• Non ci sono risultati.

Gli studi recenti: il Mezzogiorno postcoloniale tra locale e globale

Nella terza fase del dibattito si fa più chiara l’idea di un superamento dell’identità proiettata e della formazione di un controdiscorso sul Mezzogiorno, sia esso prodotto dal margine o dalla cultura italiana più in generale. Non sempre, tuttavia, tale acquisizione della critica arriva a limpida formulazione o si esprime in un’applicazione sistematica. Al contrario, come si è già accennato, essa risulta talvolta atrofizzata, frenata da un lato dalle resistenze nei confronti delle categorie postcoloniali, dall’altro dal timore di semplificare una letteratura complessa e articolata come quella italiana sul Meridione, soprattutto nelle sue espressioni secondonovecentesche e contemporanee. Se nelle fasi precedenti abbiamo quindi individuato correnti critiche e singoli studi intenti a sviscerare il problema della rappresentazione del Mezzogiorno in maniera programmatica, complessiva e piuttosto lineare, negli ultimi anni la critica ha prestato interesse all’argomento in modo più diffuso e asistematico, andando a produrre una serie di interventi critici circoscritti a momenti, autori o luoghi del Sud, per lo più irrelati fra loro, che possiamo immaginare come un insieme di costellazioni.

A metà strada fra l’uno e l’altro approccio è la ricerca di Birgit Wagner, che in questo senso anticipa e apre la strada agli studi successivi. L’accademica austriaca spinge ancora avanti nel tempo l’analisi delle rappresentazioni meridionali, rivolgendo la sua attenzione a opere letterarie della seconda metà del Novecento e dei primi anni Duemila. Inoltre, Wagner anticipa di qualche anno le riflessioni di Basile, introducendo per la prima volta in modo chiaro e compiuto nel dibattito il concetto di postcolonialismo, del quale pure considera giustificato l’impiego solo per la particolare condizione della Sardegna, i cui trascorsi storici sono per più ragioni riconducibili al paradigma coloniale. In un articolo del 2011, La questione sarda. La sfida dell’alterità, la studiosa prende in esame alcuni romanzi della cosiddetta “Nouvelle vague sarda” intravedendo nelle narrazioni di tipo storico o giallistico di autori contemporanei come Sergio Atzeni, Giulio Angioni, Salvatore Mannuzzu, Marcello

54

Fois, Salvatore Niffoi, Giorgio Todde e Michela Murgia le esplorazioni postmoderne di un’identità regionale ormai libera dalle opprimenti catene imperialistiche.59

Un altro contributo degno di nota è quello di Alessandra Sorrentino pubblicato nel 2013: Luigi Pirandello e l’altro. Una lettura critica postcoloniale.60 Nel volume la studiosa utilizza

le categorie di Bhabha per analizzare I vecchi e i giovani e alcune novelle pirandelliane come configurazioni di una soggettività ibrida che prende corpo in un interstizio identitario, in una spazialità in between che nega e respinge le forme binarie dell’orientalismo.

L’anno successivo Roberto Derobertis pubblica un contributo dedicato a Carlo Levi, mettendo in evidenza, nel testo di Cristo si è fermato a Eboli,61 la presenza di alcune tematiche significative come quella dell’emigrazione meridionale, della sua proibizione sotto il regime fascista e della concomitante chiamata alle armi per la campagna imperiale in Africa. Lo studioso intravede quindi, nell’opera di Levi, il tentativo di riannodare i fili di un comune destino coloniale che avrebbe investito e investirebbe tutt’oggi il Sud italiano e il Sud del mondo. Tale proposta interpretativa prende corpo in un successivo articolo dello studioso, pubblicato nel 2016 su «From the European South», rivista già menzionata come una delle piattaforme più importanti del dibattito in corso, di cui Derobertis peraltro è redattore. In uno dei primi saggi di ambito letterario del giornale, Federica Ditadi sottolinea l’importanza di ripensare le continuità fra i Sud locali e mondiali e di esplorare il campo di ricerca – che definisce «vergine» – della letteratura meridionalista: infatti, la rilettura di quest’ultima «attraverso un filtro postcoloniale permetterebbe di superare l’interpretazione attuale, che la indaga come prodotto dell’ideologia dell’autore o come filone secondario del Neorealismo».62 L’articolo di Derobertis63 si pone in questa prospettiva e analizza la poesia di Scotellaro dedicata alle lotte dei contadini lucani come l’espressione di soggettività subalterne che hanno il loro corrispettivo odierno nelle battaglie dei migranti nell’Italia del caporalato.

