• Non ci sono risultati.

S ECRETVS , SECRETO

E XCVRSVS I L “ LAVORO ” DELLA PROVVIDENZA : FACIO , FIO E OPERATIO , OPEROR , OPVS

II. I L MISTERO DELLA PROVVIDENZA

3. S ECRETVS , SECRETO

3.1LEGGE DIVINA, LEGGE NASCOSTA (E INEVITABILE)

lib. arb. 1,14: sed dispiciamus diligenter… quousque per legem istam, quae populos in hac uita cohibet, malefacta ulciscenda sint, deinde quid restet, quod per diuinam prouidentiam ineuitabilius secretoque puniatur.

Lib. arb. 1,14, presenta la coppia avverbiale ineuitabilius secretoque. La forma

avverbiale ineuitabiliter non è attestata prima di A. (il grado comparativo dell’avverbio è un hapax). L’antitesi tra visibile e invisibile è trasferita a livello morale: A. distingue infatti tra lex humana e lex diuina; quest’ultima, invisibile e più efficace della prima, interviene portando a compimento gli effetti della legge civile. La distinzione agostiniana tra queste due distinte tipologie di legge deve molto a Cicerone81. Limitando il discorso alla legge eterna, Cicerone identifica la lex con la summa ratio (leg. 1,18), riprendendo la concezione stoica82 di una legge fissa e immutabile83, definita

79 Cf. Vulg.: … uultum iudicum eius operit. 80 Forcellini, s.u. requiro.

81 De Capitani 1987, 100ss., n. 275.

189

tecnicamente recta ratio, parte integrante della natura (insita in natura), e preposta a prescrivere ciò che è permesso e ciò che è invece vietato fare84. Anche la lex ciceroniana, impressa nella mente umana85, costituisce l’elemento di contatto tra uomini e dèi86 (aeterna, summa, uera, princeps, recta)87: in questo principio razionale e divino trovano sintesi il piano universale e naturale e quello morale o umano. In A., piano naturale e piano morale sono regolati da un principio comune di ordine88, che egli identifica con la provvidenza (lib. arb. 1,13: nescio utrum non aliqua uehementiore ac

secretissima lege teneantur, si nihil rerum est, quod non administret diuina prouidentia)89.

L’associazione tra il sostantivo lex e gli aggettivi appartenenti alla sfera della ‘invisibilità’ o della ‘impenetrabilità’ non si trova in Cicerone90, come non è ciceroniano l’aggettivo ineuitabilis91, che negli autori classici esprima generalmente l’inevitabilità degli eventi negativi92, ed è riferito al fatum93 o alla legge divina; con questa ultima accezione, ineuitabilis si riferisce anche ad aspetti positivi e provvidenzialistici (come in Sen. epist. 88,15: agit illa [sc. sidera] continuus ordo fatorum ineuitabilis cursus; Chalc. comm. 138: lege diuina, quam Plato ineuitabilem appellat promulgationem; 149:

83 Cic. leg. 2,8: legem ... aeternum quiddam, quod uniuersum mundum regeret imperandi prohibendique

sapientia; rep. 3,33: una lex et sempiterna et inmutabilis.

84 Cic. rep. 3,33: est … uera lex recta ratio, naturae congruens, diffusa in omnis, constans, sempiterna,

quae uocet ad officium iubendo, uetando a fraude deterreat; cf. Lact. inst. 6,24,29.

85 Cic. leg. 1,18: eadem ratio [sc. summa, insita in natura], cum est in hominis mente confirmata et

perfecta, lex est; cf. Aug. lib. arb. 1,15: aeternae legis notionem, quae impressa nobis est … ea est, qua iustum est, ut omnia sint ordinatissima; conf. 3,9: furtum certe punit lex tua, domine, lex scripta in cordibus hominum, quam ne ipsa quidem delet iniquitas: v. Solignac 1962, 663s.

86 Cic. leg. 1,23: … quoniam nihil est ratione melius, eaque <est> et in homine et in deo, prima homini

cum deo rationis societas. Inter quos autem ratio, inter eosdem etiam recta ratio [et] communis est: quae cum sit lex, lege quoque consociati homines cum dis putandi sumus; Dyck 2004, 124.

