130 e «il particolare paradossalmente prende il massimo significato – secondo Giachery – proprio dall’essere insignificante»: «è la vittoria della più arrogante e pretenziosa banalità, la banalità borghese disprezzata da Verga ma consacrata come una sorta di cieca forza vitale».131 Dal nostro punto di vista, non si può parlare di mancanza di senso né di casualità. Tutto all’opposto si deve riconoscere nel bighellonare di Rocco Spatu, proprio alle prime luci dell’alba, il chiudersi del cerchio aperto nel primo capitolo e il ricomporsi dell’ordine venuto meno con la chiamata di ‘Ntoni alle armi, ordine dal quale ‘Ntoni resta escluso. Il mondo terrazzano infatti ha un