Più che interrogarsi sulla portata del dilemma tra necessità di provvedere o necessità del provvedimento289 la questione va posta tra la provvisorietà dell’atto o provvisorietà del provvedere, intendendo con quest’ultima espressione le misure che rappresentano il contenuto del decreto-legge. L’espresso riferimento dell’art. 77 Cost. alla provvisorietà290 della decretazione d’urgenza evoca un concetto che riguarda tre aspetti differenti291: l’incertezza che ne circonda la vigenza, la durata temporanea, l’azzeramento degli effetti prodotti se non subentra la legge di conversione. E’ dunque possibile ricostruire un significato di provvisorietà che indichi il conferimento al Governo di un potere avente forza di legge, dotato di efficacia cronologicamente delimitata, la temporaneità dell’an, unito alla predeterminazione del momento esatto in cui l’esercizio straordinario della forza di legge dovrà cessare, la temporaneità del quomodo, oltre alla portata retroattiva di una eventuale cessazione di efficacia derivante dalla mancata conversione, il quomodo della provvisorietà. Tuttavia, la perentorietà del termine di precaria vigenza ex art. 77, comma 3, Cost. vuole sottolineare in
288
Cfr MARAZZITA, L’emergenza costituzionale, cit., pag. 364, il quale afferma che “ad esempio, di fronte ad uno sciopero generale, il cui perdurare è capace di compromettere beni giuridici fondamentali (diritto alla salute, difesa sociale, diritto di difesa), potrebbe rivelarsi necessario adottare un decreto-legge, contenente stanziamenti di risorse da erogare nel tempo di là a venire”.
289
Cfr ESPOSITO, Decreto-legge, cit., pag. 835.
290 Cfr MARTINES, Prime osservazioni sul tempo nel diritto costituzionale, in Scritti in onore di
S. Pugliatti, Milano, 1978, III, pag. 883, il quale ritiene che il riferimento dell’art. 77 Cost.
abbia ad oggetto soprattutto la durata temporanea del decreto-legge.
130
modo particolare la limitata efficacia nel tempo del decreto-legge292. Secondo questa impostazione, la questione iniziale tra provvisorietà dell’atto o provvisorietà delle misure ivi contenute si risolve nella provvisorietà di entrambi, in quanto, da un lato, l’atto deve venire meno in ogni caso alla scadenza del termine costituzionale, dall’altro, il contenuto mira ad essere confermato in sede di conversione ma, fino a questa conferma, è dotato di efficacia provvisoria293. A sostegno di questa tesi, si pone anche la giurisprudenza costituzionale, secondo la quale l’art. 77 Cost. “nella sua limpida formulazione non offre alternative al carattere necessariamente provvisorio della decretazione d’urgenza: o le Camere convertono il decreto- legge entro sessanta giorni o il decreto perde retroattivamente la propria efficacia, senza che il Governo abbia la possibilità di invocare proroghe o il Parlamento di provvedere ad una conversione tardiva”294. E’ proprio a ragione di questa provvisorietà che il decreto-legge è stato in qualche modo paragonato alle “leggi temporanee” con due importanti differenze: la prima sottolineava il fatto che le leggi temporanee determinano liberamente esse stesse il proprio termine finale, mentre nel caso del decreto-legge questo è inderogabilmente disciplinato dalla Costituzione; la seconda evidenzia che, in
292 Cfr PALADIN, Le fonti del diritto italiano, cit., pag. 248; cfr LAVAGNA, Istituzioni di diritto
pubblico, cit., pag. 323; CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, II, cit., pag. 97.
293
Contrariamente cfr ESPOSITO, Decreto-legge, cit., pag. 844, il quale ritiene che dalla statuizione che i provvedimenti del Governo sono provvisori possono darsi due interpretazioni: che la provvisorietà si riferisca all’atto con cui si provvede oppure che la provvisorietà si riferisca al contenuto dell’atto, e cioè “alle norme, alle regole, alle prescrizioni in esso formulate”. In tale autorevole opinione, la tesi che provvisorio non sia l’atto ma il suo contenuto sarebbe “da scartare” perché i decreti-legge “sono detti provvisori perché il loro destino è di tramutarsi in altro e cioè in legge fin dall’inizio o di perdere la loro efficacia sin dall’inizio. Le disposizioni che traggono vita dall’atto, invece, in quanto aspirano ad essere confermate o mantenute in vita dall’atto di conversione, non sono provvisorie, ma bensì, secondo vocazione, definitive”. Sempre lo stesso Autore ritiene che il decreto-legge, proprio in quanto atto provvisorio, sarebbe inapplicabile dai giudici fino alla conversione, avendo piuttosto l’efficacia di sospendere la legislazione vigente in attesa di conoscere della conversione o meno del decreto. Inoltre, in senso diverso, cfr CIAURRO, Decreto legge, cit., pag. 10, il quale distingue tra la provvisorietà come “temporaneità” e la provvisorietà come “precarietà”; secondo l’Autore, alle norme contenute nel decreto-legge si addice la seconda accezione del termine, dal momento che sono destinate ad uscire comunque dal circuito giuridico, o per decadenza o per sostituzione, entrambe con effetti ex tunc.