87 Cic. leg. 1,18: lex est ratio summa, insita in natura, quae iubet ea quae facienda sunt prohibetque

contraria (cf. Aug. lib. arb. 1,15; cit. supra, n. 85); 2,8; 2,10; rep. 3,33, cit. supra, n. 84; nat. deor. 1,36: Zeno autem, ut iam ad uestros Balbe ueniam, naturalem legem diuinam esse censet, eamque uim obtinere recta imperantem prohibentemque contraria; 2,79.

88 Aug. lib. arb. 1,6: neque enim ulla uis, ullus casus, ulla rerum labes umquam effecerit ut iustum non sit

omnia esse ordinatissima.

89 Cf. Aug. pecc. et remiss. 2,5,6: cur autem illum adiuuet, illum non adiuuet, illum tantum, illum autem

tantum, istum illo, illum isto modo, penes ipsum est et aequitatis tam secretae ratio et excellentia potestatis: l’idea della imperscrutabilità e della potenza compaiono in riferimento alla grazia.

90 Cf. Th.l.L. VII/2,1249,37ss., s.u. lex; l’idea della necessità è invece presente in Cicerone ed è legata al concetto di fatum, cf. Cic. Tim. 43: leges fatales et necessarias.

91 Non vi sono attestazioni ciceroniane di questo lessema: cf. Th.l.L. VII/1,1317,56ss., s.u. ineuitabilis. 92 Ouid. met. 3,301: ineuitabile fulmen [sc. Iouis]; Sen. ira 2,13,1: aut utile id [sc. malum] esse aut

ineuitabile; Quint. decl. 301,9: ineuitabilem fraudem; [Quint.] decl. 13,6: ineuitabilem pestem; Apul. Apol. 26: perniciem caecam et ineuitabilem.

93 Curt. 10,1,30: fatum, cuius ineuitabilis sors est; Manil. 2,113: certum est et ineuitabile fatum; Chalc.

190

scitum ineuitabile uocat ille fatum, ineuitabilem uim potentiamque intellegens principalem causam omnium quae in mundo consequenter continueque fiunt). In

Apuleio, il fatum, esso stesso inteso come legge divina, è lo strumento in grado di portare a termine i progetti di dio (Plat. 1,12,205: diuinam legem esse fatum, per quod ineuitabiles cogitationes dei atque incepta complentur)94. In questi testi troviamo quindi le radici dell’uso agostiniano.

Il retroterra ciceroniano del concetto di lex aeterna è arricchito quindi da altri elementi: ineuitabilis richiama il concetto di fatum ed è usato con accezione positiva (da Seneca, ad esempio) in riferimento all’ordine cosmico; l’associazione di ineuitabilis al concetto di legge divina rimanda inoltre a quel pensiero sincretico caratteristico del platonismo di età imperiale, dove elementi platonici si fondono con concetti di derivazione stoica: il De Platone di Apuleio è un esempio di questa sintesi, che si ritrova poi nel commento calcidiano. Infine, la presenza dell’avverbio secreto nel passo agostiniano caratterizza questi concetti in senso cristiano (si è detto, infatti, che l’idea del mistero dell’azione divina rimanda a una concezione biblica di Dio)95. In lib. arb. 1,14, la coppia avverbiale ineuitabilius secretoque non ha ancora una valenza escatologica (il verbo punio è usato al presente), ma la punizione inevitabile di quanto sfugge alla legge temporale sembra preparare l’idea del riequilibrio escatologico: in opere successive A. afferma infatti che il compimento della giustizia divina avverrà solo alla fine dei tempi.

3.2PRESENZA NASCOSTA IN SENSO ESISTENZIALE O BIOGRAFICO

Acad. 1,3: illud ipsum, inquam, quod in te diuinum nescio quo uitae huius somno ueternoque sopitum est, uariis illis durisque iactationibus secreta prouidentia excitare decreuit.

