Viene richiesto parere motivato da parte di Sempronio in merito alle possibili conseguenze penali della propria condotta alla luce della querela depositata da Mevia.
In particolare, egli, in qualità di dirigente medico dell’Ospedale Gamma, approfittando della volontà di Mevia di tenere nascosta l’interruzione di gravidanza ed avendo intravisto la possibilità di lucrare sulla disperazione della donna, aveva proposto alla paziente di effettuare illegalmente l’operazione presso il proprio studio privato al costo di 10.000 euro.
Per convincere la donna, il medico le aveva artatamente rappresentato numerose difficoltà ed ostacoli per procedere a tale operazione presso l’Ospedale pubblico, che certamente non le avrebbero permesso di mantenere il segreto con i suoi parenti.
Mevia, non potendo assolutamente permettere che il marito venisse a conoscenza della sua gravidanza, frutto del rapporto extraconiugale con l’amante, “messa con le spalle al muro” aveva accettato la proposta di Sempronio, il quale le aveva fissato una data per l’operazione. Poco prima, però, Mevia aveva cambiato idea e aveva presentato querela contro Sempronio.
Alla luce della ricostruzione fattuale rappresentata, in proprio luogo, occorrerà analizzare il contegno del soggetto agente al fine di verificare se esso possa configurare il delitto di concussione ex art. 317 c.p. oppure quello di induzione indebita a dare o promettere utilità ex art. 319 quater c.p., valutando, altresì, siffatta condotta alla luce dell’istituto del tentativo. In secondo luogo si dovrà valutare la possibile sussumibilità della sua condotta nella più favorevole fattispecie criminosa della truffa aggravata ex art. 61 comma 9, c.p..
Orbene, preliminarmente, occorre principiare l’analisi della vicenda dalla considerazione che il medico Sempronio in essa riveste la qualifica di pubblico ufficiale e ciò a prescindere dal fatto che il prospettato intervento si sarebbe dovuto effettuare come attività libero-professionale esterna alla struttura (sul punto v. C. Cass. n. 40182/2007).
Fatta questa doverosa premessa che determina l’inquadramento della condotta all’interno dei delitti contro la p.a., si ritiene necessario svolgere alcune brevi considerazioni sui reati di concussione e di induzione indebita.
Prima della riforma del 2012, l’art. 317 c.p. contemplava due diverse fattispecie: la concussione per costrizione e quella per induzione. Oggi, invece, tale disposizione disciplina la sola concussione per costrizione, mentre la seconda fattispecie viene regolata dall’art. 319 quater c.p., introdotto dalla medesima riforma (L. 190/2012) che prevede il delitto di induzione a dare o promettere denaro o altra utilità.
In giurisprudenza, si era sviluppato un forte contrasto in ordine alla distinzione di tali fattispecie di reato. Un primo orientamento individuava l’elemento distintivo nell’intensità della condotta prevaricatrice (C. Cass. n. 8695/2012); un secondo indirizzo differenziava le due fattispecie in
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base alla tipologia del danno prospettato (C. Cass. n. 3251/2012), mentre un terzo faceva leva sulla diversa intensità della pressione psicologica esercitata (C. Cass. n. 11794/2013).
Nel 2014 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12228/2014, sono intervenute a dirimere tale contrasto non avvallando alcuno dei tre filoni sopra citati poiché ciascuno di essi evidenziava aspetti condivisibili, ma non sufficienti a fornire un criterio distintivo.
Più nello specifico, onde individuare quale fosse il discrimen tra le fattispecie in esame, i giudici di legittimità evidenziavano la necessità di prendere le mosse proprio dal fulcro della riforma, ovverosia il cambio d’abito del privato che, nel delitto di cui all’art. 319 quater c.p., viene oggi punito quale concorrente necessario del nuovo reato di induzione indebita poiché egli approfitta della proposta ricevuta per conseguire un vantaggio ingiusto.
Viceversa, devesi notare come nel delitto di concussione il privato è solamente vittima dell’atteggiamento di sopraffazione e costrizione del pubblico ufficiale.
In particolare, si è sostenuto che la concussione viene individuata come un abuso costrittivo del pubblico ufficiale, che si realizza con violenza o minaccia di un danno contra ius in assenza di un vantaggio indebito per la vittima.
Nell’induzione indebita, invece, la condotta di persuasione, suggestione, inganno, ha un più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario, il quale finisce col prestare il proprio consenso per conseguire un tornaconto personale e ciò ne giustifica una sanzione a suo carico.
Ed allora, se entrambi gli illeciti richiedono una condotta prevaricatrice, è solo nel delitto di concussione che viene compromessa del tutto la libertà del privato, il quale si trova costretto ad accettare un male o un danno ingiusto, lesivo dei suoi interessi.
Le riportate considerazioni delle Sezioni Unite, al fine di distinguere i menzionati delitti, possono essere un valido ausilio da utilizzare nel caso di specie.
Esaminando le modalità della condotta di Sempronio e, altresì, il contegno di Mevia, non sembra possa dirsi configurabile il delitto, più favorevole dal punto di vista sanzionatorio per l’agente, di cui all’art. 319 quater c.p..
Più nello specifico, da diverse circostanze emerge come Mevia sia stata messa alle strette dal pubblico ufficiale, là dove l’alternativa che si è trovata costretta ad accettare era acconsentire al pagamento indebito oppure non poter procedere all’aborto; ciò, per vero, avrebbe comportato gravi ripercussioni nella sua vita privata dato che si sarebbe rivelato al marito e a tutti i parenti il suo tradimento.