131
caso di mancata conversione da parte delle Camere, il decreto-legge decade ex
tunc, facendo venir meno retroattivamente i propri effetti, contrariamente alle
leggi temporanee che precarie non sono295. La provvisorietà del decreto-legge intesa come temporaneità discende direttamente dal medesimo requisito del fatto emergenziale, il quale è destinato a cessare, per poi essere riassorbito nella normalità. Sempre questa “provvisorietà” , sia dell’atto che del contenuto, dell’istituto in esame è in linea con la sua natura provvedimentale e, conseguentemente, “non si potrebbe, con decreto-legge, innovare in un ordine di rapporti e in una forma istituzionalmente definita e stabile”296. In relazione alla provvisorietà vanno ora brevemente ricostruite alcune forme particolarmente incisive e problematiche di elusione, che costituiscono strumenti di aggiramento del limite stesso della provvisorietà, cercando di prolungare gli effetti del decreto-legge ben oltre i sessanta giorni di vigenza precaria e snaturando profondamente l’istituto delineato dall’art. 77 della Costituzione. Infatti, ad esempio, secondo l’impostazione adottata dal presente studio, l’effetto prodotto dalla decretazione d’urgenza nei confronti delle preesistenti norme antinomiche è qualificato come una sospensione piuttosto che come una abrogazione297, e, in relazione a questa caratteristica,
295
Cfr CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, II, cit., pag. 97.
296 Cfr LAVAGNA, Istituzioni di diritto pubblico, cit., pag. 323. 297
Una conferma della “incapacità” del decreto-legge ad abrogare la normativa preesistente possiamo coglierla nell’orientamento dell’Ufficio centrale per il referendum che ha correttamente evidenziato l’inidoneità del decreto-legge, a causa proprio della sua provvisorietà e precarietà, a fermare il corso del procedimento referendario. In tal senso cfr CASS. CIV., Ufficio Centr. Referendum, ord. 16 marzo 1993, in Giur. It., 1994, I, 1, pag. 163, dove si sottolinea “l’inidoneità di tale provvedimento, a motivo della sua provvisorietà e precarietà, a determinare quell’effetto specifico e concreto di arresto del procedimento referendario”, previsto dall’art. 39, legge n. 352/1970. Sulla questione, inoltre, cfr FERRARA,
Legislazione sopravvenuta e preclusione della consultazione referendaria: tra doppio grado di giudizio e raddoppio dei giudizi di costituzionalità, in Giur. It., 1994, I, 1, pag. 139. Sempre
in relazione al carattere sospensivo o abrogativo della decretazione d’urgenza, si ricordi la vicenda della mancata emanazione da parte del Presidente della Repubblica di un decreto- legge, approvato dal Governo, finalizzato a modificare la disciplina del finanziamento pubblico dei partiti, normativo oggetto di referendum abrogativo già indetto. Nella lettera inviata al Presidente del Consiglio dei ministri, datata 7 marzo 1993, il Capo dello Stato invita il Governo a riesaminare la questione e pone come motivazione il fatto che “l’intersecarsi degli effetti del decreto-legge con il procedimento già avviato di consultazione referendaria pone un problema di rilevanza costituzionale”; sul punto cfr CARNEVALE, Richiesta di
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si è verificato non di rado che un decreto-legge abbia abrogato una disposizione di un precedente decreto-legge ancora in vigore, sostituendola con una diversa disciplina al fine di allungare i termini di provvisoria vigenza della regolamentazione governativa della fattispecie298. Il decreto-legge, invece, è inidoneo, per la sua stessa natura, ad abrogare disposizioni preesistenti; l’abrogazione “espressa” disposta da un decreto-legge rispetto ad un altro decreto-legge preesistente e vigente integra una sospensione ex nunc, in attesa della conversione299. Situazione ancora più complessa se si verifica la conversione del decreto “abrogante” e la decadenza del decreto “abrogato”, il quale dovrebbe essere comunque ritenuto abrogato tacitamente dall’avvenuta conversione dello decreto “abrogante”. Come si nota anche da tale spiacevole giro di parole, la questione è intricata e non presenta soluzioni univoche300. Questo meccanismo rappresenta, al tempo stesso, una forma di elusione e un abuso dell’istituto, contribuendo a disarticolare il sistema delle fonti.
