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IL RUOLO DELLA MATERIA NON LINGUISTICA

Nel documento e allora....CLILpdf (pagine 62-66)

Il ruolo e il “guadagno” della materia non linguistica nel caso essa venga veicolata in una lingua straniera, e quindi il punto di vista degli insegnanti di Content (per ripren-dere l’acronimo), è il secondo dei problemi citati da Wolff nel suo articolo del 1999. Ed è, come si comprenderà da osservazioni contenute in diversi punti di questo volume, un problema tuttora aperto. Wolff si dice preoccupato della mancanza, nelle discussioni che riguardano il CLIL, proprio degli insegnanti della materia non linguistica:

“[…] i problemi del CLIL sono discussi in genere soltanto dagli insegnanti di lin-gua straniera, e quasi mai dagli insegnanti delle materie non linguistiche. Quasi nessun insegnante di materia non linguistica ha partecipato al Simposio, e quelli che c’erano erano anche insegnanti di lingua straniera. Che questo fosse un proble-ma è risultato ovvio in particolare nelle sessioni plenarie, dove i problemi e i sug-gerimenti degli insegnanti di materia non linguistica non sono stati discussi. Per un certo verso, questo dà l’impressione che noi insegnanti di lingue abbiamo l’ar-rogante pretesa di saperne di più, per quanto riguarda l’insegnamento di materie non linguistiche, di quei professionisti che hanno studiato queste materie e hanno imparato come insegnarle. Penso che nel prossimo futuro dovremo integrare gli insegnanti di materie non linguistiche in quello che facciamo nel CLIL.” (p. 123)

La sua preoccupazione è fondata: dai dati disponibili, anche nel Trentino28 la mag-gior parte dei progetti CLIL documentati sembra venire iniziata e portata avanti dagli insegnanti di lingua straniera, che spesso agiscono da soli. Anche i progetti illustrati nella Parte II del volume hanno avuto origine da un interesse specifi co delle docenti di lingua straniera. In molte altre realtà, in molti Paesi europei (cfr. il volume Eurydice del 2006), questo orientamento si ripete molto spesso. Perché le cose cambino, e gli insegnanti di materia si avvicinino spontaneamente al CLIL invece di esservi invitati da altri, bisognerà che tutti coloro che si occupano di CLIL acquisiscano una maggio-re consapevolezza del fatto che se è vero che il CLIL ha una natura duale, allora questa doppia natura va tenuta in considerazione, rispettata ed esplorata da entrambi i punti di vista. Per facilitare il cambiamento è necessario fornire più opportunità a livello di sistema, in modo cioè organizzato, coordinato dal centro e continuato nel tempo: agli insegnanti di materie non linguistiche, per approfondire/costruire le proprie compe-tenze in lingua straniera (si veda a questo proposito la decisione presa dall’IPRASE all’interno del Progetto ALIS nel capitolo Il CLIL nella scuola trentina. Il ruolo del-l’IPRASE e del Progetto ALIS), in modo da favorire in loro l’interesse e l’inclinazione

28 Cfr. F. Ricci Garotti, Insegnamento veicolare in provincia di Trento: un modello possibile, 2004, op.cit.

verso questa innovazione; agli insegnanti di entrambe le componenti, per favorire il moltiplicarsi di opportunità di formazione e di ricerca-azione congiunta sul CLIL e, soprattutto, per incoraggiare e sostenere la costituzione nelle scuole di Teaching Teams, la cui necessità risuona anche nelle parole di Marsh, Marsland e Nikula:29

“[…] dobbiamo occuparci di quelle capacità di lavoro in team che sono essenziali se il CLIL deve essere integrato nel curricolo. Alcuni docenti lavorano in una sub-cultura di separazione dei territori professionali. Questa eredità deve essere superata se il lavoro in team e la condivisione delle responsabilità devono essere di supporto allo sviluppo del CLIL nelle scuole. La cooperazione iniziale tra inse-gnanti di materia non linguistica e di specialisti di lingua straniera è di particola-re importanza per il raggiungimento di risultati positivi nel CLIL.” (p. 38)

La dominanza del punto di vista degli insegnanti di lingue, che tanto preoccupa Wolff , si spiega facilmente con il grande “peccato originale” del CLIL, che, nono-stante la precedenza nell’acronimo del termine Content, è quello di essere nato dalla preoccupazione di favorire l’approfondimento del Language, e non delle competenze nelle materie non linguistiche, dei futuri cittadini europei. Fin dalla sua nascita, che possiamo far risalire al Libro Bianco Cresson, il CLIL è stato visto come un mezzo che utilizza le materie non linguistiche per raggiungere scopi che non appartengono primariamente a loro. Ed è del resto abbastanza poco diff usa (cfr. Wolff , 2001, cit.) e piuttosto recente la consapevolezza che il rapporto fra le due componenti del CLIL è di fondamentale importanza, cioè che il CLIL non deve essere “una lezione di lingua mascherata da disciplina”30 e che non si devono:

“considerare prioritari i vantaggi apportati dal CLIL alle competenze in lingua straniera rispetto a quelle disciplinari, perché […] il discorso va completamente ribaltato: qualora si dovesse stabilire una priorità all’interno dei progetti CLIL, questa spetterebbe di certo all’aspetto disciplinare e non a quello linguistico.”

