Il trasporto marittimo
II.1. Situazione dei porti italian
L’Italia si trova in una posizione strategica che funge da baricentro tra le principali linee marittime di collegamento che attraversano sia da est che da ovest il Mar Mediterraneo. I porti insieme ai va- lichi sono una grande risorsa per il nostro Paese23. Essi assolvono
contemporaneamente a diverse funzioni, tra cui: la redistribuzione di flussi di merci per le grandi aree di consumo e produttive; la logistica dei prodotti energetici; i collegamenti con le aree insulari e alternativi alla modalità terrestre; l’approvvigionamento di grandi impianti industriali costieri; la funzione turistica24. Inoltre il por-
to, quale partner di posizionamento delle merci, gestisce una parte considerevole del valore aggiunto che viene creato nelle aziende lun- go la catena del valore.
La vocazione marittima si porrebbe come volano di sicura cre- scita economica, in grado, al contempo, di evidenziare il ruolo ge- opolitico di leadership nel bacino Mediterraneo25 e di rispondere al
23 Nel 2012 l’Italia è entrata a far parte del ristretto club dei Paesi del mon- do che possono vantare un surplus commerciale con l’estero per i prodotti industriali superiore ai 100 miliardi di dollari. Lo indicano le ultime stime Wto, in base alle quali lo scorso anno il nostro Paese ha fatto registrare un attivo per i manufatti non alimentari di 113 miliardi di dollari, alle spalle di Cina (866 miliardi), Germania (394 miliardi), Giappone (292 miliardi) e Corea del Sud (205 miliardi). Fonte: “Il Sole 24 Ore”, 7 agosto 2013. 24 Per porti di transhipment si intendono scali di destinazione delle grandi navi portacontainer, dai quali il traffico defluisce verso altri porti con navi
feeder, mentre i porti gateway sono quelli collocati in posizione strategica ri-
spetto ai grandi mercati di origine/destinazione delle merci. A marcare una differenza significativa fra il northern range e l’Italia, inoltre, contribuisce la dimensione del mercato di riferimento: i porti del Nord Europa, infatti, ser- vono uno dei più grandi mercati del mondo, mentre gli scali italiani, a oggi, stentano a soddisfare le esigenze del mercato nazionale.
25 A partire dai primi anni Novanta si è assistito a un progressivo rafforza- mento del ruolo del Mediterraneo nelle principali direttrici di traffico maritti- mo. Ha certamente contribuito il fenomeno del gigantismo delle navi, che ha reso quella trans-mediterranea la rotta privilegiata per i traffici con l’estremo
crescente peso della domanda di green economy. In Italia abbiamo più di 150 scali marittimi ove si svolgono funzioni commerciali e industriali, ma solo una trentina di porti sviluppano circa il 96% della movimentazione di merci (imbarco e sbarco) e circa il 51% della movimentazione di passeggeri sul totale-Italia.
Ciò che stenta a essere percepito, tuttavia, è il ruolo che i porti hanno nel nuovo assetto dell’economia globale; si continua a par- lare dell’Italia come piattaforma logistica naturale nel mezzo del Mediterraneo, ma questo slogan deve essere accompagnato operati- vamente anche da politiche adeguate ed efficaci26. Una nuova sfida
si pone per il nostro Paese: quella di rinnovare il proprio sistema logistico partendo dalle infrastrutture stradali e ferroviarie, più in particolare dalla portualità affinché possa rappresentare uno sboc- co alternativo ai porti del Nord Europa per i traffici generati dalle economie della Mitteleuropa. Infatti, i porti mediterranei possono contare su un vantaggio competitivo legato a una posizione geogra- fica che, in termini di transit time, garantisce un’alimentazione dei mercati europei da Suez assolutamente competitiva rispetto a quella generata dagli scali dell’Europa settentrionale27.
Oriente in quanto, a differenza del canale di Panama (in fase di espansione e allargamento), il canale di Suez presenta caratteristiche strutturali compatibili con il transito delle grandi portacontainer; in secondo luogo, la performance economica dell’estremo Oriente e dei Paesi emergenti del Nord Africa ha deter- minato un incremento significativo dell’interscambio via mare sulle direttrici commerciali da/per l’Europa e fra le due sponde del Mediterraneo.
26 P.M. Panayides - D.W. Song, Evaluating the Integration of Seaport Con-
tainer Terminals in Supply Chains, in «International Journal of Physical Di-
stribution & Logistics Management», 38, 7, 2008, pp. 562-584.