In Acad. 1,3, l’agire ‘nascosto’ della provvidenza si profila come intervento educativo (excitare), volto a ‘risvegliare’ l’animo di Romaniano dal sonno della vita terrena96. I duri colpi infertigli non sono quindi opera di una sorte avversa ma di una provvidenza

94 Secondo una definizione di matrice stoica: Beaujeu 1973, 272; cf. Chalc. comm. 144.

95 La lex occulta di Dio si contrappone alle forze umane (s. 170,1); è scritta nelle menti degli angeli (c.

Iul. 6,62) e garantisce la punizione dell’azione malvagia (iniquitas). Sul concetto agostiniano di lex aeterna, v. Schubert 1924; Álvarez Turienzo 1958/1959, 245-290; Madec 1976, 551-554; Ritschl 1976,

63-81.

96 Sul ruolo della fortuna nel percorso verso la sapientia in Acad., v. Fuhrer 1997, 62s.; v. infra, cap. IV, 267s.

191

insondabile97. L’intero proemio del primo libro è caratterizzato dalla contrapposizione tra fortuna e ordo occultus. A. riconduce, infatti, a un ordine invisibile e allo stesso tempo incomprensibile gli eventi dei quali ci sfugge la causa, comunemente attribuiti alla sfera di azione del caso(v. supra, 180).

Questa idea si fonda sulla definizione antica del concetto di fortuna. Negli scritti filosofici di Cicerone, essa consiste in una serie di eventi inaspettati dalle cause per noi oscure: efficiat multa improuisa et necopinata nobis propter obscuritatem

ignorationemque causarum (Ac. 1,29)98. Nel campo della fortuna ricade quindi tutto ciò

che sfugge a una logica razionale99. Nei Topica, la fortuna rientra fra le cause nascoste:

earum causarum, quae non sunt constantes aliae sunt perspicuae, aliae latent… latent, quae subiectae sunt fortunae. Cum enim nihil sine causa fiat, hoc ipsum est fortunae: euentus obscura causa et latenter efficitur (Top. 63)100.

A. riformula, quindi, il concetto antico di fortuna (cf. retr. 1,1,2: fortuitum rerum

euentum uel in corporis nostri uel in externis bonis aut malis), riconducendolo nel

campo di azione della provvidenza101. La secreta prouidentia di Acad. 1,3 (priva del qualificativo diuinus o del genitivo dei, fenomeno raro nell’usus agostiniano, che sembra quindi caratterizzare il concetto in senso filosofico) coincide sostanzialmente con il concetto di ordo occultus, come emerge da retr. 1,1,2: forte, forsan, forsitan,

fortasse, fortuitu, quod tamen totum ad diuinam reuocandum est prouidentiam. hoc etiam ibi non tacui dicens: “etenim fortasse quae uulgo fortuna nominatur, occulto

97 La philosophia cui fa riferimento A. nel proemio di Acad. si propone di dimostrare proprio l’esistenza di un ordine nascosto che regge la trama degli eventi che ci paiono essere invece in balìa del caso; esso non è dunque altro che ciò che sfugge alla comprensione della ragione: Catapano 2001, 23. Sulle uirtutes come forza opposta ˗ ma insufficiente ˗ alla fortuna, v. ibid. 57s.; 61s.

98 Sulla insondabilità delle cause di alcuni eventi, cf. Ou. epist. 21,53: causa latet, mala nostra patent …; Sen. Oed. 882: Siue ista ratio siue fortuna occulit; Plin. paneg. 5,9: habet has uices condicio mortalium,

ut aduersa ex secundis, ex aduersis secunda nascantur. occultat utrorumque semina deus, et plerumque bonorum malorumque causae sub diuersa specie latent; cf. Hier. dial. contra Pelag. 3,11: occultis quibusdam et soli deo cognitis causis.

99 Diu. 2,15: quid est enim aliud fors, quid fortuna, quid casus, quid euentus, nisi cum sic aliquid cecidit,

sic euenit, ut uel aliter cadere atque euenire potuerit?; cf. la definizione del concetto di τύχη aristotelica

(la coincidenza di due serie causali indipendenti tra loro: Phys. 195 b 31 ss.) e stoica (una causa impenetrabile alla ragione umana: SVF II 970-973): Kajanto 1972, 185.