59 B. Wagner, La questione sarda. La sfida dell’alterità, «Aut-Aut», 349, gennaio-marzo 2011, pp. 10-29. 60 A. Sorrentino, Luigi Pirandello e l’altro: una lettura critica postcoloniale, Roma, Carocci, 2013.

61 R. Derobertis, Meridionali, migranti, colonizzati. Una prospettiva postcoloniale su Cristo si è fermato a Eboli e sull’Italia meridionale contemporanea, in C. Romeo, C. Lombardi-Diop (a cura di), L’Italia postcoloniale, Milano, Le Monnier, 2014, pp. 148-162.

62 F. Ditadi, L’archivio coloniale in Italia. Storia di Woizero Bekelech e del signor Antonio, «From the European South», 1, 2016, pp. 151-158: 156.

63 R. Derobertis, “Ognuno fa sentire la sua voce”: rileggere Rocco Scotellaro e il Sud subalterno nella condizione postcoloniale, «From the European South», 1, 2016, pp. 275-284.

55

Del 2015 è L’invenzione della Sicilia. Letteratura, mafia, modernità di Matteo Di Gesù.64 Nel volume lo studioso raccoglie alcuni suoi saggi precedentemente pubblicati, fra i quali spiccano una rassegna sul “romanzo controstorico” del Risorgimento e due riflessioni sull’opera di Sciascia. Tali saggi, come lui stesso afferma, sono uniti dalla volontà di «rivedere criticamente alcuni dispositivi discorsivi» che attraversano la letteratura isolana e che, a partire dall’unificazione nazionale, la vedono responsabile di una vera e propria invenzione: quella dell’«identità siciliana moderna».65 Di Gesù, infatti, nell’introduzione al volume, riconosce come gli scrittori siciliani, «a partire dall’incontro/scontro con l’altro – che nel loro caso aveva le sembianze della nuova entità statuale ‘piemontese’ e delle sue classi dirigenti –», abbiano sentito l’esigenza di «postulare una questione identitaria».66 Le opere di questi scrittori, guardate nel loro insieme, danno vita ad una vera e propria «genealogia» letteraria siciliana, che, se da una parte cerca di fondare una coscienza isolana per lo più essenzialista, dall’altra funge da contro-storia e da controcanto al progetto nazionale e alla sua retorica celebrativa. Lo studioso coglie dunque la peculiarità di un discorso siciliano – ma anche più estesamente periferico-meridionale – che nel dialogo con il centro si genera e si alimenta, «rinnovando quel “gioco di specchi” tra le due Italie di cui ha parlato Sciascia».67 Nel fare ciò, Di Gesù valorizza la portata critica e destrutturante della teoria postcoloniale e, pur prendendo le distanze dall’ipotesi di n possibile colonialismo interno, rende merito ai primi tentativi applicativi di tale teoria al caso italiano, auspicando che essa sia messa ulteriormente alla prova dei testi. In un altro saggio dello stesso anno, in una prospettiva più esplicitamente postcoloniale che emerge già dal titolo – Un “oriente” domestico: ipotesi per un’interpretazione postcoloniale della letteratura siciliana moderna –,68 lo studioso cerca di tracciare quella linea siciliana, di ricostruire, seppur sinteticamente,

quel discorso identitario dell’isola che si esprime nella sua letteratura e che nasce dal confronto con il discorso nazionale, focalizzandone gli snodi più rilevanti nelle opere di Verga, De Roberto, Pirandello, Brancati, Vittorini, Quasimodo, Tomasi di Lampedusa e Sciascia.

64 M. Di Gesù, L’invenzione della Sicilia. Letteratura, mafia, modernità, Roma, Carocci, 2015. 65 Ivi, p. 20.

66 Ivi, p. 16. 67 Ivi, p. 14.

68 M. Di Gesù, Un “oriente” domestico: ipotesi per un’interpretazione postcoloniale della letteratura siciliana moderna in M. B. Romoeuf, F. Manai, Memoria storica e postcolonialismo: il caso italiano, Berna, Peter Lang, 2015.