27 Nel momento in cui si è svolta questa ricerca (fine 2013-inizio 2014) la Commissione europea ha inserito 12 porti marittimi italiani nella lista dei nodi strategici della core network, in considerazione sia dei volumi di traffico sviluppati, sia di un criterio di localizzazione geografica (Ancona, Bari, Ge- nova, Gioia Tauro, La Spezia, Livorno, Napoli, Palermo, Ravenna, Taranto, Trieste e Venezia). Cfr. A. Musso - C. Piccioni - E. Van de Voorde, Italian
Seaports’ Competition Policies: Facts and Figures, in «Transport Policy», 25,
La logistica è una componente importante del sistema economi- co italiano: si stima un valore di circa 200 miliardi di euro, pari al 13% del Pil. Tra dipendenti diretti e indotto, dà lavoro a un milio- ne di unità. In tal senso vale la pena ricordare che il cluster marit- timo genera circa il 2,6% del Pil italiano, pari a quasi 40 miliardi di euro28. Nonostante la significatività di questi dati, i principali
indici internazionali collocano l’Italia in posizioni non di rilievo rispetto a questo tema. L’Italia è al 20° posto nel ranking mondiale per performance logistica sulla base del Logistics Performance Index (Lpi) elaborato dalla World Bank, tra i Paesi europei con vocazione portuale ancora è lontana dall’Olanda e dalla Germania, che asso- ciano ai porti una retroportualità integrata e affidabile29.
stica, approvato lo scorso 6 agosto 2015, dovrebbe supportare una strategia
nazionale per i porti.
28 E 213.000 sono gli occupati diretti impiegati complessivamente, 2,37 è il moltiplicatore del reddito (ogni 100 euro di nuovi investimenti o di do- manda aggiuntiva di nuovi servizi, vengono generati 237 euro di ricchezza complessiva per il Paese), 1,73 è il moltiplicatore dell’occupazione (ogni 100 nuovi impiegati dal settore logistico-portuale, vengono attivate 173 nuove unità di lavoro nell’economia) (Ambrosetti 2013).
Figura 1. Traffico container marittimo tra i porti dell’Ue e l’Estremo Oriente migliaia tonnellate/anno.
Le maggiori criticità riguardano le procedure doganali, mentre la migliore posizione per il nostro Paese riguarda il parametro della puntualità delle spedizioni. La World Bank stima che le criticità logistiche individuate in Italia comportano per le imprese importa- trici ed esportatrici del nostro Paese 1,08 giorni aggiuntivi rispet- to alla Germania per la movimentazione delle merci dal porto al magazzino dell’azienda. è evidente che se uno scalo richiede tempi molto lunghi per effettuare il transhipment non è competitivo ri- spetto ad uno che trasborda il carico più velocemente. Quello che si rileva in termini problematici in via primaria riguarda, quindi, la velocità di rotazione e l’economia delle operazioni: il fatto che i contenitori rimangano in sosta per tempi troppo lunghi si con- figura come un limite importante per un porto che ha interesse a mantenere il suo vantaggio competitivo.
Il bacino del Mediterraneo è un’infrastruttura naturale a costo zero in cui transita il 19% dell’intero traffico mondiale e dove si posizionano ben 80 porti di rilevanza internazionale. Un bacino che abbraccia 25 Stati di tre continenti diversi e che nel 2020 rap- presenterà un mercato potenziale di 525 milioni di persone30. At-
tualmente i porti italiani sono al terzo posto a livello europeo con una movimentazione superiore a 480 milioni di tonnellate; i porti specializzati nel transhipment31 subiscono il forte contraccolpo del-
la concorrenza internazionale: Gioia Tauro32, dopo essere stato per
anni il principale scalo mediterraneo per movimentazione nave-na- ve di container, si colloca oggi, con 2,4 mln TEU, solo al quinto posto, dove primeggiano lo scalo spagnolo di Valencia (4,3 mln
30 Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (2010). 31 In questo contesto, si fa riferimento alla distinzione tra scali di transhi-
pment e porti gateway. Nel primo caso, si tratta di porti che dedicano più del
75% della propria attività di movimentazione al trasbordo da nave a nave, facendo leva su un posizionamento geografico favorevole che consente di in- tercettare le grandi rotte transoceaniche. Il traffico transhipment in Italia è localizzato principalmente negli scali di Gioia Tauro (unico porto italiano “nato” per lo sviluppo di questa modalità e, a lungo, principale porto tran-
shipment nel Mediterraneo), Taranto e Cagliari; il transhipment è cresciuto
perché le compagnie hanno iniziato a utilizzare modalità diverse dal transhi-
pment hub & spoke come l’interlining e il relay, che si svolgono tipicamente
in porti regional o gateway. I porti gateway, invece, come ad esempio quelli liguri o dell’Alto Adriatico, sono localizzati in posizione strategica rispetto ai grandi mercati di origine/destinazione dei carichi e rappresentano, di fatto, una porta d’accesso ad aree economiche di rilievo (Astrid, 2013).