(Ricci Garotti, 2006:39)

Ma perché, se il loro punto di vista viene così raramente preso in considerazione, i docenti di materia non linguistica dovrebbero accettare di favorire e addirittura di essere coinvolti in questa innovazione pedagogica? È presto detto: perché la ricerca dimostra che è vantaggioso anche per la materia non linguistica essere veicolata in una lingua diversa da quella materna dei discenti. Sul benefi cio in termini cognitivi

29 Cit.

30 Wildhage, 2002, citato da F. Ricci Garotti, Presupposti e fi nalità in CLIL, in F. Ricci Garotti, a cura di, Il futuro si chiama CLIL, IPRASE del Trentino, Trento, 2006.

dell’apprendere una materia in una lingua “altra” prendiamo in considerazione le pa-role di due esperti e quelle di alcuni attori delle sperimentazioni IPRASE, che ne avvalorano le tesi. Aff erma Marsh31 nel 2000 a proposito della relazione tra lingua e abilità di pensiero:

“Il fatto di essere capaci di vedere lo stesso fenomeno da angolazioni diverse, come se si stesse guardando attraverso ‘occhiali’ linguistici diversi, può avere un impatto molto interessante sulla nostra abilità di pensare e comprendere. In altre parole, essere capace di incorniciare i propri pensieri in più di una lingua può dare vantaggi ad un adolescente in termini di capacità di pensiero e di studio.

Il CLIL non promuove soltanto la competenza linguistica. A causa dei diversi

‘orizzonti di pensiero’ che risultano dal lavorare in un’altra lingua, il CLIL può avere un impatto anche sulla concettualizzazione: letteralmente, su come pensia-mo. Essere capaci di pensare a qualcosa in lingue diverse può arricchire la nostra comprensione di concetti, e aiutare ad estendere le nostre risorse in termini di mappe concettuali. Questo permette una migliore associazione tra diversi con-cetti e aiuta l’apprendente ad andare verso un livello più sofi sticato di apprendi-mento in generale.” (p. 8)

Concorda in toto Dodman,32 che al Convegno di apertura del Progetto ALIS a Rovereto (gennaio 2004) ha aff ermato:

“Sul piano cognitivo […] quando ho fatto delle ricerche per quanto riguarda si-stemi scolastici in cui si usano diverse lingue, non dico come veicolari in quanto tali, […] parlo semplicemente di uso di più lingue per trattare tematiche che possano riguardare per esempio l’ecologia, l’ambiente e via di seguito, ho visto come si possa sviluppare una maggiore concettualizzazione del sapere proposto per mezzo di un fattore che si può descrivere come il fattore della defamiliariz-zazione. Purtroppo per noi, molto spesso nei contesti scolastici, con riferimento a concetti scientifi ci, incontriamo un linguaggio che in contesti quotidiani abbiamo già incontrato. Si tratta di un linguaggio familiare: nel contesto quotidiano “ener-gia” e “forza” molto spesso sono praticamente sinonimi; “sviluppare” e “crescere”

sono, direi, quasi esattamente sinonimi. In botanica “sviluppare” è una cosa e

“crescere” è un’altra cosa; in fi sica ovviamente “energia” e “forza” sono due cose

31 D. Marsh and G. Langé, (eds.), Using Languages to Learn and Learning to Use Languages, Jyväskylä, University of Jyväskylä, 2000.

32 M. Dodman, Apprendere una o più lingue straniere, dalla scuola dell’infanzia alla formazione professio-nale: principi teorici e implicazioni pratiche, in S. Lucietto, a cura di, Qualità e cambiamento: l’apprendi-mento delle lingue straniere, IPRASE del Trentino, Trento, 2006, p. 48-49.

ben diverse. Molto spesso lavorare su concetti di questo tipo in una seconda o addirittura una terza lingua permette un processo di defamiliarizzazione per cui non è più possibile scambiare il riconoscimento di una parola familiare per la concettualizzazione di un sapere. Lavorare in più lingue defamiliarizza il lin-guaggio e permette di approfondire maggiormente la concettualizzazione”.

Le argomentazioni sono cogenti… ma sarà poi sempre vero? La risposta l’han-no fornita direttamente, nel l’han-nostro contesto, alcuni alunni delle classi CLIL delle sperimentazioni seguite dall’IPRASE:

“Preferisco fare geografi a in inglese perché sono più attento ad ogni singola pa-rola.”

e

“A me piace molto di più fare geografi a in inglese che in modo tradizionale perché facendola in inglese imparo nuovi vocaboli, ma soprattutto mi ricordo meglio i procedimenti.” (Telve)

e le loro insegnanti:

“Alcuni alunni hanno migliorato il loro voto in geografi a rispetto al primo quadrimestre. Questi alunni sono risultati essere quelli che hanno una valutazio-ne molto positiva in inglese.” (Predazzo)

Marsh, nel già ricordato Report del Progetto CLIL Matrix (2005), aff erma:

“I fondamenti teorici del CLIL coinvolgono attualmente non solo quelli che si riferiscono all’acquisizione di una lingua. Aspetti cognitivi e motivazionali del-l’apprendente sono due problematiche molto signifi cative di cui si sta discutendo al momento.” (p. 7)

È proprio in risposta a questi temi e a queste sollecitazioni che nel modello pro-posto dall’IPRASE (cfr. capitolo Il Modello CLIL propro-posto dall’IPRASE) non solo si è optato per la strutturazione di un Teaching Team dove l’insegnante di materia non linguistica avesse una responsabilità in alcuni ambiti maggiore rispetto alla collega di lingua straniera, ma si è anche preferito concentrare consapevolmente la valutazione degli alunni primariamente sulla materia non linguistica, confi dando che i risultati nella lingua sarebbero potuti essere rilevati più compiutamente nelle ore di lingua straniera, come infatti si è verifi cato (cfr. il capitolo Risultati delle sperimentazioni e i documenti della Parte II, elaborati dai Teaching Team).

Nel documento e allora....CLILpdf (pagine 62-66)