56

Goffredo Polizzi, in un articolo del 2014 intitolato Federico De Roberto e la nascita mostruosa della Nazione. Razza e degenerazione ne I Viceré,69 partendo da un’intuizione di Verdicchio sulla mancata messa a fuoco del problema razziale in Italia, esamina l’influenza delle teorie razziali dei criminologi positivisti sul romanzo derobertiano, sottolineando come il motivo della degenerazione, associato ad elementi tematici gotici, sia tipico delle narrazioni postcoloniali e proceda di pari passo con una delegittimazione dell’idealità nazionale e della fiducia nel progresso. Nel 2016 Polizzi licenzia inoltre un secondo articolo, anch’esso tratto, come il primo, dal suo lavoro di tesi70 e dedicato all’analisi delle differenze

di razza e genere nel capolavoro di Goliarda Sapienza, L’arte della gioia. Attraverso una profonda analisi del romanzo, per primo, lo studioso mostra le potenzialità di un approccio intersezionale alle opere letterarie del Mezzogiorno.71

Del 2016 è anche un volume di Walter Pedullà, che, come chiarito dal titolo, Il mondo visto da sotto72 (una citazione di Alberto Savinio, che tuttavia ricorda da vicino e suona come un

richiamo implicito alla corrente di studi inglese dell’History from below),73 si prefissa di esaminare le opere di autori meridionali tenendo conto della loro particolare prospettiva decentrata. Il libro raccoglie in realtà saggi pubblicati precedentemente in altre sedi, ma allo stesso tempo collabora a un’individuazione coerente di una specificità meridionale. Inoltre, in uno degli articoli contenuti nel volume, Pedullà, tramite la mediazione di Abbate, riprende esplicitamente e applica al caso italiano le tesi di uno dei maggiori teorici del colonialismo: «Come ha rammentato recentemente Andrè Gorz, il colonialismo non è soltanto una pratica esterna del capitalismo monopolistico. Esso è infatti innanzi tutto una sua pratica interna. Le sue prime vittime non sono le nazioni sfruttate, oppresse, smembrate, ma proprio le popolazioni, o una parte delle popolazioni dei paesi dominanti».74

69 G. Polizzi, Federico De Roberto e la nascita mostruosa della nazione. Razza e degenerazione ne I Viceré, in V. Deplano, L. Mari e G. Proglio (a cura di), Subalternità Italiane. Percorsi di ricerca fra letteratura e storia, Roma, Aracne, 2014, pp. 181-202.

70 La tesi, inedita nel suo complesso, è intitolata Postcoloniality and the Italian South: Race, Gender, Sexuality, Literature. Polizzi ha poi proseguito con un dottorato su tematiche vicine a quelle della sua tesi di laurea. Su questo lavoro di ricerca, intitolato Re-imagining the Italian South: Subjectivity and Migration in Contemporary Literature and Cinema ancora non ha licenziato contributi.

71 Id., The art of change. Race and Body in Goliarda Sapienza’s L’arte della gioia in A. Bazzoni, E. Bond e K. Wheling-Giorgi (a cura di), Goliarda Sapienza in Context: Intertextual Relationship with Italian and European Culture, Madison-Teaneck, Fairleigh Dickinson University Press, 2016, pp. 163-178.

72 W. Pedullà, Il mondo visto da sotto. Narratori meridionali del ‘900, Soveria Mannelli, Rubettino, 2016. 73 Corrente denominata così da Thompson: E. P. Thompson, History from Below, «Times Literary Supplement», 7 April 1966, pp. 279–80.