32 «È chiaro a tutti che Gioia Tauro non può continuare a essere il porto hub degli ultimi anni. Ormai tale ruolo è passato nelle mani dei porti della sponda sud del Mediterraneo che offrono infrastrutture e fattori produttivi più efficienti e a minor costo, anche se in Paesi ad alta instabilità politica e sociale. Eppure le soluzioni su cui si sta lavorando sono sempre le stesse: in- vestimenti in impianti, riduzione delle tasse, abbattimento dei costi di mano- dopera»; Z. D’Agostino in E. Beretta - A. Dalle Vacche - A. Migliardi,
Connessioni logistiche, efficienza e competitivita: un’indagine sul sistema portua- le italiano, in Aa. Vv., Le infrastrutture in Italia: dotazione, programmazione, realizzazione, Roma, Banca d’Italia, 2011, pp. 557-584.
TEU) e quello egiziano di Port Said (3,7 mln TEU). Tra il 2005 e il 2012 i porti hub della sponda sud del Mediterraneo hanno in- crementato la propria quota di mercato dal 18 al 27% a discapito in particolare degli hub italiani, che sono passati dal 28 al 16%. In questa prospettiva i porti hub, per il ruolo che ricoprono e grazie alla loro posizione geografica (vicino alle “porte” del Mediterraneo verso l’Atlantico e verso l’Oceano Indiano, oppure vicini alla linea mediana Suez-Gibilterra), continueranno a svolgere un ruolo essen- ziale, per cui i grandi progetti di ampliamento e investimento che coinvolgono diverse realtà (tra questi Port Said in Egitto, Tangeri in Marocco ed Enfidha in Tunisia) appaiono del tutto giustificati. Tale cambiamento ha favorito la crescita significativa dei porti hub del Mediterraneo, che tra il 2005 e il 2012 hanno registrato un aumento di oltre il 45% nei container movimentati complessivi33.
Oltre al rifornimento di energia, i porti italiani si prestano anche allo scambio internazionale di materie prime, semilavorati e pro- dotti finiti sia per la grande industria, sia per le piccole industrie localizzate in maniera capillare sul territorio italiano, soprattutto nell’Italia settentrionale e centrale.
La competizione però si verifica a livello non di singoli porti, ma di percorsi logistici integrati, ovvero percorsi preferenziali per far giungere le merci dal punto di origine a quello di destinazione34.
Nel contesto che si è venuto a creare per l’Italia si sono concre- tizzate nuove opportunità di sviluppo: la rete dei servizi di linea container internazionali che include i transiti per il Mediterraneo di carrier globali e anche servizi feeder e inframediterranei, costituisce ad oggi un network estremamente articolato e capillare.
Con l’“unitizzazione” dei carichi, il traffico di container nei por-
33 Aa.Vv., Trasporto marittimo e sviluppo economico. Scenari internazionali,
analisi del traffico e prospettive di crescita, Napoli, Giannini Editore, 2012.
34 Assoporti e SRM 2013. Si veda anche The European House - Ambroset- ti su dati SRM, 2012. Per inciso, risulta significativo notare con riferimento al traffico container che, in Europa, la quota dei primi 15 porti è passata dal 61% circa dei traffici totali nel 1985 a oltre il 78% nel 2010.
ti mondiali si assesta attorno al 60-70%. In Italia, la percentuale di container movimentati è lievemente inferiore, circa il 50%.
Rimangono, tuttavia, numerose carenze o strozzature fisiche nei collegamenti tra alcuni porti e reti stradali e ferroviarie, e al con- tempo si deve migliorare e potenziare l’offerta dei vettori ferroviari a servizio di merci destinate o provenienti a/dai principali porti na- zionali, nonché l’offerta di servizi logistici che rispondano in modo adeguato alla variabile strategica tempo. Se i flussi sono in sostenuto aumento, ma i nodi (ad es. i porti e gli interporti) e le interconnes- sioni (assi di trasporto marittimo, ma anche terrestre) non risultano adeguati al servizio dei traffici, ilfunzionamento della rete non può che risentirne negativamente, causando progressive perdite di quote di mercato per quei Paesi che non riescono ad adeguare l’offerta alla domanda. È proprio questo il caso italiano, caratterizzato da inefficienze portuali e logistiche che si traducono in un gap di com- petitività, per le imprese italiane, stimabile intorno ai 12 miliardi35.