L’aborto da eseguirsi presso la struttura privata, per via delle lungaggini rappresentate da Sempronio, era, perciò, l’unica soluzione obbligata.
Di talchè, non può ritenersi Mevia quale complice del contegno del curante: la stessa non pare aver conservato margini decisionali, né mirava a conseguire un vantaggio indebito a cui non avrebbe avuto diritto.
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Si rammenta, peraltro, che l’interruzione di gravidanza è un diritto riconosciuto alla donna, il quale è disciplinato da apposita disciplina legislativa (L. 194/1978).
Sul punto, è utile, altresì, sottolineare che la predetta impostazione è stata da ultimo confermata anche da una recente pronuncia della Suprema Corte di cassazione, la quale ha ritenuto che integrasse la condotta di concussione, la condotta del medico che, speculando sui tempi della procedura legale di interruzione di gravidanza aveva dirottato alcune donne gravide, le quali avevano l’urgenza di abortire in tempi rapidi, a recarsi presso il proprio studio privato, accelerando l’esecuzione dell’intervento (C. Cass. n. 1082/2017).
Ravvisato il reato di concussione in capo a Sempronio, giova valutare, in un’ottica difensiva, se lo stesso si presenti o meno in forma tentata, ai sensi dell’art. 56 c.p..
A ben vedere, si potrebbero valorizzare alcuni elementi al fine di sostenere in giudizio siffatta prospettazione.
Ed infatti, da un lato l’intervento non è stato effettuato, dall’altro lato è stata sporta querela dalla potenziale vittima: questi dati potrebbero far propendere il giudicante nel senso di ritenere inesistente quella oggettiva efficacia intimidatoria della condotta, propria della fattispecie consumata.
Sebbene un certo orientamento ritenga che con la sola promessa del soggetto passivo il delitto possa dirsi consumato, a ciò si potrebbe replicare sostenendo che, data la comprovata capacità di resistenza del soggetto passivo, il delitto di concussione si sarebbe fermato solamente agli atti idonei ed univoci tali da configurare la fattispecie tentata, non portata a termine grazie alla denuncia della donna.
Da ultimo, sempre in ottica difensiva, occorre valutare la possibilità di sussumere la condotta di Sempronio all’interno del più favorevole delitto di truffa di cui all’art. 640 c.p. aggravata dall’abuso della qualità e poteri di pubblico ufficiale ex art. 61 comma 9° c.p., anziché in quella di concussione.
Tale reato ha, infatti, come elemento in comune con la concussione l’abuso della pubblica funzione ai fini di conseguire un indebito profitto.
La giurisprudenza, nel delineare i labili confini tra le due fattispecie criminose, ha ritenuto che si configura il reato di truffa quando l’attività ingannatoria del pubblico ufficiale riguarda la doverosità della promessa o della dazione, ove il privato venga tratto in inganno e non abbia perciò consapevolezza del carattere indebito della stessa.
Al contrario, si configura il delitto di concussione quando il privato mantiene la consapevolezza di dare o promettere qualcosa di non dovuto (C. Cass. n. 53444/2016).
Nel caso di specie, la promessa di denaro richiesta non appare frutto di un’attività ingannatoria, ma la conseguenza della strumentalizzazione da parte del medico dei propri poteri. Altresì, Mevia era consapevole che i soldi costituivano il prezzo dell’aborto illegale al quale era costretta.
Non appare sostenibile, pertanto, siffatta interpretazione, sebbene la stessa sia maggiormente
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favorevole per Sempronio dal punto di vista della pena edittale.
Alla luce delle considerazioni svolte e del panorama giurisprudenziale richiamato, si ritiene che in capo a Sempronio possa configurarsi il delitto di cui all’art. 317 c.p. in quanto con la sua condotta ha inciso negativamente ed in maniera assoluta sulla libertà di autodeterminazione di Mevia. In ottica difensiva, tuttavia, potrà sostenersi in giudizio che la concussione non si sia consumata ma si sia fermata al livello del tentativo, così determinandosi un più mite trattamento sanzionatorio.
82 TRACCIA PARERE N. 19
Sempronio decideva di avviare una propria impresa individuale specializzata in ristrutturazioni edilizie.
Per molti anni l’attività procedeva bene e, grazie ai profitti, l’imprenditore riusciva ad acquistare dei macchinari e un nuovo camion finalizzati a migliorare la qualità dei lavori da lui eseguiti.
Il 21 gennaio 2005, vivendo un momento di difficoltà economica, Sempronio decideva di vendere tanto il camion quanto i suddetti macchinari e di distrarre e tenere per sé le somme ricavate, che avrebbe dovuto destinare invece al pagamento di alcuni creditori.
In data 15 febbraio 2010 il Tribunale civile di Taranto dichiarava il fallimento dell’impresa individuale di Sempronio.
In seguito a ciò e all’esito di regolare processo, in data 9 novembre 2017 il Tribunale penale di Taranto condannava Sempronio, ritenendolo responsabile del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione.
Sempronio si rivolge al vostro studio legale per ottenere motivato parere sull’opportunità di impugnare tale sentenza di condanna di primo grado. Vi rappresenta, in particolare, che al momento del compimento della condotta distrattiva delle somme non aveva assolutamente né previsto né voluto il fallimento dell’impresa e aveva posto in essere normali attività di gestione dei suoi beni.
Il candidato, assunte le vesti di difensore di Sempronio, premessi brevi cenni sulle condizioni obiettive di punibilità, rediga motivato parere sulla opportunità di proporre appello avverso la sentenza del Tribunale di Taranto.
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SOLUZIONE PARERE 19: NATURA DELLA SENTENZA DICHIARATIVA DI