57

Anche Romano Luperini, in un intervento che apre un volume dedicato a Giovanni Verga del 2017, adotta le categorie saidiane reinterpretate da Moe, per «avviare» un discorso, a suo avviso meritevole di approfondimento, che vede nell’«atteggiamento “antipittoresco”» di Verga il «rifiuto di assumere l’ottica dei colonizzatori (piemontesi ma anche lombardi, come mostra la politica culturale del milanese Treves, che sul pittoresco invece puntava)».75 Il critico, rileggendo in questa chiave le opere di Verga, ipotizza la creazione di un “terzo spazio”, nella sua accezione bhabhiana, dove «gli esuli e i marginali dell’Occidente e quelli dell’Est e del Sud del mondo, possano incontrarsi e dialogare, senza identità precostituite da difendere, e incrociare linguaggi, costruire nuove comunità su nuovi valori».76

Un gruppo di studiosi molto attivo nell’ambito dell’applicazione intra-nazionale delle teorie postcoloniali è poi quello del CRIX, centro di italianistica dell’Università di Paris Ouest Nanterre La Défense, la cui rivista, «Narrativa», ha dedicato diversi numeri a tali tematiche, soprattutto per quel che riguarda la letteratura italiana contemporanea. L’uscita 2011-2012, intitolata Coloniale e postcoloniale nella letteratura italiana degli anni 200077 presenta già alcuni interessanti risultati in questo senso, come l’articolo firmato da Margherita Marras, che, sulla base di un’esclusione della cultura minoritaria sarda dal sistema Occidente (che ricorda da vicino quella operata negli stessi anni da Wagner), rileva diverse tangenze fra il pensiero afrocaraibico della “diversalità” e la narrativa dello scrittore sardo Marcello Fois.78 Nel 2012 Silvia Contarini, Margherita Marras e Giuliana Pias curano L’identità sarda del XXI sec. tra globale, locale e postcoloniale79 in cui compare un articolo di Marras intitolato Un’ignota compagnia di Giulio Angioni: aperture letterarie e identitarie all’insegna della Creolizzazione glissantiana. La studiosa, qui come altrove, arriva a sostenere chiaramente le ragioni di una linea «postcoloniale endogena», sempre e solo sarda, nella quale fa rientrare scrittori come Giulio Angioni, Sergio Atzeni e Marcello Fois.

Del 2017 è il numero 39 di «Narrativa» in cui l’analisi si allarga finalmente all’intero Sud: Nuove frontiere del sud. Genesi e sviluppo di un pensiero plurale sul Sud nella letteratura e

75 R. Luperini, Introduzione. Il «terzo spazio» dei vinti, in R. Castellana, A. Manganaro, P. Pellini (a cura di), Verga e noi. La critica, il canone, le nuove interpretazioni, «Annali della fondazione Verga», Palermo, Euno Edizioni, 2017, pp. 7-13: 10.

76 Ivi, p. 13.

77 S. Contarini, G. Pias, L. Quaquarelli (a cura di), Coloniale e postcoloniale nella letteratura italiana degli anni 2000, «Narrativa», 33/34, 2011-12.

78 M. Marras, La diversalità come variabile e chiave di lettura del postcoloniale, ivi, pp. 419-33.

79 S. Contarini, M. Marras, G. Pias (a cura di), L’identità sarda del XXI secolo tra globale, locale e postcoloniale, Nuoro, Il Maestrale, 2012. Vedi anche R. Onnis, Sergio Atzeni, écrivain postcolonial, Paris, L’Harmattan, 2016.

58

nella cultura dell’Italia contemporanea.80 Si tratta degli atti di un convegno di grande

interesse, momento di confronto per i maggiori studiosi del Meridione, cui è seguito nel 2018 un altro volume collettaneo intitolato Da ieri a oggi. Tragitti del Sud nella cultura italiana contemporanea.81 Oltre a coprire una serie di aspetti non ancora esplorati della rappresentazione del Meridione, la principale novità apportata da questi contributi, è la riflessione metodologica, che da una parte si addentra in una progressiva integrazione fra categorie ed esperienze relative al Sud globale e a quello nazionale, dall’altra rimarca il carattere strategico dell’approccio postcoloniale. Da un confronto più ravvicinato tra Global South e Mezzogiorno emerge inoltre una nuova nozione di Sud, legata ai rapporti di subordinazione, che ne fa una «categoria antropologico-culturale transnazionale»,82 una lente di ingrandimento di problemi globali. In quest’impiego trasversale del concetto di Sud, tuttavia, si cela spesso un’esaltazione dei valori periferici, una valorizzazione della prospettiva “meridiana” come verità alternativa a quella occidentale e capitalistica, che altri studiosi, come vedremo, criticano, portandone a consapevolezza, attraverso gli stessi strumenti del postcoloniale, i limiti e i rischi.

