Viene richiesto parere legale da parte di Tizio in merito alla possibilità di appellare con successo la sentenza del Tribunale Penale di Salerno che lo ha condannato per il reato previsto e punito dall’art. 589, commi 1 e 2, c.p.. In particolare, nella vicenda oggetto del processo penale, Tizio, esperto autotrasportatore, investiva con il proprio mezzo un ciclomotore, determinando la morte di uno dei passeggeri a bordo dello stesso.
Dagli accertamenti effettuati in loco dalle forze di Polizia giudiziaria emergeva che il conducente dell’autoarticolato, con un tasso alcoolemico superiore a quello consentito, si era immesso sulla strada dell’incidente (costiera amalfitana) in un orario in cui la normativa stradale impediva agli autoarticolati di percorrerla per evitare di aggravare il traffico nei mesi estivi. Dall’esame della dinamica dell’incidente emergeva, però, che Tizio non aveva mai abbandonato la propria corsia di marcia e non aveva superato i limiti di velocità imposti su quel tratto di strada.
Al termine del giudizio di primo grado, il contestato reato di guida in stato di ebbrezza veniva dichiarato estinto per intervenuta prescrizione, mentre l’imputato veniva condannato per il reato di omicidio colposo, aggravato dalla circostanza di aver violato le norme del codice della strada (ai sensi della precedente versione dell’art. 589, comma 2, c.p., ora 589 bis, comma 1, c.p.).
Non emergendo dalla ricostruzione dei fatti elementi che possano in qualche modo consentire di escludere, sotto il profilo naturalistico, il rapporto di causa ed effetto tra urto ed evento morte e dunque che possano mettere in dubbio la sussistenza del nesso di causalità materiale, bisogna rivolgere l’indagine sul rapporto di causalità psicologica radicata nella valutazione della condotta umana dell’agente riferita al comando della legge violata.
Per fare ciò risultano necessari brevi cenni sul concetto di “rischio” e sulla c.d. “causalità della colpa”.
Negli ultimi anni, infatti, la categoria concettuale della colpa è stata oggetto di profonde e importanti rimeditazioni, anche a seguito delle novità legislative e dei principali arresti giurisprudenziali sul tema.
La sentenza delle Sez. un. n. 38343 del 18 settembre 2014, relativa alla tragedia della Thyssenkrupp, e le concrete applicazioni della legge Balduzzi in tema di colpa medica, hanno costituito snodi fondamentali di un dibattito in continua evoluzione, determinando la crisi di concetti che apparivano cristallizzati e portando in evidenza il valore ermeneutico del “rischio”
quale criterio risolutore di numerosi contrasti giurisprudenziali connessi alla elaborazione della categoria della colpa.
Nello specifico, per garantire la rigorosa applicazione del principio di colpevolezza (che esclude qualsiasi automatismo rispetto all’addebito di responsabilità), la giurisprudenza in tema di delitti colposi, facendo ricorso proprio alla nozione di “rischio”, ha chiarito che “per stabilire la sussistenza del nesso in concreto tra la condotta violatrice e l’evento, occorre verificare la
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sussistenza non solo della causalità della condotta (ovverossia della dipendenza dell’evento dalla condotta in cui quest’ultima si ponga come “condicio sine qua” non, in assenza di decorsi causali alternativi eccezionali, indipendenti e imprevedibili), ma altresì della sussistenza della causalità della colpa (intesa come introduzione, da parte del soggetto agente, del fattore di rischio poi concretizzatosi con l’evento, posta in essere attraverso la violazione delle regole di cautela tese a prevenire e a rendere evitabile il prodursi di quel rischio)”(v. ex multis Cassazione penale, sez. IV, 5 aprile 2016, n. 17000).
Secondo tale tesi, dunque, l'individualizzazione della responsabilità penale impone di verificare non soltanto se la condotta abbia concorso a determinare l'evento (ciò che si risolve nell'accertamento della sussistenza del nesso causale) e se la condotta sia stata caratterizzata dalla violazione di una regola cautelare sia essa generica o specifica, ma anche se l'autore della stessa potesse prevedere, con giudizio "ex ante" quello specifico sviluppo causale ed attivarsi per evitarlo.
In tale ambito ricostruttivo, la violazione della regola cautelare e la sussistenza del nesso di condizionamento tra la condotta e l'evento non sono sufficienti per fondare l'affermazione di responsabilità, giacchè occorre anche chiedersi, necessariamente, se l'evento derivatone rappresenti o no la "concretizzazione" del rischio che la regola stessa mirava a prevenire; e se l'evento dannoso fosse o meno prevedibile, da parte dell'imputato (Cass. Sez. 4, n. 43966 del 06/11/2009, dep. 17/11/2009).
Nel caso di specie, i sopraenunciati principi impongono di verificare, in concreto, la violazione da parte di Tizio non solo della regola cautelare contestata, ma, soprattutto, della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso, che la regola cautelare mirava a prevenire (la cd.