La competitività dei porti non può limitarsi, quindi, solo all’effi- cienza delle operazioni portuali, ma deve comprendere l’intera cate- na logistica fino al cliente finale. I porti italiani potranno avere costi di handling o di servizi tecnico-nautici inferiori a quelli dei porti del Nord Europa, potranno avere fondali paragonabili, ma finché il siste- ma logistico non sarà in grado di offrire un costo sistemico competitivo da banchina a cliente finale e viceversa, paragonabile a quello di quei Paesi in termini di infrastrutture portuali, di connessione di rete, di snodi adeguati alle spalle, di tempi di espletamento delle procedure import-export, saranno sempre fuori gioco oppure continueranno a svolgere un ruolo prevalentemente regionale36. Tuttavia, le opportunità
35 La catena logistica risente infatti ampiamente dei cosiddetti “colli di bottiglia” (per usare il linguaggio degli operatori, essa “viaggia alla velocità del suo anello più debole”); l’utilità di intervenire su alcuni aspetti critici sen- za incidere su altri potrebbe pertanto risultare limitata. Cfr. Porti e logistica, «CDP Studio di settore», 1, maggio 2012.
36 Si pensi, ad esempio, che 17 sono i giorni medi per l’esportazione della merce dai porti italiani rispetto a una media Ue di 11. I porti spagnoli e francesi
di sviluppo e di intervento, pur molteplici, sono ancora condizionate da un sistema infrastrutturale non adeguato a sostenere un significativo incremento di traffici. Questo è vero per il segmento dello short sea shipping, la cui integrazione nella catena logistica richiede certamente la promozione di efficienti collegamenti marittimi, ma non va disgiunta dalla realizzazione di connessioni adeguate, in termini di capacità e livello di servizio, con il sistema di trasporto terrestre sia stradale che ferroviario37. I vincoli infrastrutturali costituiscono un freno anche per
del Mediterraneo, competitor diretti di quelli italiani, operano con un vantaggio rispettivamente di 8 e 6 giorni. Un giorno di ritardo, in media, nel transito di un prodotto corrisponde a una flessione del commercio di almeno l’1% nell’ar- co di un anno. Riportando questo valore sul nostro Paese si stima come per ogni giorno di ritardo il danno sul commercio internazionale dell’Italia sia pari a 7,5 miliardi di euro l’anno. Il commercio internazionale del Paese potrebbe aumentare di circa 50 miliardi di euro se l’Italia si allineasse alla media euro- pea, cioè guadagnasse in media 6/8 giorni nelle operazioni di sbarco e imbarco (Ambrosetti 2013). Considerando un’ipotetica tratta Singapore-Milano, nelle due varianti via Genova e via Anversa, emerge come, nonostante la posizione geografica favorevole del porto di Genova, che consentirebbe un risparmio di quasi 800 miglia marine, il transito attraverso lo scalo italiano implichi una maggiore variabilità nel tempo stimato per il trasporto (compreso fra 20 giorni e 28 giorni), rispetto allo scalo belga (minimo 25 giorni, massimo 27 giorni). In queste circostanze gli operatori tendono a privilegiare la maggiore prevedi- bilità delle tempistiche, in quanto questo consente una migliore e più efficace programmazione logistica. Si tratta di un interessante esempio di come per gli operatori logistici internazionali l’affidabilità del servizio prevalga su altri elementi di valutazione, quali un potenziale vantaggio in termini di riduzione del numero di giorni necessari per il trasporto (Astrid, 2013).
37 I risultati di alcuni studi hanno mostrato come, a livello generale, la dimen- sione complessiva del volume di traffico merci dell’area territoriale di riferimento sia il fattore più importante nella scelta dello stesso da parte delle shipping company. Altri fattori importanti sono i costi legati all’handling, la disponibilità degli or- meggi in banchina, la localizzazione geografica del porto, i volumi riconducibili
transhipment e le connessioni feeder presenti. In ogni caso, la gran parte di questi
fattori è correlata positivamente alle dimensione dei traffici gestiti in un singolo porto. Cfr. Y.T. Chang - Lee S.Y. - J.L. Tongzon, Port Selection Factors by Ship-
le potenzialità degli hub italiani di catturare i flussi di traffici containe- rizzati sempre più frequentemente attirati dai nuovi porti della sponda sud e est del Mediterraneo, nonché dai porti spagnoli che offrono in- frastrutture e collegamenti intermodali che consentono di effettuare le operazioni portuali seguendo criteri di efficienza e di efficacia sempre più importanti per le esigenze delle shipping company.