Infine, nel 2018, le studiose del CRIX licenziano Donne e Sud nella letteratura italiana contemporanea, già nella prefazione presentato come una continuazione di Tragitti del Sud. La miscellanea di saggi intende «riflettere su come le rappresentazioni, gli stereotipi, l’identità stessa delle donne, siano influenzati dall’appartenenza al Sud, e su come la scrittura letteraria italiana contemporanea costruisca questo tipo di interazione».83 Il volume parte da considerazioni analoghe a quelle che introducono il nostro studio, notando come «i percorsi delle donne e del Meridione sembrano saldarsi in un medesimo destino di subalternità: la donna è l’Altro, categoria spesso evocata per parlare del Sud; essa è definita sulla base di uno stereotipo essenzialista».84 I risultati delle indagini condotte nel volume vedono le donne meridionali oscillare «tra anelito alla modernità e stereotipi conservatori»,85 provando a riconoscere e a districarsi, non sempre con successo, fra due forme parimenti annichilenti di scrittura eteronoma.

80 M. Marras, G. Pias (a cura di), Nuove frontiere del sud. Genesi e sviluppo di un pensiero plurale sul Sud nella letteratura e nella cultura dell’Italia contemporanea, «Narrativa», 39, 2017.

81 S. Contarini, R. Onnis, T. Solis, M. Spinelli (a cura di), Da ieri a oggi. Tragitti del Sud nella cultura italiana contemporanea, Firenze, Franco Cesati, 2018.

82 D. Carmosino, Da periferia del mondo a centro di sperimentazione del futuro, ivi, pp. 53-60. 83 R. Onnis, M. Spinelli, Donne e Sud, cit., p. 10.

84 Ivi, p. 12. 85 Ivi, p. 13.

59

Nel 2017 Lorenzo Perrona, con L’altro sé. Opposizioni letterarie dal Sud: Silone, Levi, Brancati, Pasolini, Sciascia, procede a un’analisi postcoloniale di quella peculiare esperienza letteraria italiana che «mette in gioco il tema dell’alterità» e che inizia «dagli esordi letterari di Silone (1933) e dal primo romanzo a-fascista di Brancati (1934); precede e segue la seconda guerra mondiale, investe non a caso il passaggio dal totalitarismo alla repubblica democratica, e resta significativa, nei decenni successivi, nelle opere di Pasolini e di Sciascia».86 Esaminando i testi di questi autori, Perrona riconosce nel Sud una «metafora di alterità», mediante la quale essi oppongono resistenza al potere costituito. L’opposizione all’«imagerie culturelle» meridionale di questi scrittori (come lo studioso la definisce richiamandosi all’imagologia) si contraddistingue per le istanze sociopolitiche che veicola e per l’alternativa al presente capitalistico che essa elabora e propone con forza.

Del 2017 è un volume di Anita Virga intitolato Subalternità siciliana nella scrittura di Luigi Capuana e Giovanni Verga.87 L’autrice, richiamandosi al dibattito sull’orientalismo italiano,

accetta la tesi del colonialismo interno e analizza le posizioni di Verga e Capuana in un’ottica postcoloniale. Si rifà in particolare alle categorie di Bhabha e di Spivak e, nell’analisi delle opere, presta particolare attenzione allo stile e alla lingua adottati dai due scrittori siciliani. Rileva inoltre l’importanza di temi (come quello dell’orfano nella narrativa verghiana) che, a suo modo di vedere, rappresentano un mezzo di sovversione rispetto al progetto nazionale. Di queste strategie “contro-discorsive”, sulla scorta del lavoro di Moe, Virga giunge financo a riconoscere un’evoluzione diacronica e quasi a individuare, all’interno della produzione postcoloniale dei due autori, il passaggio da una prima a una seconda fase, salvo poi confonderne i contorni con il discorso del centro e ridurne la portata a semplice contestazione della cultura egemone.

Luigi Cazzato, già curatore di una collettanea di saggi intitolata Orizzonte Sud (2010)88 e già autore di articoli per «From the European South»,89 pubblica nel 2017 un volume incentrato sulle rappresentazioni letterarie inglesi del Mezzogiorno italiano, strumento, secondo lui, di un «imperialismo informale» britannico del Mediterraneo europeo. Il concetto di

86 L. Perrona, L’altro sé. Opposizioni letterarie dal Sud: Silone, Levi, Brancati, Pasolini, Sciascia, Viagrande, Algra, 2017.