referendarie. Nuovi spunti di riflessione alla luce di un recente intervento del Capo dello Stato e di taluni sviluppi della giurisprudenza costituzionale, in Giur. It., 1993, IV, pag. 265; cfr
RUGGERI, Fonti e norme nell’ordinamento e nell’esperienza costituzionale, Torino, 1993, pag. 340, il quale, criticando l’orientamento dell’Ufficio centrale, rileva che, in tal modo, sarebbe svuotata l’efficacia propria del decreto-legge, degradandolo ad una sorta di disegno di legge.
298 Cfr CELOTTO, L’abuso del decreto-legge, cit., pag. 471, il quale sottolinea che “clamoroso
è il caso verificatosi alla fine di ottobre del 1996, quando il Governo – in attesa della preannunciata e temuta sentenza della Corte costituzionale dichiarativa dell’illegittimità della reiterazione – ha provveduto a reiterare la maggior parte dei decreti-legge pendenti, anche se non ancora in prossimità di scadenza, abrogando contestualmente i decreti vigenti, in maniera da far iniziare nuovamente a decorrere dall’inizio i sessanta giorni di efficacia autonoma riconosciuti dalla Costituzione”.
299
Cfr PALADIN, In tema di decreti-legge, cit., pag. 560, il quale nega la possibilità per il Governo di abrogare con successivo decreto-legge un decreto-legge ancora precariamente in vigore, facendo leva sul fatto che una volta emanato il decreto solo le Camere possono valutarlo, per cui sarebbe da escludere ogni altra causa di cessazione di vigore del provvedimento governativo. In senso favorevole, invece, cfr ESPOSITO, voce Decreto
legge,cit., pag. 864, il quale, tuttavia, richiede che “una particolare necessità giustifichi il
grave provvedimento”.
300
Cfr AINIS, Gli effetti irreversibili del decreto-legge, in Le parole e il tempo della legge, Torino, 1996, pag. 186, il quale pone in evidenza gli effetti difficilmente rimuovibili che si possono creare in ipotesi siffatte.
133
Da un punto di vista quantitativo, invece, la forma principale di violazione della provvisorietà consiste nel fenomeno della reiterazione301, ossia della riproposizione di decreti decaduti che rende meno provvisoria la disciplina del caso regolato, eludendo il limite costituzionale di sessanta giorni fissato per la vigenza della decretazione d’urgenza. In questa circostanza, ci si trova dinanzi alla carenza del fatto emergenziale per la mancanza del requisito della imprevedibilità302. La figura del decreto reiterato non è ammissibile perché la mancata conversione è un fatto ampiamente previsto e prevedibile e fondare su questo aspetto la giustificazione dell’emergenza significa, concretamente, ammettere l’insussistenza di un diverso e legittimo presupposto. Al fine di esaminare la costituzionalità della reiterazione e verificare come essa integri “un eccesso di potere legislativo, come sviamento di potere, o addirittura una usurpazione di quel potere legislativo che la Costituzione attribuisce in via ordinaria e permanente al Parlamento”303, occorre evidenziare le varie forme che il fenomeno può concretamente assumere. Vanno infatti ritenute incostituzionali la cosiddetta “reiterazione a catena”, con sanatoria degli effetti prodotti da precedenti decreti non convertiti, e la reiterazione di
301
Cfr CELOTTO, L’abuso del decreto-legge, cit., pag. 478, il quale sottolinea che “in epoca repubblicana, nel silenzio della Costituzione, bisogna attendere quasi vent’anni perché si abbiano i primi casi di reiterazione, peraltro “giustificati” per le ragioni politiche che distoglievano le Camere dall’ordinario lavoro legislativo. I “clamori” cominciano, invece, con la reiterazione del c.d. “decretone economico colombo”, adottato con d.l. 27 agosto 1970, n. 621 e poi ripresentato con d.l. 26 ottobre 1970, n. 745, a causa del forte ostruzionismo parlamentare che aveva impedito la conversione del primo provvedimento. Dalla metà degli anni ’70, poi, il fenomeno comincia ad assumere dimensioni più massicce, ma soprattutto si va normalizzando, perdendo il carattere di evento raro e straordinario per assumere invece quello di una normale sorte dei decreti legge accanto alla conversione. A fronte di preoccupanti incrementi di questa forma di abuso, quel che più sorprende è la posizione del Parlamento, della Corte costituzionale e del sistema intero, che per anni hanno accettato
supinamente questa gravissima e pericolosa deformazione, subendola senza reagire e
consentendo così alla reiterazione, negli anni ’90 – dopo alcuni evanescenti tentativi di contenimento – di trasformare il decreto legge nel pilastro portante del sistema di produzione normativa”.