"concretizzazione" del rischio).
In altri termini, bisogna capire se il divieto di transito per gli autoarticolati sul tratto di strada della costiera Amalfitana fosse effettivamente preordinato ad impedire l’evento verificatosi a seguito della violazione commessa da Tizio.
In proposito, la normativa regolamentare violata è evidentemente volta a tutelare le esigenze del traffico veicolare sulla costiera amalfitana, e non espressamente a prevenire eventuali sinistri, con ciò dovendosi escludere che l’incidente e la conseguente morte di Caio costituiscano la concretizzazione del rischio che la norma violata da Tizio mirava a prevenire.
Alla luce di quanto detto e in applicazione del principio di “concretizzazione del rischio”, sembra potersi escludere, in capo a Tizio, la sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa richiesto dalla fattispecie criminosa di cui all’art. 589 c.p..
Nè può ritenersi che l'orario in cui si è verificato il sinistro, antecedente di un'ora e mezza quello a partire da cui era consentita la circolazione degli autoarticolati, abbia determinato un concreto aggravio del rischio di provocare incidenti. Del tutto ininfluente poi alla luce della ricostruzione del sinistro così come operata dai giudici di primo grado la circostanza, pur certamente deprecabile e già oggetto di autonoma sanzione, che Tizio si fosse posto alla guida versando in stato di
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ebbrezza. Su questa stessa linea ermeneutica, in un caso simile a quello di specie, si è pronunciata di recente la Suprema Corte, secondo cui “viene così chiaramente in luce, e con forza, il profilo causale della colpa, che si estrinseca in diverse direzioni. Il pensiero giuridico italiano ha da sempre sottolineato che la responsabilità colposa non si estende a tutti gli eventi che comunque siano derivati dalla violazione della norma, ma è limitata ai risultati che la norma stessa mira a prevenire.
Tale esigenza conferma l'importante ruolo della prevedibilità e prevenibilità nell'individuazione delle norme cautelari alla cui stregua va compiuto il giudizio ai fini della configurazione del profilo oggettivo della colpa. Si tratta di identificare una norma specifica, avente natura cautelare, posta a presidio della verificazione di un altrettanto specifico evento, sulla base delle conoscenze che all'epoca della creazione della regola consentivano di porre la relazione causale tra condotte e risultati temuti; e di identificare misure atte a scongiurare o attenuare il rischio. L'accadimento verificatosi deve cioè essere proprio tra quelli che la norma di condotta tendeva ad evitare, deve costituire la concretizzazione del rischio. L'individuazione di tale nesso consente di sfuggire al pericolo di una connessione meramente oggettiva tra regola violata ed evento” (Cassazione penale, sez. IV, 6 maggio 2015, n. 24462).
In virtù delle considerazioni esposte e dell’assenza dell’elemento soggettivo della colpa in capo all’imputato, si rappresenta a Tizio la necessità di impugnare la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Salerno, al fine di ottenere la riforma della stessa e la conseguente assoluzione con formula “il fatto non costituisce reato”.
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Tizio, ragazzo diciannovenne, figlio di una ricca famiglia del paesino Beta, intraprendeva una relazione sentimentale con la tredicenne Caia. Venuti a conoscenza del fidanzamento della figlia, i genitori Mevio e Sempronia accoglievano con piacere la notizia e spingevano Caia ad invitare a casa Tizio per formalizzare il fidanzamento. Come da indicazione dei genitori, Caia organizzava una cena a casa dei suoi. Dopo quella sera, i ragazzi frequentavano abitualmente l’abitazione di Mevio e Sempronia, i quali posizionavano un letto matrimoniale nella stanzetta della figlia per permettere ai due fidanzati di dormire insieme ed avere rapporti sessuali in luogo sicuro. Dopo qualche mese dal fidanzamento, Caia apprendeva casualmente da alcune amichette che Tizio aveva mostrato a due suoi amici un filmato, girato con il cellulare, di un loro rapporto sessuale e che la notizia aveva fatto il giro della scuola. Avvilita dal racconto delle amiche e non avendo più il coraggio di uscire dalla propria abitazione, Caia tentava il suicidio tagliandosi le vene dei polsi.
Soccorsa tempestivamente dal padre, Caia riusciva a salvarsi. In ospedale accorrevano subito i Carabinieri i quali interrogavano la ragazza sull’accaduto.
Preoccupati dalla situazione, Tizio, Mevio e Sempronia si rivolgono al vostro studio legale chiedendovi un parere pro veritate sulle possibili conseguenze penali delle proprie condotte. Tizio, in particolare, vi rappresenta di non avere mai costretto Caia ad avere rapporti sessuali e che era stata una idea della ragazza quella di filmarli con la videocamera del cellulare.
Rediga il candidato il richiesto parere.
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SOLUZIONE PARERE 15: DIVULGAZIONE MATERIALE PEDOPORNOGRAFICO,