100 La fortuna va intesa in senso stoico, come causa insondabile dalla ragione umana (v. SVF II 965), e non come assenza di causalità, come era invece per gli epicurei. Per i problemi testuali di questo passo, v. Reinhardt 2003, 330s.; v. anche Cic. fat. 5s.; Aug. ciu. 5,9.

101 «Absolutiser l’ordre, même en reconnaissant qu’il risque de n’être pas toujours “patent”, est un moyen d’exorciser la tentation, dénoncée chez Ciceron par le stoïcienne Balbus, de se rabattre, faute d’une autre explication, sur le hasard» (Doignon 1996, 244). Cf. Cic. nat. deor. 2,56: nulla igitur in caelo nec fortuna

192

quodam ordine regitur; nihilque aliud in rebus casum uocamus, nisi cuius ratio et causa secreta est” [Acad. 1,1]102.

Pertanto gli avvenimenti apparentemente casuali rispondono in realtà a una logica segreta complessiva, non necessariamente in armonia con quella parziale degli uomini103: nihilque seu commodi seu incommodi contingit in parte, quod non conueniat

et congruat uniuerso (Acad. 1,1). Riconducendo la fortuna entro il campo di azione

divino, A. le conferisce lo statuto di signum, e si inserisce nel solco di un problema già dibattuto da Cicerone104: i colpi della sorte sono uno dei modi con cui Dio si manifesta nel mondo; nella biografia del singolo, essi hanno una precisa (e necessaria) funzione di correttivi, sono “avvertimenti” (admonitiones, v. infra s.uu. admoneo; excito), finalizzati, come nel caso di Romaniano, a distoglierci dalle distrazioni terrene. In modo analogo, la malattia di cui soffriva A. ebbe lo scopo (provvidenziale) di determinarne il ritiro definitivo dalla professione di retore per dedicarsi completamente all’otium filosofico.

3.3INTERVENTO ‘SEGRETO’ E SCRITTURA

cons. eu. 3,30: quid ergo intellegendum est, nisi hoc actum esse secretiore consilio prouidentiae dei, qua mentes euangelistarum sunt gubernatae?105

A. si pone questa domanda dopo una serie di considerazioni di carattere filologico sul testo biblico (cons. eu. 3,29), che il vescovo non ritiene convincenti: sarebbe altrimenti costretto ad ammettere l’inesattezza della maggioranza dei codici biblici. La certezza dell’intervento della provvidenza sulle menti degli evangelisti, che rimane tuttavia incomprensibile (secretiore consilio prouidentiae dei), rovescia la riflessione filologica appena illustrata e spinge A. oltre il segno verbale: l’errore testuale è infatti tale solo in apparenza, perché rientra in un ordine provvidenziale più complesso. Il significato profondo di questo errore apparente è l’accordo tra i profeti, voci ispirate dalla medesima fonte divina: indubitanter accipi debere quaecumque per eos sanctus spiritus

dixit et singula esse omnium et omnia singulorum (ibid. 3,30).

102 Per A. gli avverbi riconducibili al campo semantico della fortuna, non sono quindi altro che segni grafici privi di contenuto. La precisazione sull’uso generale e non tecnico del lessema rende la misura di quanto dovevano essere ancora vive le implicazioni religiose e pagane del lessema al tempo di A.: Mohrmann 19612, 384; cf. Ou. epist. 21,53, cit. supra, n. 98.

103 Anche la dialettica tra le parti e il tutto risale alla filosofia antica: SVF II 1176;1181; Plotin. 3,2,3; 14; cf. la metafora del mosaico in Aug. ord. 1,1,2, sulla quale v. Bouton-Touboulic 2004, 100.

104 V. il confronto tra Cicerone e A. in Doignon 1996, 245ss. 105 Per questo testo, v. anche supra, s.u. guberno, 118.