87 A. Virga, Subalternità siciliana nella scrittura di Luigi Capuana e Giovanni Verga, Firenze, Firenze University Press, 2017.

88 L. Cazzato (a cura di), Orizzonte Sud, Nardò, Besa, 2011.

89 Id., Dis/fare l'archivio islamofobico delle relazioni anglo-meridionali: smurare il Mediterraneo, «From the European South», 1, 2016, pp. 251-260.

60

“meridionismo”, che egli impiega per analizzare tale alterizzazione subordinante, rimanda all’orientalismo saidiano e si inserisce in quella catena di colonizzazioni mondiali descritta da Edmund Burke III con la metafora delle scatole cinesi. Quest’ultima si articola in molteplici subordinazioni discorsive – variamente denominate “sudorientalismo”90 “nesting orientalism”,91 “celticismo”,92 “mediterraneismo”,93 “italianismo”,94, “australismo”95 – «tutte da far risalire alle geografie morali partorite dalla comune matrice coloniale del potere nella modernità, orientalismo compreso».96 Come si anticipava nel capitolo introduttivo, Cazzato riprende infatti l’idea di “colonialità della modernità” da Quijano e supera le possibili riserve sull’uso delle categorie postcoloniali parlando, per il Sud Italia, non di «differenza coloniale», ma di «differenza imperiale», cioè non di una «alterità radicale, come l’Oriente (ancor meno l’alterità assoluta come l’Africa)», bensì di un’«identità deficitaria: un Occidente imperfetto».97 Perciò preferisce usare la categoria di “meridionismo”,

riprendendo il termine da Alfred Pfister, piuttosto che accogliere concetti già in uso, ma insoddisfacenti, quali quello di “meridianismo” o “pensiero meridiano”. Quest’ultimo, reso celebre dal fortunato volume di Franco Cassano del 1996, esaltando i valori della differenza “meridiani”, va incontro al rischio di una nuova forma di essenzialismo meridionale, che pure, secondo Cazzato, è da preferirsi a una ricaduta del Sud nella “sindrome del secondo sesso di Beauvoir”, a causa della quale l’identità marginale (femminile/meridionale) risulta erosa e svuotata perché considerata mero prodotto della costruzione centrale (maschile/settentrionale).98 Come è evidente, la riflessione teorica internazionale sollecita in modo sempre più complesso e stimolante le sfide del peculiare caso italiano, che in parte risultano vinte e in parte restano bloccate in impasse insiti nello stesso paradigma metodologico.

90 G. Goffredo, I dolori della pace. Scontro o crisi di civiltà nel Mediterraneo, Bari, Poiesis, 2010, p. 59, citato in L. Cazzato, Sguardo inglese, cit., p. 36.

91 M. Bakic-Hayden, Nesting Orientalism, cit. p. 918, citato in L. Cazzato, Sguardo inglese, cit., p. 36. 92 W. J. McCormack, Ascendancy and tradition in Anglo-Irish Literary History form 1789 to 1939, Oxford, Clarendon Press, 1985, citato in L. Cazzato, Sguardo inglese, cit., p. 37.

93 M. Herzfeld, Practical Mediterraneanism: Excuses for Everything, from Epistemology to Eating, in W. V. Harris (a cura di), Rethinking the Mediterranean, Oxford, Oxford University Press, 2005, p. 48, citato in L. Cazzato, Sguardo inglese, cit., p. 37.

94 M. Raynolds, The realm of Verse 1830-1870: English Poetry in a time of Nation-Building, Oxford, Oxford University Press, 2001, citato in L. Cazzato, Sguardo inglese, cit., p. 37.

95 M. Tlostanova, “The South of the Poor North: Caucasus Subjectivity and the Complex of Secondary “Australism”, «The Global South», 5, 1, 2011, citato in L. Cazzato, Sguardo inglese, cit., p. 37.

96 L. Cazzato, Sguardo inglese, cit., p. 37. 97 Ivi, p. 45.

61

Nello medesimo ordine di problemi si pone il libro di Francesco Maria Tedesco, Mediterraneismo. Il pensiero antimeridiano, sempre del 2017. Con il termine