302
Cfr CARLASSARE, Conversazioni sulla Costituzione, Padova, 1996, pag. 121, dove si segnala che proprio sul fronte della mancanza di imprevedibilità delle situazioni poste a fondamento per l’emanazione dei decreti “si sono registrate le violazioni più vistose e ripetute del disposto costituzionale”.
303
Cfr DI CIOLO, Questioni in tema di decreti-legge, cit., pag. 198. Si veda anche Comm. Trib., I grado, Piacenza, 2 ottobre 1993, in Boll. Trib., 1994, pag. 337, dove si afferma che la reiterazione configura una “ipotesi di straripamento del potere legislativo”.
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decreti-legge di cui sia stata negata la conversione con voto espresso di una delle Camere. Nel primo caso si verifica una violazione plurima dell’art. 77 Cost, sia poiché il terzo comma di questa disposizione costituzionale riserva espressamente alla sola legge la possibilità di disciplinare i rapporti giuridici sorti sulla base di decreti non convertiti, sia poiché vi è una evidente elusione della provvisorietà del decreto-legge, il quale, in questo modo, prolunga la sua precaria vigenza ben oltre il termine di sessanta giorni. Nel secondo caso, invece, si ha una forte contraddizione con la centralità del Parlamento e della sua funzione legislativa, vanificandola.304 Il decreto-legge ripetutamente reiterato, pertanto, crea effetti sempre più irreversibili, determinando un affidamento sulla sua stabilità305, e, soprattutto, coartando il Parlamento non tanto alla conversione in legge quanto a pronunciarsi sull’atto306. La giurisprudenza costituzionale ha tardato ad esprimersi compiutamente sulla questione; i primi segnali di un possibile cambio di orientamento sono rinvenibili solo nel corso del 1995, quando la Corte inizia a modificare progressivamente la sua posizione consolidata, secondo cui le questioni di legittimità costituzionale sollevate nei confronti di decreti-legge non convertiti erano in toto inammissibili307. Un primo approdo lo si è avuto con la sentenza n. 84 del 21 marzo 1996308, dove, recependo le indicazioni della
304
Cfr LIPPOLIS, La reiterazione dei decreti-legge, in Dir. e Società, 1981, pag. 254, il quale ritiene che questa ipotesi di reiterazione contrastante con il combinato disposto degli artt. 70, 76 e 77 Cost.
305
Cfr PALADIN, Atti legislativi del Governo e rapporti tra i poteri, in Quad. Cost., 1996, pag. 23, il quale prefigura la formazione di una sorta di “diritto vivente” in tal senso, rilevando come “nella realtà giuridica … la pura e semplice reiterazione di un decreto non convertito nel termine di sessanta giorni determina, nella maggior parte degli operatori, la convinzione che gli effetti di quel primo provvedimento vadano tenuti fermi, sia pure in contrasto con la più corretta interpretazione dell’art. 77 Cost.”.
306
Cfr BERTI, Manuale di interpretazione costituzionale, III, Padova, 1994, il quale evidenzia come “la previsione dell’art. 77 è nient’altro che la prefigurazione di un procedimento legislativo alternativo, in cui la iniziativa del governo non è diretta a rendere possibile o a promuovere il dibattito parlamentare su un disegno di legge, ma a precostituire una legge, obbligando il parlamento a pronunciarsi su di essa, approvandola o disapprovandola o modificandola nel termine di 60 giorni dalla pubblicazione”.
307 Cfr CARLASSARE, Le decisioni di inammissibilità e di manifesta infondatezza della Corte
costituzionale, in Foro.it., 1986, IV, pag. 299; cfr PITRUZZELLA, La legge di conversione del decreto-legge, Padova, 1989, pag. 211.
135
dottrina309, è stata ammessa la possibilità di trasferire la questione di legittimità costituzionale dalla disposizione del decreto-legge impugnato alla identica disposizione del decreto-legge reiterato e attualmente vigente. Tuttavia, in questa pronuncia la Corte ha riconosciuto tale trasferimento solo in linea teorica, rilevando che nel caso di specie si controverteva di un decreto-legge non convertito ma sanato, per cui i rilievi mossi sulla sussistenza dei presupposti giustificativi non potevano essere riferibili alla legge di sanatoria, non costituendo quest’ultima idoneo equipollente della conversione. In seguito, visto il perseverare elusivo della prassi, la Corte costituzionale ha fatto ricorso ad un “monito ultimativo”; con l’ordinanza n. 197 del 14 giugno 1996310, la Corte ha sollevato dinanzi a se stessa questione di legittimità costituzionale del decreto-legge 17 maggio 1996, n. 269, in tema di immigrazione, per violazione dell’art. 77 Cost., sospettando che si trattasse di un decreto di reiterazione di precedenti decreti non convertiti. Nel caso di specie, il Governo ha agito di conseguenza, modificando, nelle successive rinnovazioni del medesimo decreto-legge, le disposizioni oggetto della questione, riguardante i meccanismi di espulsione dello straniero, in modo che la Corte dichiarasse la quaestio inammissibile per irrilevanza311. Finalmente si giunge alla sentenza n. 360 del 1996, dove la Corte costituzionale rileva perentoriamente come sia da escludere che “il Governo, in caso di mancata
309 Cfr TARCHI, Incompetenza legislativa del Governo, interposizione del Parlamento e
sindacato della Corte costituzionale, cit., pag. 967, il quale osserva come in questi casi
l’ennesimo “decreto è solo formalmente nuovo, concernendo la novità soltanto l’atto in quanto tale e non le norme da esso introdotte, sostanzialmente identiche a quelle rinnovate”, per cui “le disposizioni del decreto originario, pertanto, non sarebbero più in vigore, ma ancora efficaci, il che rende possibile un sindacato di costituzionalità nei loro confronti. L’inammissibilità (manifesta) dovrebbe allora essere limitata alle sole questioni relative a disposizioni di un decreto-legge non convertito, né successivamente rinnovato”. Inoltre cfr D’AMICO, Decreto-legge “sopravvenuto” e giudizio di costituzionalità, in Giur.
Cost., 1995, pag. 1749.
310
Cfr Corte cost., ord., 197/1996, in Giur. Cost., 1996, pag. 1789.
311
Cfr ord. 30 ottobre, n. 366, in Foro.it., 1996, I, pag. 3591, con commento di ROMBOLI, il quale rileva come sia “curiosa” la soluzione processuale adottata dalla Corte costituzionale, una dichiarazione di inammissibilità per irrilevanza di una questione che in precedenza la Corte stessa, come giudice a quo, aveva ritenuto rilevante. Inoltre cfr PIZZORUSSO, Ai
margini della reiterazione dei decreti-legge: osservazioni su alcuni problemi procedurali, in Giur. Cost., 1996, pag. 3196.
136
conversione di un decreto-legge, possa riprodurre con un nuovo decreto, il contenuto dell’intero testo o di singole disposizioni del decreto non convertito, ove il nuovo decreto non risulti fondato su autonomi (e, pur sempre, straordinari) motivi di necessità ed urgenza, motivi che, in ogni caso, non potranno essere ricondotti al solo fatto del ritardo conseguente dalla mancata conversione del precedente decreto”312. Non è quindi sufficiente la mera decadenza di un precedente decreto-legge ad integrare la straordinaria necessità ed urgenza idonea a legittimare l’emanazione di un nuovo atto avente forza di legge. Al contrario, va ritenuto che nel caso di reiterazione in termini identici di un decreto-legge decaduto, a meno che non si siano aggravati i presupposti giustificativi che reggevano il primo decreto o ne siano emersi di diversi, vi sia evidente carenza di straordinaria necessità ed urgenza. La questione, dunque, si sposta, su un piano prettamente interpretativo,
312 Cfr Corte cost., sent. n. 360/1996, in Foro It., 1996, pag. 3277, dove, inoltre, si sottolinea
come “il decreto-legge iterato o reiterato lede la previsione costituzionale … perché altera la natura provvisoria della decretazione d’urgenza, procrastinando, di fatto, il termine invalicabile previsto dalla Costituzione per la conversione in legge”… “perché toglie valore al carattere “straordinario” dei requisiti della necessità ed urgenza, dal momento che la reiterazione viene a stabilizzare e a prolungare nel tempo il richiamo ai motivi già posti a fondamento del primo decreto” … “perché attenua la sanzione della perdita retroattiva di efficacia del decreto non convertito, venendo il ricorso ripetuto alla reiterazione a suscitare nell’ordinamento un’aspettativa circa la possibilità di consolidare gli effetti determinati dalla decretazione d’urgenza mediante la sanatoria finale della disciplina reiterata” … “perché tanto più se diffusa e prolungata nel tempo – come è accaduto nella esperienza più recente – viene, di conseguenza, a incidere negli equilibri istituzionali, alterando i caratteri della stessa forma di governo e l’attribuzione della funzione legislativa al parlamento”… “perché